mercoledì 25 marzo 2009

FEDI (PD): “URGENTI PIU’ RISORSE ECONOMICHE E UMANE PER RETE CONSOLARE AL COLLASSO”

“Mancanza di personale, forte rischio di non poter pagare le bollette elettriche e telefoniche, possibile carico dei costi sugli utenti e ritardi nell’invio di atti e certificazioni. Quella della rete diplomatico-consolare è una vera emergenza. Il Governo intervenga rapidamente”. L’On. Marco Fedi, parlamentare del Partito Democratico eletto all’estero, attraverso un’interrogazione al Ministro degli Esteri, lancia un grido di allarme sulla condizione economica in cui versa parte della rete diplomatico-consolare italiana, tale da rendere molto spesso inadeguata la qualità del servizio offerto.
L’On. Fedi ricorda di aver denunciato come le ultime finanziarie e le varie manovre di bilancio degli anni recenti siano state caratterizzate da “drastiche riduzioni dei capitoli di bilancio relativi al funzionamento della rete diplomatico-consolare”.
Tutto ciò ha portato a una rete che “è oggi dotata di organici che sono inferiori al minimo previsto e non consentono un’adeguata azione di servizio nei confronti delle nostre comunità”, anche a causa del fatto che “nell’ultima lista trasferimenti 1/4 dei posti esistenti presso le rappresentanze estere non è stato coperto”.
Inoltre, la mancanza di risorse economiche ha condotto i Consolati e i Consolati Generali di alcune circoscrizioni alla situazione gravissima di non essere “in grado di pagare le bollette telefoniche e dell’energia elettrica”. A ciò si aggiunga che, a causa dei tagli al capitolo delle spese postali, “chili di posta si stanno accumulando presso gli archivi delle rappresentanze in attesa di una soluzione”.
Com’è evidente “questa situazione rischia di tradursi in disservizi e lungaggini burocratiche nei rapporti con le pubbliche amministrazioni dello Stato italiano, oltre a dare una pessima immagine dell’Italia all’estero”, con utenti sui quali già si scarica l’elevato “costo della preparazione di atti e certificati a seguito della necessaria apposizione dell’apostille” (specifica annotazione che deve essere fatta sull’originale del certificato rilasciato dalle autorità competenti del Paese interessato).
Pertanto, nella sua interrogazione, l’On. Fedi chiede al Ministro degli Esteri di “garantire l’espletamento dei compiti essenziali affidati alla rete diplomatico-consolare italiana nel mondo, tra cui la trasmissione di atti, certificati e comunicazioni concernenti il rapporto tra cittadini-utenti e pubbliche amministrazioni dello Stato italiano”. A tal fine, è necessario che la rete sia dotata “di adeguate risorse” economiche. Infine, il parlamentare del PD invita a “promuovere azioni tese a completare, anche con soluzioni innovative ed assunzioni in loco, gli organici di molti Consolati ed Ambasciate che soffrono di carenze croniche di personale di ruolo e a contratto locale”.

