martedì 30 giugno 2009

Il ritorno degli invisibili

Strange days – strani giorni per Adelaide, Brisbane, Durban e per molti altri Consolati in Africa, in Europa e negli Stati Uniti. Sono i giorni degli incontri, delle riflessioni, delle proposte e delle tante domande. Domande alle quali – con molta umiltà – ho cercato di dare una risposta in questi giorni di presenza in Australia. Anche se le risposte vere non mi competono. Meno ancora gli annunci sulle chiusure di Consolati. Annunci che hanno fatto nascere queste domande e che hanno sconvolto la vita di intere comunità. Comunità che hanno anche dimostrato una inaspettata capacità di azione: proteste per la chiusura di Consolati, richiesta di maggiore attenzione agli sprechi delle nostre pubbliche amministrazioni, inclusi gli Esteri, proposta politica per discutere le vere riforme per gli italiani all’estero. Ringrazio queste comunità. Nuovamente ho imparato molto dalla loro capacità di vedere i problemi distaccandosi dall’immediatezza delle polemiche e dalla confusione delle posizioni di parte. Eppure molti hanno scelto, oggi, da che parte stare e non torneranno più indietro.
La giornata si era aperta con il mio arrivo all’aereoporto di Adelaide e i primi titoli dei quotidiani australiani che parlavano dei problemi del Premier Berlusconi. Ho detto a me stesso che non ne avrei parlato, che mi sarei limitato all’oggetto della mia visita, cioè la rete consolare, le riforme, la ricostruzione in Abruzzo e le pessime scelte del Governo per gli italiani all’estero. Non solo. Intendevo farlo nel modo più razionale possibile ed oltre la mia parte politica di opposizione, targata Partito Democratico.
Non ho il tempo neanche di finire il mio pensiero su una presunta “imparzialità” che arriva la prima domanda: cosa fate voi Parlamentari eletti all’estero, e voi del PD in particolare? Rispondo che mai come in questa occasione, da parte degli eletti all’estero, vi è il totale impegno di tutti, oltre le parti politiche, per modificare questa decisione. Noi del PD facciamo opposizione, forte, alle scelte, sbagliate, del Governo. Lo abbiamo fatto dall’inizio della legislatura contro i tagli, contro le discriminazioni all’esonero ICI, che non riguarda i residenti all’estero, ora anche i contributi per la ricostruzione in Abruzzo escludono i residenti all’estero. Perchè da quando abbiamo i Parlamentari eletti all’estero le nostre condizioni peggiorano? Spiego che non è così. Che con il Governo Prodi eravamo riusciti, nonostante una finanziaria molto dura, a far aumentare le dotazioni dei capitoli per gli italiani all’estero, che avevamo esteso ai residenti all’estero le detrazioni per carichi di famiglia, l’ulteriore detrazione ICI, la “quattordicesima” sulle pensioni. Non è il Parlamento che chiude i Consolati ma il Governo Berlusconi, che potrebbe fare altre scelte. Quello degli italiani all’estero era un mondo per molti anni dimenticato, lasciato ad una sua condizione di stabilità emotiva e culturale, gestita da una rappresentanza – Comites e CGIE – che a momenti era apparsa anche stanca, e che improvvisamente era tornato a parlare, ad essere visibile. Mi rendo conto di questa dimensione mentre parlo! Ed oggi tutti tornano a fare bene il loro dovere di rappresentanza, con una unità di intenti mai registrata prima, contro i tagli, contro le discriminazioni ai danni dei residenti all’estero e contro le chiusure di consolati.
Ma anche nella trascorsa legislatura avete chiuso Consolati – mi chiedono! Il problema qui, infatti, non è chi ha chiuso meno e chi ha chiuso meglio o chi ha utilizzato motivazioni più o meno razionali. Il problema è capire, tutti, che per mantenere la nostra rete diplomatico-consolare, dato un bilancio di partenza del MAE che è largamente insufficiente, date le continue riduzioni di bilancio e data la necessità di aprire le nostre “finestre” in altri Paesi, dobbiamo rivedere il modo in cui siamo rete consolare all’estero oppure tagliare i rami secchi di una spesa da rivedere interamente. Possiamo in altre parole realizzare dei risparmi per poi investire in nuove reti, per migliorare le reti esistenti e posizionarci per il futuro della “cittadinanza elettronica”. Le chiusure sono ingiuste, sempre, se non accompagnate da un progetto di vero rilancio della nostra presenza nel mondo. Lo dicemmo anche al governo di centro-sinistra anche perchè le proteste sono sempre indirizzate ai Governi in carica.
Perchè questa chiusura? Dove rinnoverò il mio passaporto visto che sono solo cittadino italiano.... mi verrebbe voglia di diventare australiano e rinunciare a quella italiana... Dico che reagire in questo modo è sempre sbagliato, anche se capisco le ragioni emotive di una reazione di questo tipo. Penso allo splendido esempio di civiltà che date ogni giorno all’Italia, alle tante disillusioni ed alle attese ancora vive nelle speranze della gente e dico che vale la pena ancora lavorare insieme per modificare questa decisione e per fare le riforme che da tanti anni il mondo degli italiani all’estero attende. Dalla cittadinanza alla riforma dell’insegnamento della lingua italiana nel mondo, sono queste le priorità. Ma oggi Governo e maggioranza le allontanano queste priorità. Non solo. Esiste una visione degli italiani all’estero distorta. Non sei cittadino, non conti, se parli male italiano... dice un anziano “vecchio australiano”, espressione che ricorda a tutti che è qui da una vita. Caro vecchio australiano è proprio così: non solo in Australia ma anche in America Latina, l’Italia si permette oggi il lusso di pretendere l’italianità della purezza, anche linguistico-culturale. È il prezzo che paghiamo per il leghismo nostrano che domina la coalizione di centro-destra e che oggi detta le regole d’ingaggio con le nostre comunità.
Forse ci ripensano – dice speranzoso un giovane che parla delle possibilità di mantenere Detroit per l’arrivo della Fiat. Spero anch’io che questo piccolo miracolo di coincidenze da “very strange days” ci porti buone notizie. E mi viene in mente il titolo di una canzone da scrivere, Noi che non viviamo a Detroit .... di un film-documentario da girare e di una storia comunque da raccontare: il ritorno degli invisibili.

