Mi chiedo per quanto tempo ancora saremo qui a piangere le centinaia di migranti che ogni estate rendono un cimitero marino quel tratto di Mediterraneo che separa le coste africane dall’Italia.
L’ultima tragedia – partiti in 78 e sbarcati in 5, tra i cadaveri dei loro compagni morti di stenti, dopo ventitré giorni di deriva – rischia già di essere alle nostre spalle.
Ma non possiamo permettere che il conto delle morti diventi un rito stanco, anche quando è promosso con le migliori intenzioni.
L’unica strada praticabile per cominciare, sul serio, a mettere fine a questa carneficina è individuarne le cause per colpirle alla radice. Cause che interrogano la nostra coscienza intorpidita, e che si chiamano fuga dalla fame, dalla miseria, dalla malattia, dalla dittatura, dalla guerra.
Purtroppo, invece, gran parte della maggioranza politica che governa oggi l’Italia, sotto l’egemonia di una formazione xenofoba come la Lega Nord, ripete soltanto slogan contro l’immigrazione clandestina, che sarebbe la fonte di tutti i mali contemporanei, per giustificare respingimenti praticati in maniera bruta e talvolta oscura e sospetti di omissioni di soccorso.
Va bene la lotta per regolare gli arrivi, degna di un Paese maturo, ma non è tollerabile l’insensibilità dimostrata da molti settori della destra di governo verso stragi di questa portata.
L’oblio degli elementari diritti dell’uomo e delle regole internazionali sull’obbligo del soccorso a chi rischia di morire in mare si accompagna alla rimozione di un passato arduo di emigrazione italiana del mondo.
Governare i flussi migratori in una società complessa non può voler dire criminalizzare l’immigrazione in quanto tale, come si è fatto con il pacchetto sicurezza e con la campagna ideologica e propagandistica che l’ha accompagnato.
È tutt’altro che strumentale affermare che la diffusione, incentivata da certa politica e certa informazione, di una rozza e fuorviante sovrapposizione di immigrazione e clandestinità, di clandestinità e criminalità, di immigrazione e disoccupazione per gli autoctoni, agisca contro il senso comune di solidarietà e cooperazione tra i popoli.
Sono i dati, la dura ragione dei numeri, a spiegare come un’immigrazione regolata sia centrale per la nostra economia e come, invece, i clandestini – cresciuti enormemente proprio con la Bossi-Fini – non provengano che per una minima quota dal mare.
L’ultima tragedia – partiti in 78 e sbarcati in 5, tra i cadaveri dei loro compagni morti di stenti, dopo ventitré giorni di deriva – rischia già di essere alle nostre spalle.
Ma non possiamo permettere che il conto delle morti diventi un rito stanco, anche quando è promosso con le migliori intenzioni.
L’unica strada praticabile per cominciare, sul serio, a mettere fine a questa carneficina è individuarne le cause per colpirle alla radice. Cause che interrogano la nostra coscienza intorpidita, e che si chiamano fuga dalla fame, dalla miseria, dalla malattia, dalla dittatura, dalla guerra.
Purtroppo, invece, gran parte della maggioranza politica che governa oggi l’Italia, sotto l’egemonia di una formazione xenofoba come la Lega Nord, ripete soltanto slogan contro l’immigrazione clandestina, che sarebbe la fonte di tutti i mali contemporanei, per giustificare respingimenti praticati in maniera bruta e talvolta oscura e sospetti di omissioni di soccorso.
Va bene la lotta per regolare gli arrivi, degna di un Paese maturo, ma non è tollerabile l’insensibilità dimostrata da molti settori della destra di governo verso stragi di questa portata.
L’oblio degli elementari diritti dell’uomo e delle regole internazionali sull’obbligo del soccorso a chi rischia di morire in mare si accompagna alla rimozione di un passato arduo di emigrazione italiana del mondo.
Governare i flussi migratori in una società complessa non può voler dire criminalizzare l’immigrazione in quanto tale, come si è fatto con il pacchetto sicurezza e con la campagna ideologica e propagandistica che l’ha accompagnato.
È tutt’altro che strumentale affermare che la diffusione, incentivata da certa politica e certa informazione, di una rozza e fuorviante sovrapposizione di immigrazione e clandestinità, di clandestinità e criminalità, di immigrazione e disoccupazione per gli autoctoni, agisca contro il senso comune di solidarietà e cooperazione tra i popoli.
Sono i dati, la dura ragione dei numeri, a spiegare come un’immigrazione regolata sia centrale per la nostra economia e come, invece, i clandestini – cresciuti enormemente proprio con la Bossi-Fini – non provengano che per una minima quota dal mare.
Quanto ancora la demagogia dovrà servire ad oscurare gli altri ben più gravi e quotidiani problemi di un’Italia in profonda crisi economica e democratica, impedendo di amministrare razionalmente l’immigrazione? Chiediamo allora al governo italiano di smetterla con questa campagna insensata e ingiustificata e di rivedere il pacchetto sicurezza nei molti punti in cui ostacola l’integrazione degli immigrati. Gli domandiamo inoltre di ascoltare gli appelli che giungono dalle istituzioni internazionali, dalle organizzazioni non governative, dalla società civile, a garantire che gli accordi con i Paesi sulle coste mediterranee per il controllo dei flussi, in particolare con la Libia, non significhino la deresponsabilizzazione circa la sorte di migliaia di esseri umani in cerca di un futuro migliore.
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