Federalismo fiscale

“L’attuazione pratica, attraverso il federalismo fiscale, della riforma del titolo V della Costituzione affronta il passaggio alla Camera dei Deputati” – ha ricordato l’On. Marco Fedi. “La proposta di riforma sul federalismo fiscale, dopo aver riportato sostanziali modifiche migliorative rispetto all’impianto iniziale voluto dalla Lega Nord, divide oggi le opposizioni, con il Partito Democratico che sta provando però ad assumere una posizione critica ma aperta e costruttiva”. “Il Carroccio puntava a un federalismo regione-centrico, tutto settentrionalista, che in modo egoistico rischiava di separare ancor di più il Paese e di aumentare i centri di spesa”. “L’opposizione ha ottenuto invece correttivi importanti, che rendono l’impianto della riforma più ragionevole, centrandola su tutte le autonomie locali, nessuna esclusa, le quali dovranno vedere loro ridistribuite le risorse fiscali a partire dall’alto verso il basso” – ha continuato Fedi.
“Va infatti ricordato come il vero autonomismo e decentramento amministrativo sia stato promosso per la prima in Italia dal centrosinistra, con la riforma del titolo V della Costituzione, risalente a un decennio fa. Il Pd ha ottenuto innanzitutto, tramite un emendamento, l’istituzione del principio del “Patto di convergenza” che, grazie anche alla Commissione paritetica Stato-Regioni-Autonomie locali e alla Commissione bicamerale creata ad hoc, dovrà monitorare il coordinamento tra prelievo fiscale centrale e locale, e se occorre correggerlo”.
“Anche il non affidamento esclusivo dell’istruzione alle Regioni e il mantenimento di competenze decentrate sul territorio a Comuni e Province, come richiesto da molti addetti del settore, è un importante risultato ottenuto grazie al lavoro parlamentare”.
“Non soddisfano, invece, il ritardo nel varo di una Carta delle Autonomie che dovrebbe sanare ogni eventuale conflitto tra competenze e attribuzioni, limitando sprechi e lungaggini”- ha ricordato l’On. Marco Fedi.
“Come, del resto, il semi-abbandono della riforma istituzionale ispirata alla bozza Violante che dovrebbe istituire il Senato delle autonomie locali al posto di quello attuale, ponendo fine all’inefficiente e pleonastico “bicameralismo perfetto” italiano. “Che senso ha altrimenti fare il federalismo fiscale?”.
“Infine, mi si permetta di ricordare che ha un sapore demagogico, una riforma fatta per avvantaggiare le autonomie, se poi il governo Berlusconi è lo stesso che sottrae alle Regioni 2,7 miliardi di fondi europei e che taglia l’Ici ai Comuni senza restituire loro le risorse e costringendoli spesso ad aumentare le tariffe locali, vessandoli per di più con un irrigidimento del Patto di stabilità in tempi di recessione economica”. “Per superare davvero le resistenze a questo federalismo fiscale occorre – alla prova dei fatti – fare i conti veri con le autonomie locali e con le loro richieste per fronteggiare la crisi economica” – ha concluso l’On. Marco Fedi.

FEDI (PD): “SOLUZIONE TARDIVA PER DIPENDENTE DANNEGGIATO IN ASSALTO DI BENGASI”

Una soluzione tardiva che ancora non ripristina i diritti di un dipendente dello Stato”. Così l’On. Marco Fedi (PD) definisce lo scenario disegnatoli in una risposta alla propria interrogazione dal Sottosegretario agli Esteri, Sen. Alfredo Mantica, in merito alla conclusione della vicenda dell’assalto al Consolato Generale Italiano in Libia, a Bengasi, nel febbraio 2006.
In quei giorni, il Consolato venne assalito da un migliaio di manifestanti che protestavano contro la pubblicazione di vignette satiriche su Maometto, e la protesta – che culminò con 11 morti e 25 feriti – era stata alimentata anche dall’allora Ministro italiano per le riforme, Roberto Calderoli, che aveva indossato una maglietta sulla quale era stampata una delle vignette contestate. All'interno del consolato rimase solo un addetto, l'italo-portoghese Antonio Simoes Goncalves, il quale, contattato telefonicamente da Sky-Tv, dichiarò di essere rimasto per cercare di evitare che i dimostranti entrassero e per poter sbarrare le porte da dentro. Goncavales, che all'epoca prestava servizio presso il Consolato, perse tutti i beni distrutti nell’attacco della folla.
L’On. Fedi ha domandato pertanto al Sottosegretario Mantica quali iniziative intendesse prendere il Ministero per garantire a Antonio Simoes Goncalves il dovuto indennizzo per i danni subiti.
Il Sen. Mantica ha risposto che “il 18 marzo 2007 è stata ufficialmente presentata alle Autorità libiche, ai sensi delle pertinenti norme internazionali (artt. 31 e 40 della Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari) una richiesta di risarcimento dei danni, quantificata in 4.590.000 Euro. Tale cifra include il valore delle richieste di indennizzo presentate dal personale all'epoca in servizio presso il Consolato Generale (590.000 euro), tra le quali è stata computata anche quella del Sig. Antonio Simoes Gonçalves (75.500 euro)”. Il Sottosegretario ha tuttavia riconosciuto come “la controparte libica non ha sinora formalmente risposto alla richiesta italiana di risarcimento”.
Il Sen. Mantica ha quindi garantito che il caso del Sig. Gonçalves “figurerà al primo punto dell'ordine del giorno della prossima riunione della Commissione Nazionale per gli Indennizzi, l'organismo appositamente previsto dall'Art. 208 del DPR 18/67 per far fronte a casi simili”. Ancora una volta, però, viene fatto notare che – nonostante il parere favorevole dell’Avvocatura dello Stato a tale istanza – risulta “impossibile al momento per il Ministero degli Esteri prevederne l’esito”.
“Prendo atto del fatto che la vicenda sembri avviarsi a una soluzione – afferma l’On. Fedi – sebbene con un ritardo tale da ledere i diritti di un contrattista al servizio della nostra rete consolare. Ritengo che sarebbe opportuno risolvere la questione senza farsi dettare i tempi dal Governo libico”, conclude il deputato del Pd eletto all’estero.