giovedì 25 giugno 2009

L’On. Marco Fedi designato Presidente della Sezione bilaterale di amicizia Italia-Australia


Il Gruppo Italiano dell’Unione Interparlamentare della XVI Legislatura, presieduto dall’On. Antonio Martino, ha iniziato l’iter di ricostituzione delle Sezioni bilaterali di amicizia che rappresentano uno degli strumenti di diplomazia parlamentare.

L’On. Marco Fedi, deputato eletto nella Circoscrizione Estero per la ripartizione Africa, Asia, Oceania e Antartide, è stato confermato Presidente della Sezione bilaterale di amicizia Italia-Australia. Fedi aveva ricoperto questo incarico nella precedente legislatura.

Necessario uno sforzo comune per migliorare la qualità del sostegno alla diffusione di lingua e cultura italiane nel mondo: a partire dalle risorse

La relazione del Ministero degli Affari esteri sull’attività svolta dalla Società Dante Alighieri è stata occasione utile – oltre a fare il punto sulla situazione specifica dell’ente – per approfondire il tema generale dell'insegnamento della lingua italiana nel mondo.
Un’attività – ha ricordato l’On. Marco Fedi – che è svolta dagli istituti di cultura, dalla Società Dante Alighieri, dagli enti gestori e dalle scuole italiane all'estero, laddove esistenti.
Nel condividere le considerazioni contenute nella relazione sulla presenza ed attività della Società Dante Alighieri nel mondo, l’On. Fedi ha segnalato tuttavia l’esigenza che si proceda ad una valutazione sugli strumenti migliori per lo svolgimento di tale attività, tenendo conto della distinzione tra programmi di insegnamento curricolare e programmi rivolti al terziario o in generale agli adulti. In una situazione di riduzione delle risorse economiche a disposizione di questo settore, con i forti tagli operati dal Governo agli stanziamenti per i corsi, si rende necessario svolgere, su questi temi, una riflessione politica approfondita. Questa è una vera autentica emergenza.
Siamo disponibili a un confronto aperto con il Governo e con la maggioranza, congiuntamente ai colleghi del Senato, poiché le riduzioni di bilancio per gli anni futuri minacciano la capacità di penetrazione e la stessa esistenza di lingua e cultura italiane nel mondo. Anche su questi temi sarebbe utile partire dalle proposte di legge già presentate in Parlamento e dalle analisi e proposte del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero.

Dal mondo forti proteste per la chiusura di consolati

Congelare la decisione di declassare e chiudere 22 consolati nel mondo ed attivare un tavolo di discussione con il Parlamento. Un tavolo di discussione che consenta anche ai parlamentari di conoscere e di approfondire adeguatamente il progetto per la realizzazione del consolato elettronico. Questa è la proposta avanzata dall’On. Marco Fedi in sede di audizione del Sottosegretario di Stato agli Affari esteri, Sen. Alfredo Mantica, davanti alle Commissioni Esteri di Camera e Senato.
Da Adelaide a Brisbane fino a Durban, dall’America del Nord all’Europa, le annunciate chiusure di Consolati hanno sollevato forti proteste e manifestazioni di dissenso rispetto alla scelta del Governo e forti preoccupazioni sollevate anche dai Governi locali. Nella capitale dello Stato del South Australia, Adelaide, la voce di protesta è arrivata in Parlamento.
La preoccupazione si ritrova nelle parole di una mozione, nelle posizioni unitarie di parlamentari di maggioranza e opposizione e nel comunicato del Premier statale Mike Rann. La forte richiesta di invertire il senso di marcia, di non adottare questa decisione annunciata, di mantenere inalterati i rapporti con gli Stati, rappresentano una aperta critica al Governo ma, allo stesso tempo, paradossalmente, anche un apprezzamento per il lavoro svolto negli anni dalla nostra rappresentanza e dal personale consolare”.
Su questi temi sarebbe necessario unirci nell’affermazione di principi, fare squadra attorno all’idea di servizio per le comunità e di azione diplomatica con gli Stati – che negli anni ci hanno consentito di raggiungere importanti traguardi bilaterali – piuttosto che dividerci tra interessi geografici, tra personale di ruolo e a contratto, tra chi pensa si possa spendere meglio, eliminando il superfluo, e chi vede solo le urgenze ed i buchi da tappare con i tagli. Credo questo sia il momento dell’azione comune. Dobbiamo lavorare affinché il Governo fornisca elementi di chiarezza su come intende gestire i servizi. Condivida le strategie di medio e lungo corso, la politica di investimenti, le soluzioni per sopperire alla chiusura di sedi nel mondo. Non ci sono vincitori e vinti, ma solo un Governo che appare sempre più disperato nel racimolare risorse che andranno a tante cose fuorché quella rete consolare, che invece chiede investimenti proprio per essere adeguatamente riorganizzata. Ora la logica non può essere quella della distanza: forse in Europa un ragionamento strettamente “podistico” può essere adottato. Oggi abbiamo un secondo compito: dire chiaramente che tipo di Paese vogliamo essere e che tipo di organizzazione vogliamo darci, per esserlo anche all’estero.
Ci dica il Governo come intende realizzare una vera riorganizzazione. Ci presenti un programma serio di lavoro e su quello – anche da posizioni diverse – potremo discutere e confrontarci. Ciò che abbiamo davanti è l’ennesima manovra di riduzione dei costi, peraltro anche minimi se a regime, nel 2012, si parla di un risparmio di 8 milioni di euro. Nei prossimi giorni e mesi ciascuno con le proprie responsabilità dovrà operare per invertire questo metodo di lavoro, per non arrivare alle emergenze e per garantire ai cittadini italiani i servizi che meritano – e non solo quelli che lo Stato italiano è in grado di fornire – e per rafforzare la nostra presenza diplomatica all’estero anziché indebolirla.
Noi crediamo sia possibile realizzare i risparmi necessari da investire nel rafforzamento e nell’ampliamento della rete consolare - che deve poter arrivare anche in quelle nuove realtà in cui è richiesta la presenza della nostra diplomazia e della nostra rete di servizi - sia attraverso tagli alle spese amministrative che attraverso l’utilizzo dei consolati onorari e degli sportelli di servizio.