FEDI (PD): “CALL CENTER DEI CONSOLATI TROPPO COSTOSI E SPESSO INADEGUATI

“Accedere ai servizi consolari è un diritto per tutti, anche per chi non può permettersi di spendere soldi con i call center telefonici”. L’On. Marco Fedi, parlamentare del PD eletto all’estero, denuncia così il fatto che in molti Paesi richiedere un visto o un altro servizio al Consolato italiano tramite il call center è troppo esoso in rapporto al reddito medio. Inoltre, afferma l’On. Fedi in un’interrogazione rivolta al Sottosegretario agli Esteri Sen. Mantica, “sopraggiungono innumerevoli segnalazioni, da consolati generali, consolati e cancellerie consolari, relativamente a problemi di organizzazione, efficienza e costi”. Nello specifico, nel testo dell’interrogazione si evidenzia il livello elevato dei costi di chiamata verso il call center della nostra sede consolare del Cairo, in Egitto, soprattutto in rapporto a un servizio spesso inadeguato per ritardi e inefficienze. L’On. Fedi segnala come di fatto esista l’obbligo per i nostri connazionali di utilizzare il call center per prendere appuntamenti per il rilascio del visto, tenendo conto che “spesso il ricorso obbligato al call center non è risolutivo ed è necessario ricorrere a tale servizio più di una volta per espletare una pratica di visto d’ingresso in Italia”.
Dal canto suo, il Sottosegretario assicura che “nella maggioranza dei casi, il ricorso ai ‘call center’ riguarda solo la prenotazione dell’appuntamento dei richiedenti presso gli Uffici dell’Ambasciata o del Consolato”. Secondo il Sen. Mantica “tale procedura consente alle Sedi di dedicarsi con maggiore speditezza ed efficacia all’esame delle pratiche e alla vera e propria concessione dei visti”, restando comunque la possibilità di rivolgersi agli Uffici direttamente. Il Sottosegretario si trincera dietro il fatto che “testi normativi comunitari” “prevedono esplicitamente la possibilità di far ricorso ad agenzie esterne per la gestione di parte delle procedure connesse al rilascio di visti”.
Nello specifico, venendo al caso del Consolato de Il Cairo, i costi non supererebbero mai le 20 Lire egiziane (2,1 euro), secondo quanto garantito dalla società Vodafone che gestisce il call center. Tuttavia, ciò è vero solo per le chiamate da telefono fisso – come riconosciuto implicitamente dal Sottosegretario – e va considerato, inoltre, che lo stipendio medio in Egitto è di soli 200 euro. Infine, il Sen. Mantica riconosce che, a causa dei lavori di ristrutturazione dell’Ambasciata de Il Cairo, che dovrebbero terminare entro maggio, i tempi di attesa per avere un appuntamento si sono dilazionati, condizionato anche le capacità di prenotazione del call center.
“La risposta del Sottosegretario è poco soddisfacente – osserva l’On. Fedi – perché ritengo che il Ministero debba adoperarsi concretamente affinché i servizi consolari siano accessibili da tutti, senza limiti di reddito, e in tempi ragionevoli. Non basta avvertire della non obbligatorietà delle chiamate tramite call center soltanto sul sito internet ufficiale – conclude il parlamentare eletto all’estero – se poi, nei fatti, non esiste altra strada realisticamente praticabile per prendere appuntamenti o avere informazioni, dati i carichi di lavoro e i problemi logistici attuali in cui versano alcuni uffici, riconosciuti anche dal Sottosegretario”.

lunedì 16 marzo 2009

Sulla cittadinanza…Governo se ci sei batti un colpo!

Il 30 luglio 2008, ho presentato un’interrogazione a risposta scritta, a seguito di una serie di segnalazioni di nostri connazionali rientrati in Italia e interessati al riacquisto della cittadinanza italiana, secondo quanto previsto dall’art. 13 della legge 91/92 – sollecitata il 29 gennaio scorso – alla quale non è ancora pervenuta risposta e nella quale lamentavo scarsa informazione, procedure discordanti tra i diversi Comuni italiani e lentezze burocratiche.
Sappiamo però che il 31 ottobre 2008 il Ministero dell’Interno ha diramato una circolare, numero 14, con la quale si comunica che le disposizioni già fissate con le circolari n. 32/2007 e n. 52/2007, fornite per l’iscrizione anagrafica, nei primi tre mesi di soggiorno in Italia, dei cittadini stranieri richiedenti il riconoscimento della cittadinanza italiana jure sanguinis si applicano anche ai cittadini stranieri richiedenti il riacquisto secondo le due modalità dei commi c e d, cioè immediatamente con dichiarazione di rientro in Italia ovvero automaticamente dopo 12 mesi di residenza e senza dichiarazione. La circolare 14 fissa analoga procedura: a seguito di alcuni quesiti al riguardo, si ritiene opportuno chiarire che le stesse indicazioni riguardano le richieste d’iscrizione anagrafica di coloro che intendono riacquistare la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 13, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91. E quali sarebbero le procedure, fissate già dalle circolari 32 e 52 del 2007? La circolare 32, rispondendo alle nuove disposizioni sul permesso di soggiorno introdotte con la legge 28 maggio 2007, n. 68, fissa modalità per la dichiarazione alle autorità di frontiera per gli stranieri che non provengono da Paesi dell’area Schengen, utili anche per il riconoscimento della cittadinanza italiana “jure sanguinis”. La circolare 52, invece, a seguito di apposito decreto ministeriale 26 luglio 2007, descrive che tipo di dichiarazione: ai fini dell'iscrizione anagrafica dei soggetti provenienti da Paesi che non applicano l'accordo di Schengen, e che intendono richiedere il riconoscimento della cittadinanza jure sanguinis, è sufficiente - ai fini della dimostrazione della regolarità del soggiorno - l'esibizione del "Schengen" apposto sul documento di viaggio dell'Autorità di frontiera.
La circolare 14 del 2008, infine, ci dice che anche per il riacquisto come per il riconoscimento si applicano analoghe procedure, quindi non serve il permesso di soggiorno e basta, ai fini dell’iscrizione anagrafica, avere sul passaporto l’esibizione del timbro “Schengen”. L’eliminazione del “permesso di soggiorno” risolve un problema serio relativo alle lungaggini per ottenerlo e semplificano tutta la procedura, sia per il riconoscimento sia per il riacquisto. Resta da vedere se l’azione d’informazione ai comuni, alla polizia di frontiera e a tutti i soggetti interessati sia stata sufficiente. Visto il ritardo con il quale il Ministero degli esteri mi risponde sospetto che siano molti, troppi a non sapere delle decisioni prese. Invito tutti i connazionali che si avvarranno di questa procedura a segnalarmi anomalie nella sua applicazione.
Le proposte di riforma della legge sulla cittadinanza - Norme in materia di cittadinanza:C. 103 Angeli, C. 104 Angeli, C. 457 Bressa, C. 566 De Corato, C. 718 Fedi, C. 995 Ricardo Antonio Merlo, C. 1048 Santelli, C. 1592 Cota, C. 2006 Paroli e C. 2035 Sbai – sono bloccate in Commissione affari costituzionali. Governo e maggioranza non appaiono interessati a farle procedere con celerità. Nonostante le sentenze della magistratura stiano cominciando a dare ragione a tanti nostri connazionali. Sulla sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione siamo in attesa di una circolare del Ministero dell’Interno. Per effetto di tale sentenza deve essere riconosciuto il diritto allo status di cittadinanza italiana ai richiedenti nati all’estero da figli di donna italiana coniugata con cittadino straniero e privata della cittadinanza italiana a causa matrimonio in base alla legge n. 555 del 1921.