venerdì 19 giugno 2009

FEDI (PD): Gli impegni veri sono quelli scritti nelle norme

Prima, durante e anche dopo l’approvazione definitiva del decreto per la ricostruzione in Abruzzo, il Governo continuerà a fare promesse e prendere impegni. La verità è che gli unici impegni veri sono quelli scritti nella legge – ha affermato l’On. Marco Fedi durante i lavori della Camera impegnata nell’iter di conversione del decreto legge 28 aprile 2009, n. 39, recante “interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile”, già approvato dal Senato.
In un ordine del giorno presentato ieri, i Deputati PD Fedi, Farina, Bucchino, Narducci, Garavini e Porta chiedono un impegno del Governo per estendere la concessione dei contributi per la ricostruzione anche ai residenti all’estero, indipendentemente dall’iscrizione AIRE.
Si tratta di emigrati e connazionali provenienti dall’Abruzzo che risiedono all’estero ed hanno negli anni mantenuto un forte rapporto con le realtà territoriali, L’Aquila compresa, colpite dal terremoto del 6 aprile scorso.
Molti di questi hanno conservato un intreccio affettivo, culturale ed economico con l’Abruzzo, anche se non hanno più la cittadinanza italiana e quindi non sono iscritti all’AIRE.
Grazie a questi forti legami hanno conservato e curato gli immobili ereditati dai loro genitori, hanno acquistato nuovi immobili e in molti casi hanno investito i loro risparmi nella costruzione o nell’acquisto di un’abitazione nei comuni colpiti duramente dal sisma.
Le istituzioni italiane – si legge nell’ordine del giorno – devono garantire analoga attenzione agli emigrati abruzzesi che risiedono fuori dai confini nazionali e che stanno manifestando – con le comunità italiane e locali – la loro solidarietà nei confronti delle zone colpite dal terremoto con raccolte fondi sostenute anche dai Governi dei Paesi di residenza.

FEDI (PD): No di Governo e maggioranza ai contributi per la ricostruzione in Abruzzo ai residenti all’estero

Dopo il passaggio al Senato il decreto sulla ricostruzione in Abruzzo è al vaglio della Camera dei Deputati. Governo e maggioranza hanno detto “no” ad un emendamento dell’opposizione che estendeva il diritto ai contributi per la ricostruzione anche ai residenti all’estero.
Un ennesimo no da parte di questa maggioranza e del Governo agli italiani residenti all’estero, nonostante la grande e forte opera di solidarietà di cui le comunità italiane nel mondo sono protagoniste.
Nei giorni scorsi erano state date ampie assicurazioni su questo tema ma il Governo intende lasciare un vuoto interpretativo su questi aspetti. Il PD ha denunciato l’ingiustizia, ha votato a favore degli emendamenti che sono stati respinti dalla maggioranza ed ha coerentemente ricordato la parità di trattamento come elemento centrale nella ricostruzione. Una fase di ricostruzione che dovrà, soprattutto nel centro storico de l’Aquila, inevitabilmente, tener conto della vicinanza delle abitazioni senza distinzione sulla residenza dei proprietari.