giovedì 12 marzo 2009

FEDI (PD): INTERROGAZIONE PER SALVAGUARDARE RETE CONSOLARE

“Non si può penalizzare – afferma l’On. Marco Fedi (Partito Democratico) – la rete consolare in Germania, i cittadini italiani che ne usufruiscono, i dipendenti che vi lavorano e in senso lato le relazioni del nostro Paese all’estero. Anziché tagliare sedi consolari, la Farnesina razionalizzi le spese”. Questo il senso dell’interrogazione a risposta scritta al Ministro degli Affari Esteri presentata nei giorni scorsi dall’On. Fedi insieme al collega On. Gino Bucchino.
Nell’interrogazione si legge che “la preannunciata chiusura di sedi consolari quali Norimberga, Hannover e Saarbrücken costituirebbe un grave danno ai rapporti politici, economici, culturali e commerciali esistenti con il nostro Paese” e “il personale a contratto assunto in loco verrebbe sradicato, con i propri familiari, dalla realtà socio-lavorativa che ha caratterizzato finora il suo rapporto di lavoro col Ministero degli Affari Esteri, per essere probabilmente trasferito in sedi (Monaco di Baviera, Amburgo) non in grado di assorbire logisticamente gli stessi eventuali trasferimenti”. Ciò avverrebbe, per di più, in una situazione, quella della comunità italiana in Germania (la maggiore fuori dai nostri confini), che presenta alcune criticità rilevate dalle statistiche in merito all’integrazione nel contesto scolastico, sociale, lavorativo e linguistico, soprattutto per quanto riguarda le generazioni più giovani.
Del resto, continua l’On. Fedi, “la ristrutturazione della rete consolare ai sensi del comma 404 dell‘art. 1 della Legge Finanziaria del 2007, è stata appena conclusa con il conseguente accorpamento di alcune rappresentanze presso Organizzazioni Internazionali e con l'accorpamento di alcuni Consolati” e ad oggi “non esistono altri obblighi normativi che prescrivano nuovi obiettivi di risparmio da raggiungere mediante la chiusura di sedi consolari”.
Pertanto, il parlamentare eletto all’estero chiede se il Ministero non possa invece percorrere un’altra strada rispetto alla soppressioni di sedi non previste dalla Finanziaria, “adottando una più oculata e attenta politica di contenimento delle spese ed una maggiore coerenza con i criteri di gestione economica del personale inviato all’estero, limitandone di conseguenza gli effetti sulla rete consolare che deve invece rispondere ai bisogni delle nostre comunità”.

Il PD: all’estero siamo ancora vincenti!

Non è facile affrontare il popolo dei democratici che all’estero ha sostenuto la scelta del Partito Democratico. Sono amareggiati dal calo di consensi registrato nelle ultime consultazioni elettorali. Sono preoccupati dai sondaggi che danno il PD in ulteriore discesa alle prossime europee. Sono preoccupati dalla lentezza con la quale stiamo costruendo il partito democratico e perplessi dall’incapacità di uscire dal tunnel dell’emergenza nel quale la politica del centro-destra ha trascinato il Paese. Ma non sono delusi. Continuano a credere nel PD, si sentono rappresentati dal lavoro del segretario Franceschini e percepiscono nuovamente tutti gli elementi positivi di una “sfida aperta” fino al congresso d’autunno.
Sono davvero convinti della scelta fatta. Una scelta che non è maturata nel vuoto. Alla costruzione del Partito Democratico hanno dedicato passione, energie e idee centinaia di migliaia di donne e uomini, in Italia e nel mondo. Sono stati in molti a ripeterlo, durante la serie di incontri tenutisi a Melbourne.
Il tesseramento continua con risultati positivi, sia a Melbourne che a Sydney che nelle altre capitali australiane. La data delle primarie – tra maggio e giugno 2009 – sarà concordata nelle prossime settimane: un election day per i circoli PD d’Australia.
Cresce la voglia di impegnarsi, di fare arrivare la voce di protesta contro le scelte del Governo. Sulla politica per le comunità italiane nel mondo, fino ad oggi caratterizzata dalla mancanza di proposta della maggioranza e da meno servizi, meno risorse, meno democrazia. Sulle logiche dell’emergenza che alimentano ancora il dibattito sulla sicurezza, relegandovi la discussione sull’immigrazione e sulle politiche d’integrazione. Sulle ronde cittadine che affiancano la presenza militare e che – insieme – contribuiscono ad aggravare il lavoro delle forze dell’ordine e a rendere le città italiane, di fatto, meno sicure. Maggioranza disattenta anche sulle scelte per fronteggiare la crisi – che hanno escluso i residenti all’estero – a fronte di un “bonus” che invece l’Australia ha corrisposto anche ai residenti in Italia. Una maggioranza che non risponde alla crisi economica e sociale. A un Governo Berlusconi che, mentre si accinge ad accorpare elezioni europee e amministrative, tiene fuori il referendum popolare sulla materia elettorale, che pure dovrà svolgersi, nonostante il risparmio economico e l’ovvia coincidenza elettorale. E non prende impegni per approvare una nuova legge elettorale nazionale che eviti lo svolgersi del referendum stesso. Governo e maggioranza che vorrebbero riformare le regole del confronto parlamentare non per rendere più efficace l’azione del Parlamento, attraverso un migliore funzionamento delle Commissioni, ma per ridurre il ruolo del Parlamento a sede di “ratifica” dei decreti del Governo. Comprende Berlusconi che un sistema dove votino i capigruppo richiede un rapporto tra maggioranza e opposizioni – nel costruire le proprie posizioni e i propri emendamenti sui provvedimenti – che oggi, a causa dell’atteggiamento della maggioranza, non esiste? Esistono solo le battute del Presidente del Consiglio, neanche molto divertenti. Se la maggioranza volesse aprire anche un confronto su una “nuova cultura parlamentare” nel nostro Paese, promuovendo una nuova dimensione nei rapporti con l’opposizione, fatta di rispetto e ascolto, sarebbe doveroso mostrare interesse. Ma non è questo di cui si sta parlando.
Le nostre comunità sono particolarmente interessate ai cambiamenti che avvengono in Italia. E gli iscritti al PD chiedono momenti di confronto su questi temi anche all’estero. Propongono le giornate del PD all’estero per riprendere il filo della discussione avviata con le primarie, continuata con le elezioni politiche e la costruzione del PD all’estero. La nostra gente ci ricorda che la rete consolare è lo strumento di servizio per le comunità all’estero, deve essere dotata di risorse, personale e moderne tecnologie adeguati e in grado di rispondere ai bisogni dei cittadini italiani. Vergognoso parlarne in toni diversi, come se i cittadini italiani all’estero non avessero eguali diritti e doveri davanti alla nostra Costituzione. Impegni per la cittadinanza ci chiedono i democratici d’Australia, per riaprire i termini per il riacquisto della cittadinanza italiana ma non perdere l’attenzione nei confronti degli immigrati. La grande ricchezza di lavoro, esperienza di vita, lingua e cultura che l’immigrazione porta nel nostro Paese. Riconoscere questi elementi significa valorizzare anche l’esperienza dell’emigrazione.
Il PD ritiene fondamentale anche rafforzare i livelli di rappresentanza – dai Comites, al CGIE, alla presenza nel Parlamento della Repubblica. La loro riforma non può essere un esercizio di potere, percepito con distanza dalle comunità, legato a interessi diversi dalle necessità comunitarie, svincolato da qualsiasi momento di dialogo e consultazione, tendente a ridurre gli spazi di democrazia e di confronto. Possiamo anche avere coraggio e fare riforme ampie e “rivoluzionarie” ma non possiamo nascondere le responsabilità del Governo né nasconderci dietro false prospettive per il futuro. Per “rifondare” un senso di comunità, d’investimento, di partecipazione e protagonismo in questo settore, occorre avere idee, impegno e vero coraggio politico nell’ascolto. Un percorso di riforma con queste caratteristiche interessa il PD Australia.

martedì 10 marzo 2009

Rafforzare ruolo comunitario e competenze dei Comites

“Gli incontri con la comunità italiana e con i Comitati degli italiani all’estero sono preziosi momenti di approfondimento dei temi che riguardano le comunità all’estero”. “Come parlamentare è stato per me utilissimo partecipare all’incontro del 7 marzo scorso con i Presidenti dei Comites d’Australia seguito subito dopo da un incontro con la comunità italiana del Victoria” – ha sottolineato l’On. Marco Fedi, appena rientrato da Melbourne.
“I Presidenti dei Comitati hanno espresso l’auspicio che si modifichi la Costituzione mantenendo una rappresentanza parlamentare che sia espressione delle comunità all’estero”. “In ogni caso non intendono rinunciare all’esercizio in loco del diritto di voto” – ha spiegato Fedi.
“Comites e comunità italiana chiedono una riforma dei Comitati che ne rafforzi il ruolo comunitario, le competenze, la democrazia – ampliando la partecipazione di donne e giovani – e la capacità di spesa, oggi limitata da tante interpretazioni restrittive”. “Propongono una legge di riforma del CGIE che porti a una riduzione sia del numero dei componenti che del numero di riunioni, ad un maggiore collegamento con i Comites, sia con le assemblee continentali che la plenaria e quindi ad una maggiore funzionalità”. “Soprattutto chiedono che si proceda celermente ad un confronto su questi temi, alla convocazione di un “summit” con le comunità italiane nel mondo ed i suoi rappresentanti, per far partire il dialogo e il confronto sulle riforme, lavorando per recuperare risorse rispetto ai tagli gravissimi che hanno colpito sia i capitoli di bilancio del MAE a favore delle comunità che la rete diplomatico-consolare”. “Il nostro lavoro nei prossimi mesi deve partire da questi utili suggerimenti” – ha concluso l’On. Marco Fedi.