La virgola, d’inizio estate… calda ed eversiva

L’ennesimo annuncio di chiusura consolati arriva nella mattinata di una torrida giornata di metà giugno. L’abitudine al caldo, all’ascolto di proposte di smantellamento della rete consolare, vendute come “riorganizzazione”, l’abitudine a sentir parlare di necessità di contenimento e riduzione della spesa pubblica – abitudini conquistate sul campo – aiutano a superare la stanchezza, a resistere alle facili polemiche ed a cercare di comprendere come uscire – definitivamente – da questa fase di instabilità della nostra rete diplomatico-consolare. Pessime pratiche e cattive abitudini, forse anche il caldo, ci inducono ad una riflessione più approfondita del solito. Per fare rete consolare, al servizio dei cittadini, e rete diplomatica al servizio degli interessi del Paese, è necessario investire in informatizzazione, digitalizzazione, formazione ed innovazione tecnologica: chi sta facendo tutto ciò? La nostra rete consolare tradizionale offre un importante punto di rapporto con lo Stato italiano, tra cittadini e pubbliche amministrazioni, tra imprese e mondo degli scambi commerciali e dell’economia, tra l’Italia e gli altri Stati. Per queste ragioni aumentano le nostre preoccupazioni e perplessità. In che modo Ambasciatore e Consoli Generali saranno in grado, viste anche le limitate risorse, di agire localmente? Come potranno rispondere contemporaneamente, in Paesi come Australia e Sudafrica, a struttura federale, alle esigenze di Melbourne e Adelaide, Sydney e Brisbane, Johannesburg e Durban? Con quale personale e con quali risorse, considerato che il personale di ruolo non arriva, si è ampiamente al di sotto dell’organico minimo per quelle sedi e le risorse sono state decurtate, finanziaria dopo finanziaria? Per finire con l’autentica presa in giro sulle distanze: l’America Latina non sarebbe stata toccata per via delle distanze. Evidentemente agli Esteri hanno scarse cognizioni geografiche, il che aumenta le nostre preoccupazioni. L’America Latina non deve essere toccata perché ne conosciamo bene le condizioni!
In un mondo perfetto un cittadino italiano deve venire assistito ovunque si trovi. Per farlo bene occorre avere strumenti. Per avere strumenti occorre mettere in campo progetti, programmi e risorse. Oggi questa progettazione manca. E questo è l’aspetto più drammatico e triste.

Eversione!?!

L’estate inizia con lo spettro dell’eversione. Non certo la chiusura dei Consolati – anche se cancellare la presenza dello Stato italiano non potrà mai essere concepito come “alto senso dello Stato” – non certo i risultati elettorali che ci consegnano un’Italia sostanzialmente identica a quella che avevamo descritto alcuni mesi orsono, ma con alcuni tratti accentuati: Lega Nord che condiziona la maggioranza ormai su tutto, Governo incerto nel contrastare la crisi e alle prese con la limitatezza delle risorse – anche per la ricostruzione in Abruzzo.
La denuncia – come tante altre – arriva del Presidente del Consiglio dei Ministri.
I poteri forti vorrebbero mettere in discussione il risultato elettorale. Non ci è dato capire o sapere a quali fatti ci si riferisca: fatti che ovviamente dovrebbero andare oltre lo scudo del “lodo Alfano” per avere come conseguenza una crisi di Governo o le dimissioni del Premier. L’unica eversione – in questo momento – non è la possibilità che vi siano “scossoni” nella maggioranza: abbiamo avuto scosse e scossoni e continueremo ad averli. Basti pensare alle ronde civiche e alle ronde nere, alle intercettazioni telefoniche ed agli strani accordi interni alla maggioranza. E basta seguire la coerente e lineare azione del Presidente della Camera Fini per capire che nella maggioranza qualche cosa non va. L’unica manovra eversiva è quindi la denuncia stessa dell’eversione!
Ricostruzione, impegno, solidarietà ed… esclusione

Gli esclusi dai contributi per la ricostruzione sono i non-residenti, nonostante gli emendamenti del Partito Democratico. No di Governo e maggioranza ai contributi per la ricostruzione in Abruzzo ai residenti all’estero
Dopo il passaggio al Senato il decreto sulla ricostruzione in Abruzzo è al vaglio della Camera dei Deputati. Governo e maggioranza hanno detto “no” ad un emendamento dell’opposizione che estendeva il diritto ai contributi per la ricostruzione anche ai residenti all’estero.
Un ennesimo no da parte di questa maggioranza e del Governo agli italiani residenti all’estero, nonostante la grande e forte opera di solidarietà di cui le comunità italiane nel mondo sono protagoniste.
Nei giorni scorsi erano state date ampie assicurazioni su questo tema ma il Governo intende lasciare un vuoto interpretativo su questi aspetti. Il PD ha denunciato l’ingiustizia, ha votato a favore degli emendamenti che sono stati respinti dalla maggioranza ed ha coerentemente ricordato la parità di trattamento come elemento centrale nella ricostruzione. Una fase di ricostruzione che dovrà, soprattutto nel centro storico de l’Aquila, inevitabilmente, tener conto della vicinanza delle abitazioni senza distinzione sulla residenza dei proprietari.

lunedì 15 giugno 2009

FEDI (PD): Affermare un principio per tutelare al meglio i residenti in Italia e in Lussemburgo

I tempi sono maturi per un’azione comune tesa a evitare sia la tassazione concorrente sia la doppia imposizione fiscale. La convenzione tra Italia e Lussemburgo sulle imposizioni fiscali ha determinato in concreto uno “stallo” interpretativo – ha dichiarato l’On. Marco Fedi nel suo intervento ai lavori della conferenza organizzata dal Circolo del PD Agorà in collaborazione con il Patronato INCA, la CGIL e il sindacato lussemburghese OGBL.
Le Convenzioni bilaterali non modificano le legislazioni nazionali e generalmente in esse si afferma un principio – come per il modello OCSE che prevede l’imposizione fiscale unicamente nel paese di residenza – e non è possibile prevedere norme che facciano riferimento alle condizioni migliori, sotto il profilo fiscale, di entrambi i Paesi. È vero però che dobbiamo farci carico – nel lavoro di costruzione di una soluzione – delle esigenze sia dei pensionati residenti in Lussemburgo che dei residenti in Italia.
I Deputati del PD eletti all’estero – ha ricordato l’On. Marco Fedi – hanno lavorato bene su questi temi. L’interrogazione presentata da Fedi e Bucchino, alla quale il MEF ha risposto alcuni giorni fa, dimostra anche una disponibilità da parte del Governo nell’affrontare e dare soluzione alla questione.
Riteniamo che la questione – ha rilevato l’On. Marco Fedi – non possa essere affrontata unicamente nel tentativo di chiarire l’aspetto “interpretativo dell’articolo 18”, con lo scopo di eliminare i potenziali casi di contenzioso in sede giudiziaria e lasciando inalterato il meccanismo della tassazione concorrente e della doppia imposizione fiscale.
L’impegno comune – dimostrato dal Partito Democratico e dai suoi eletti – è di trovare una soluzione che, nell’affermare i principi generali OCSE, tuteli al meglio i nostri connazionali nel momento in cui, diventando titolari di una pensione, hanno anche il diritto di non vederla tassata due volte.
15 giugno 2009
Testo del documento predisposto dagli On. li Fedi e Bucchino
L’articolo 18 della convenzione tra l’Italia e Lussemburgo sulle imposizioni fiscali – si legge nel documento predisposto dai Deputati Fedi e Bucchino – non disciplina in maniera inequivocabile la potestà impositiva sulle pensioni dei dipendenti privati da parte dei due Stati. Al primo comma dell’articolo 18 “Pensioni e prestazioni della previdenza sociale pubblica” è stabilito che le pensioni pagate ad un residente di uno Stato contraente sono imponibili soltanto nello Stato di residenza, al secondo comma è invece stabilito che nonostante le disposizioni del comma 1 le pensioni pagate ai sensi della legislazione sulla previdenza sociale di uno Stato contraente sono imponibili dallo Stato erogatore (che può ovviamente non essere quello di residenza). La conseguenza di tale apparente contraddizione è un contenzioso interpretativo che non è mai stato risolto e il concreto paradosso che le pensioni sono sottoposte a tassazione concorrente da parte dei due Stati.
In particolare pagano le conseguenze di questa situazione i pensionati italiani residenti in Lussemburgo i quali, anche se si avvalgono della possibilità di chiedere il credito di imposta al fisco lussemburghese, vengono penalizzati perché non recuperano il totale della somma tassata alla fonte in Italia per la ragione che le aliquote fiscali per le pensioni sono più basse in Lussemburgo che in Italia. Gli interessati al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi in Lussemburgo possono scomputare dal proprio debito di imposta l’importo delle ritenute fiscali già versate in Italia. Sull’applicazione della normativa contraddittoria disposta dai due commi dell’articolo 18 si è introdotto un contenzioso interpretativo in ordine al contenuto del termine “previdenza sociale”. La Circolare n. 41/E dell’Agenzia delle Entrate del 21 giugno 2003 precisava che l’ambito applicativo del comma 2 dell’articolo 18 della Convenzione doveva essere circoscritto alle pensioni erogate in base alla legislazione di “previdenza sociale” (nel testo francese “securitè sociale”), indicando come tali solo le prestazioni a carattere non contributivo garantite dallo Stato al fine di perseguire obiettivi generali di solidarietà (maggiorazioni sociali, trattamento minimo, assegni familiari, ecc.).
Tuttavia il Lussemburgo (Direction Des Contributions Directes) rendeva noto nel 2004 all’Agenzia delle Entrate di non condividere tale interpretazione e che nell’ambito della “securitè sociale” andavano ricomprese l’insieme di tutte le prestazioni previdenziali obbligatorie volte a ricoprire tutti i rischi classici (vecchiaia, anzianità, invalidità, reversibilità, assegni familiari, incidenti sul lavoro, malattie professionali, carichi di famiglia, disoccupazione), ritenendo pertanto di estendere l’ambito applicativo del regime di tassazione concorrente previsto dal comma 2 dell’articolo 18 anche a tali prestazioni. L’Agenzia delle Entrate, di conseguenza, ribadiva successivamente – dando precise disposizioni all’Inps – che in assenza di una interpretazione certa ed univoca da parte dei due Stati contraenti ed in attesa di eventuali accordi amichevoli (come è stato fatto con la Francia), l’INPS in qualità di sostituto di imposta è tenuto ad assoggettare a tassazione i trattamenti pensionistici corrisposti ai residenti all’estero, compresi quelli corrisposti in Lussemburgo.
Analoghe difficoltà applicative insorte in materia di trattamenti pensionistici con riguardo alla Convenzione vigente con la Francia sono state affrontate con un Accordo amministrativo amichevole ad hoc – per evitare la modifica dell’Accordo che richiederebbe tempi molto lunghi - stipulato nel 2000. Tale accordo prevede che, nell’ambito del termine “sicurezza sociale” rientrano tutte le pensioni di vecchiaia, anzianità, invalidità e reversibilità erogate sia agli ex lavoratori dipendenti che autonomi. Per quanto riguarda il Lussemburgo abbiamo appreso che le autorità competenti italiane intendono contattare le corrispondenti autorità lussemburghesi e “risolvere” le difficoltà interpretative adottando gli stessi criteri, peraltro già applicati dall’Inps.
Secondo l’Agenzia delle Entrate tale soluzione “condivisa” sarebbe suggerita anche dall’OCSE nel nuovo paragrafo 28 del Commentario all’articolo 18, proprio in considerazione del fatto che la differenza di regimi giuridici tra gli Stati spesso non consente di elaborare una definizione precisa di sicurezza sociale.
Appare evidente che la soluzione adottata con la Francia e proposta anche per il Lussemburgo, se da una parte “chiarisce” il contenzioso interpretativo insorto sull’articolo 18 commi 1 e 2 della Convenzione contro le doppie imposizioni fiscali, dall’altra penalizza gli interessi dei pensionati italiani residenti in Lussemburgo i quali continuerebbero ad essere tassati sia dall’Italia che dal Lussemburgo e potranno recuperare in Lussemburgo solo una parte della ritenuta italiana.
Va tuttavia sottolineato che se i due Paesi contraenti uniformassero l’Accordo contro le doppie imposizioni fiscali alla maggioranza degli accordi in tale materia stipulati dall’Italia e quindi al modello standard dell’Ocse (che prevede la detassazione della pensione nel Paese di erogazione e la tassazione nel Paese di residenza), verrebbero invece penalizzati i pensionati italo-lussemburghesi rientrati in Italia i quali pagherebbero le tasse con la più alta aliquota italiana invece che con quella più bassa lussemburghese.