Più informazioni, chiarezza e trasparenza

“L’avvio dell’ennesima campagna di verifica reddituale per i pensionati residenti all’estero – con modalità analoghe alle precedenti – solleva giustamente una serie di perplessità. Fa bene Cesare La Stella, del Patronato EPASA di Adelaide, a sollevarle. Alle sue giuste sollecitazioni aggiungo anche il ritardo nel predisporre la verifica annuale, il termine di 90 giorni per la restituzione che, oltre ad essere largamente insufficiente, affolla inutilmente le sedi di patronato all’estero, la mancanza di chiarezza e informazione, tra Istituti, sulla natura di prestazioni come il “bonus” erogato dal Centrelink o la 14esima erogata dall’INPS” – ha dichiarato l’On. Marco Fedi rispondendo ad una nota inviata da La Stella. “Le misure anticrisi adottate dal Governo australiano – tra le quali un bonus esentasse corrisposto anche ai pensionati residenti in Italia – non possono trasformarsi in una penalizzazione per i pensionati INPS”.
“Nell’interrogazione che ho predisposto chiedo chiarimenti su questi aspetti, oltre a ribadire la necessità di maggiore chiarezza e trasparenza e informazione ai cittadini, ai Patronati e tra Istituti stessi” – ha concluso l’On. Marco Fedi. Ecco il testo dell’interrogazione:

Atto CameraInterrogazione a risposta scritta
presentata da
MARCO FEDI martedì 10 marzo 2009

FEDI -
Al Ministro del Lavoro.

- Per sapere - premesso che:
la campagna RED./EST. 2009 dell’INPS si pone l’obiettivo principale di verificare i redditi prodotti all’estero per gli anni 2006-2007-2008,

occorre inoltre procedere alla chiusura delle partite lasciate in sospeso in relazione agli anni 2002, 2004 e 2005 che, secondo i dati dell’Istituto, ammontano a circa 31.000 posizioni assicurative,

la verifica su base triennale comporta un lavoro enorme di ricostruzione dei redditi e determina il crearsi di indebiti nei confronti dell’Istituto, talvolta anche per importi considerevoli,

i Patronati sono autorizzati all’invio dei dati reddituali in forma elettronica, oltre alla compilazione in forma cartacea, da restituire all’INPS entro 90 giorni dalla data di ricevimento della richiesta,

i redditi derivanti da prestazione estera sono comunicati all’INPS dal pensionato e non dall’Istituto estero,

non vi è sufficiente chiarezza nelle comunicazioni relative ai redditi derivanti da specifiche prestazioni erogate dagli Istituti pensionistici, sia per l’INPS che per gli Istituti esteri,

in particolare nella certificazione dell’art.10 relativa alla Convenzione bilaterale in materia di sicurezza sociale in vigore tra Italia e Australia, laddove non vengono specificate le esclusioni da prestazioni derivanti da misure per contrastare la crisi economica come il “bonus” corrisposto dal Centrelink -:

se si intenda prevedere la verifica dei redditi prodotti all’estero su base annuale;

se si intenda verificare l'adeguatezza delle informazioni contenute nel certificato di pensione e nella certificazione relativa all’art. 10 della Convenzione tra Italia e Australia relativamente a prestazioni specifiche come la 14esima corrisposta dall’INPS;

se si intenda estendere a 120 giorni il termine per la restituzione, garantendo quindi un più ampio periodo di tempo per la compilazione delle dichiarazioni reddituali, anche al fine di evitare l’eccessivo affollamento degli uffici di Patronato operanti all’estero.

mercoledì 4 marzo 2009

La virgola, da crisi economica!