15 giugno 2009

sabato 13 giugno 2009

FEDI (PD): La rete consolare è una parte fondamentale della presenza dello Stato italiano all’estero

“La rete consolare è una parte fondamentale della presenza dello Stato italiano all’estero. Parlarne in termini di ‘razionalizzazione’, in assenza di un piano complessivo di riorganizzazione di questa presenza, offende il senso dello Stato dei cittadini italiani che vivono e si muovono nel mondo” – è questa la prima riflessione dell’On. Marco Fedi dopo l’annunciata chiusura di tante sedi consolari nel mondo.
“Ricevo ogni giorno segnalazioni su ritardi e inefficienze nel rapporto tra la pubblica amministrazione dello Stato italiano e i cittadini italiani che si trovano all’estero, nonostante l’impegno e la professionalità del nostro personale diplomatico e di ruolo e del personale a contratto nell’affrontare la gran mole di lavoro. A queste segnalazioni critiche ho sempre contrapposto l’impegno dello Stato italiano a rispondere ai bisogni dei cittadini, indipendentemente da dove essi vivono e lavorano.
L’efficienza è oggi legata sempre di più all’utilizzo delle nuove tecnologie e agli investimenti in informatizzazione, formazione e comunicazione. La realtà è che Governo e maggioranza non sono in grado di presentare un autentico piano di riorganizzazione della rete consolare e non hanno un serio programma di investimenti proprio in questi settori. Abbiamo degli annunci ma non conosciamo tempistica, qualità e quantità degli investimenti. Il Governo e la maggioranza prefigurano di fatto lo smantellamento della presenza dello Stato italiano all’estero”.
“Ci troviamo ad affrontare decisioni prese con la logica del “tagliare dove è più facile” come peraltro abbiamo già avuto modo di denunciare. Risponderemo con la mobilitazione delle nostre comunità e con proposte serie. Credo sia necessario che le comunità italiane nel mondo si rivolgano al Governo, al Parlamento ma anche al Capo dello Stato per segnalare la necessità di superare definitivamente l’attuale fase di instabilità e di garantire i servizi a tutti i nostri cittadini siano essi imprenditori, ricercatori, italiani temporaneamente all’estero – in missione o per lavoro o per turismo o per altre ragioni – o cittadini italiani permanentemente residenti all’estero”.

giovedì 4 giugno 2009

Intervista all’On. Marco Fedi (PD) su Emigrazione Notizie


2 giugno 2009

L’ultima Assemblea Plenaria del CGIE e il recente dibattito al Senato hanno fornito elementi significativi di chiarimento rispetto all’azione del Governo e alle urgenze degli italiani all’estero. Cosa ne pensa ?

Il CGIE ha un ruolo fondamentale di rappresentanza e di interazione con il Ministero degli Affari esteri e quindi i temi che riguardano da vicino la comunità italiana. La plenaria di metà maggio ha fornito un vero autentico elemento di chiarimento: esiste oggi un divario che non ha eguali nella storia dell’emigrazione italiana nel mondo tra scelte politiche di Governo e maggioranza – contrastate dal Partito Democratico – e le esigenze reali delle nostre comunità e le opportunità, che ancora esistono, per valorizzare il patrimonio di identità, culture, lingue e collegamenti che la presenza italiana nel mondo oggi rappresenta. Esiste una visione miope del mondo degli italiani all’estero, una visione che ci vorrebbe catalogati: da un lato chi oggi conta, mondo economico e finanziario e mondo politico, in cui gli italiani si sono distinti in tutto il mondo, e mondo della tradizionale comunità, che chiede servizi e pensioni, chiede rappresentanza, chiede cittadinanza e diritti di cittadinanza. Questi due mondi, invece, non sono affatto distanti: vivono nelle abitazioni di Brisbane e Adelaide, Buenos Aires, Colonia, Toronto, New York, in cui risiedono i nostri connazionali. Sono nonni, genitori, figli e nipoti, di un mondo che non è residuale o marginale ma interconnesso. Un mondo rispetto al quale si applica il principio della meccanica: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. La qualità della reazione la misureremo nei prossimi mesi e anni. Dalla discussione – quella sì assolutamente marginale – delle mozioni al Senato è arrivata la conferma che il Partito Democratico si è impegnato ed è ancora impegnato nel recupero di risorse per i capitoli delle comunità italiane all’estero, mentre maggioranza e Governo non hanno soluzioni, se non delle vere e proprie pezze, e navigano a vista. Oggi chi sente la responsabilità complessiva di questo mondo, anche se è all’opposizione, propone una riflessione. Chissà se maggioranza e governo sapranno cogliere questa opportunità di dialogo.

A suo parere quali prospettive si aprono dopo la conferma dei tagli e dopo l’esito di questa assemblea del CGIE?

Sarebbe utile ripartire da un momento di riflessione comune. Ho presentato questa proposta, prendendo atto del clima politico in cui operiamo e delle difficoltà, alcune delle quali sono reali. Ripartire da una sorta di “summit” che ci consenta di individuare alcune riforme prioritarie sulle quali lavorare, maggioranza ed opposizione. In alcune aree, sono certo, possiamo spendere meglio le poche risorse disponibili. Poi a ciascuno le proprie responsabilità. In altre parole, attorno al CGIE, dovrebbe svilupparsi una comune azione di analisi e discussione politica sulle riforme che oggi manca. Poi è necessario fare uno sforzo comune per reperire risorse sottratte a scuola, assistenza, cultura, rappresentanza.
La maggioranza ha voluto che tutti gli elementi di analisi confluissero sulla “rappresentanza”, quasi a voler dimostrare che una delle ragioni dei tagli è la qualità della nostra rappresentanza oppure per sostenere la tesi che la democrazia rappresentativa non può costarci, in proporzione, più degli investimenti che lo Stato italiano riesce a fare all’estero. Una tesi sbagliata e pericolosa. Sostengo, invece, che la rappresentanza ha un ruolo che va ben oltre gli investimenti di uno Stato e che la democrazia non può mai essere collegata a qualità o quantità di essi. Ecco perchè sarebbe utile riprendere un cammino comune che ci porti anche a rafforzare gli strumenti della rappresentanza.

Rappresentanza: Quale nesso può avere la riforma di CGIE e Comites con la più generale riforma dello Stato in senso federalista e con il fatto che i parlamentari eletti nella Circoscrizione Estero, come gli altri parlamentari, rappresentano la nazione senza vincolo di mandato ?

Vorrei ricordare prima di tutto che sulle riforme istituzionali il PD ha le carte in regola. Nella trascorsa legislatura abbiamo anche votato alla Camera i primi tre articoli di una proposta di riforma che istitutiva il Senato federale e riduceva il numero dei Parlamentari. La discussione si arenò prima della crisi di Governo a causa delle resistenze della Lega Nord, soprattutto sul numero dei Senatori dalle regioni del nord Italia. Oggi il Presidente del Consiglio non ha alcuna credibilità nel lanciare una sfida all’opposizione: ma forse la sfida è alla Lega Nord. E la sfida delle riforme riguarda anche la rappresentanza degli italiani all’estero. Dovremmo guardare al tema della rappresentanza con obiettività. I Comites sono strumenti utili se funzionano, per farli funzionare occorre affidare ai Comitati un ruolo di conoscenza, proposta e verifica ed un vero ruolo politico circoscrizionale. Ecco perchè un empirico ridimensionato nel numero dei Comitati nel mondo non significa assolutamente nulla mentre affidare ai Comitati uno spazio politico di rappresentanza comunitaria è l’unico modo per raffozarli. E il CGIE svolge una funzione di coordinamento “globale”. La rappresentanza parlamentare deve andare distinta da quella comunitaria. Insisto su Comites e Cgie che siano autentici interpreti delle loro comunità, oltre i partiti e le coalizioni. Il livello parlamentare, invece, non può che essere confronto tra i soggetti politici che si candidano alla guida dell’Italia e dell’italianità nel mondo. Per questa ragione sono assolutamente insignificanti e pretestuose le motivazioni secondo le quali l’attuale Governo ritiene che si confondano i ruoli di questi livelli di rappresentanza. Tutti concorrono al progetto per l’Italia nel mondo ma da responsabilità diverse. Noi non possiamo rinunciare al voto all’estero, cioè alla possibilità di esprimere il voto politico in loco. Poi vedremo le modalità, è possibile discuterne proprio nel conteso della riforma. Sostengo ancora che il modello di rappresentanza diretta con l’elezione di residenti all’estero sia “utile” ed interessante. I Parlamentari eletti all’estero rappresentano la nazione, senza vincolo di mandato, ed in questa nazione, ricordiamolo ai disattenti, ci sono anche gli italiani nel mondo che fino a ieri non avevano voce. La politica è anche dare voce a chi non l’ha!