I numeri della crisi italiana

Mentre Tremonti e Berlusconi parlano di un’Italia “messa meglio degli altri”, arriva la doccia fredda dei dati inconfutabili.
L'Italia, assieme al Giappone (-0,7%) è l'unico paese industrializzato che ha chiuso i conti del 2008 con una discesa del Pil. Negli altri maggiori paesi, infatti, il prodotto lordo è aumentato dell'1,3% in Germania, dell'1,1% negli Stati Uniti, dello 0,7% nel Regno Unito e in Francia. Nel 2008 il Pil italiano è diminuito dell'1,0%, contro un’errata previsione governativa del -0,6%. Bisogna tornare indietro di 23 anni (al 1975) per trovare una caduta così ampia del prodotto interno lordo. Purtroppo il 2009 andrà anche peggio: secondo tutti i maggiori centri di ricerca il Pil dovrebbe registrare una caduta compresa tra il 2,5 e il 3%.
L’Istat avverte anche che sono in crollo del 3,7% le esportazioni di beni e servizi (quindi la competitività del Paese), mentre le importazioni sono scese del 4,5%, a dimostrazione di una domanda interna che non tira..
Non basta. Il lavoro fatto dal centrosinistra sui conti pubblici è già stato compromesso dal governo delle destre: il rapporto tra deficit e Pil, sempre per il 2008, si è attestato al 2,7, rispetto all’1,5% ereditato l’anno prima.
Di fronte a tutto ciò, inquieta molto la ripresa dell’inflazione: +0,2% nel mese; +1,6% rispetto al febbraio 2008, la stessa variazione di gennaio. L'inflazione al netto dei prodotti energetici si è attestata addirittura al +2,2% (+2,3% a gennaio).
Questi numeri sono pietre. Nonostante ciò il capo del governo continua a vantare sicumere e fare battutacce nei summit internazionali.

Emergenza lavoro (aggravata dal governo)

Gli effetti della recessione non tardano a scaricarsi anche sui livelli occupazionali. Si stima che nel 2009 si perderanno dai 40 ai 75mila posti di lavoro al mese. Il governo nel frattempo stanzia solo 150 milioni di euro degli 8 miliardi annunciati per gli ammortizzatori sociali, mentre da più parti avanza la richiesta di estendere la cassintegrazione a tutti coloro che perdono il lavoro.
E, come se non bastasse, Brunetta annuncia che il governo varerà una norma tale da impedire la stabilizzazione di 60.000 precari del pubblico impiego che avrebbero dovuto essere messi in ruolo a partire dal prossimo 1° luglio. Si tratta di un’idea scriteriata che, oltre a colpire l’efficienza dei servizi pubblici offerti ai cittadini, contribuisce ad approfondire una ferita già aperta, mandando a casa decine di migliaia di precari, spesso giovani. Non resta che sperare che l’esecutivo faccia un passo indietro.

Il Pd ha le idee chiare: l’assegno di disoccupazione

Potrebbe sembrare, di primo acchito, una di quelle uscite a cui ci ha abituato lungo questi anni l’attuale premier Berlusconi. Invece, l’assegno ai disoccupati proposto qualche giorno fa dal nuovo segretario del Pd Dario Franceschini è un’idea concreta e realizzabile per dare sollievo alle vittime della crisi e per rimettere in moto i consumi. Ma forse, è proprio per questa sua fattibilità che Berlusconi, aduso a grandi promesse dagli esiti incerti, l’ha liquidata con una battuta.
Tuttavia, ha fatto bene Franceschini a ricordare al presidente del Consiglio che quel rifiuto a discutere non è “no” al Pd, quanto una porta sbattuta in faccia a chi in questo momento paga le conseguenze più dure della recessione.
Staremo a vedere come il governo si comporterà in parlamento, quando a breve dovrà votare la mozione del Pd che lo impegna a prendere iniziative in tal senso entro fine mese.
Ma veniamo ai dettagli. L’assegno mensile sarebbe pari al 60% dell'ultima retribuzione. Il costo per lo Stato sarebbe di 4 miliardi di euro. Come reperirli? Sono quattro gli strumenti di copertura indicati. In primo luogo, una ripresa della lotta all’evasione fiscale, a cominciare dalla tracciabilità dei corrispettivi, dal limite massimo dei trasferimenti in contanti e dal ripristino delle sanzioni per le imposte evase. Secondariamente, l’introduzione per una centrale unica per gli acquisti della pubblica amministrazione, che risulterebbero così razionalizzati. A ciò si aggiunga la ricostituzione della commissione ministeriale di monitoraggio sulla spesa pubblica. Infine, molto potrebbe essere ottenuto dall’uso immediato di parte delle risorse che lo Stato non impegnerà per la Cassa Integrazione nell’ambito del protocollo sottoscritto dal governo con le regioni. Risorse stimate attorno ai 5 miliardi, altrimenti disponibili solo fra diversi mesi.
Nel frattempo, la Cgil ha avanzato un’altra buona proposta per reperire danaro da usare per la spesa sociale: aumentare le aliquote fiscale ai redditi dei più ricchi (sopra i 150.000 euro), in passato abbassate dai governi di centrodestra. Non è, del resto, ciò che ha fatto anche il neopresidente Obama?