La fase che stiamo attraversando è indubbiamente complicata dall’intensificarsi della crisi economica e sociale. L’Italia è l’unico paese europeo che ha a che fare con 8 milioni di migranti, di cui 4 milioni sono immigrati recenti provenienti per lo più dai paesi del sud del mondo e altri 4 milioni sono gli italiani all’estero diffusi in tanti altri paesi. Insieme fanno il 12-13% della popolazione. C’è un comune denominatore nel modo in cui si affrontano i temi dell’immigrazione e degli italiani all’estero ? E quale sarebbe l’approccio auspicabile e più redditizio per il paese ?

Il comune denominatore in questo momento è purtroppo l’assoluta ignoranza, nel senso che ancora oggi il nostro Paese “ignora”, cioè non conosce ancora, fenomeni come emigrazione e immigrazione che hanno rappresentanto in momenti diversi una parte di storia d’Italia. L’emigrazione, come fenomeno storico, sociale, culturale e politico, è stata ignorata e relegata in una condizione di subordine. L’Italia grande forze economica, Paese del G8, perchè dovrebbe vantarsi di aver dato al mondo tanta italianità quanta ne ha in casa, se non ammettendo che chi emigrava fuggiva dalla povertà ed oggi l’Italia del G8 non è in grado, non solo di tutelare i propri cittadini all’estero, ma anche di investire in cultura e scuola? E perchè oggi dovrebbe valorizzare il percorso inverso, quello dell’immigrazione, quando non è in grado di gestirlo? L’Italia non è l’unico paese che non comprende o gestisce bene l’immigrazione. Il popolo dei “migranti” si scontra ogni giorno con l’ignoranza, il razzismo, la xenofobia, con i pregiudizi, e con una sostanziale insufficienza di strumenti di intervento a livello internazionale e comunitario, soprattutto a livello politico.
Dobbiamo riuscire a cambiare questi elementi negativi. Occorre, si è vero, un approccio comune, globale, internazionale ed europeo, ma occorre soprattutto avere un comune denominatore nella “solidarietà”: in altre parole non può essere mai giusto “gioire” per un respingimento, anche se autorizzato dalla legge. Dobbiamo essere i primi a tutelare i più deboli, a garantire i diritti umani, a rispettare accordi e diritto internazionale. Poi, con tristezza, possiamo anche esser costretti a respingere una imbarcazione non autorizzata ma solo dopo che avremo le condizioni per garantire incolumità, analisi dello status giuridico delle persone, ed una volta che avremo accolto quella umanità che arriva sulle nostre sponde, una volta punto di arrivo e di incontro di genti diverse da noi.
Le politiche di integrazione nascono da questa consapevolezza. Che le persone – tutte – hanno un dono che è la diversità e che questo arricchisce le società aperte in cui viviamo. Le persone, di ogni razza, cultura o religione, contribuiscono a far crescere un Paese, fare in modo che possano mantenere la loro identità consente l’integrazione vera, quella che parte da una posizione di parità non di subalternità, sempre e comunque nel rispetto pieno delle leggi del Paese in cui ci si integra.
Quindi no al reato di clandestinità, no alle ronde civiche, basta con il collegamento tra “immigrazione” e “criminalità”. Occorre però consentire che vi sia un programma di immigrazione che sia calibrato per ciascun Paese e l’Italia deve ancora dotarsene, come deve ancora dotarsi di politiche e di azioni di coordinamento per rendere davvero fruibile il patrimonio di intelligenze e culture che sono rappresentate dagli italiani all’estero e dai nuovi italiani in Italia.

Società aperte o società rinchiuse in se stesse: in che direzione si uscirà dalla crisi ? La risorsa “multiculturalità” non è una delle più importanti e significative in questo tempo globale ?
Di cosa ci sarebbe bisogno per valorizzarla ?

L’uscita dalla crisi economica è una vera sfida. Non si può uscire da questa crisi rinchiudendosi, pensando che il ritorno alle tariffe o ad un mercato del lavoro chiuso o a scelte economiche e finanziarie individuali, possa aiutare a sconfiggere il male oscuro del capitalismo moderno. Abbiamo gli strumenti, conosciamo le cure ed abbiamo i medici in grado di curare il malato, un mondo finanziario senza regole o con regole troppo flessibili o con controllori incapaci di svolgere bene l’azione di controllo democratico. Rimettere al centro le persone, la capacità di produrre benessere per tutti e di investire in attività produttive. Le regole anche qui vanno riscritte insieme. La multiculturalità, la capacità di conoscere altri Paesi, altre lingue, altri mercati, ma anche la capacità in Italia di offrire prodotti sempre più avanzati anche sotto il profilo della cultura e della lingua che li presenta o li spiega, e che quindi anche all’estero trovino mercati pronti a riceverli, questo aspetto “multiculturale” è ampiamente sottovalutato in Italia.
La multiculturalità è un vantaggio, in molte società, il “multi” offre elementi di competitività inaspettati e nuovi. Per valorizzare la multiculturalità occorre comprenderne il valore prima, poi avere politiche che ne consentano l’utilizzo. L’Italia ha ancora molta strada da fare.

On. Marco Fedi

Camera dei Deputati

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