La questione del burqa non può essere strumentalizzata dalla destra - questo il monito dell’On. Marco Fedi, deputato del Partito Democratico eletto nella circoscrizione estero. Una cosa è regolarizzare l’uso di questi abiti nei luoghi pubblici, come giustamente sta cercando di fare la Francia. Altra è il divieto totale per legge proposto dalle forze conservatrici, spiega il parlamentare del PD.
La legge italiana già prevede limiti all’uso, non solo del burqa, ma anche di altre forme di copertura della propria identità. Accade già per il passaporto e i documenti di identità, nelle banche e in altri luoghi sensibili, e via dicendo. Mi domando qual è la necessità di estendere questo limite in altri luoghi pubblici, definendo tutto come luogo pubblico. L’On. Fedi prosegue spiegando che “se il burqa è una libera scelta, anche se la riteniamo personalmente una pessima decisione, non possiamo impedirla. Al contrario, se si tratta di un’imposizione non gradita dalla donna che lo indossa, essa va impedita applicando le leggi già esistenti a tutela delle persone. Ma la chiave per risolvere questi problemi è rappresentata dalle politiche di integrazione degli immigrati e non da norme ad effetto – insiste il parlamentare del PD.
Credo che i modelli culturali non possano essere imposti a livello normativo. Poi se incontrassimo una ragazza marocchina che vuole essere libera di vivere la sua vita, dobbiamo aiutarla a farlo. Se un giovane immigrato vuole partecipare alla vita sociale e culturale e politica, dobbiamo essere presenti con le leggi, con gli interventi, con le iniziative. Ed offrire una vera opportunità di integrazione. Oggi purtroppo non siamo in grado di predisporre interventi per i giovani in generale, figuriamoci per i giovani migranti. E non siamo in grado di mettere in campo autentiche politiche di integrazione. Questo è il vero problema che dobbiamo affrontare.
Credo sia più saggio fare tutto ciò che ci consentono le leggi nazionali ed internazionali allo scopo di far crescere la democrazia e la consapevolezza delle proprie libertà. Dobbiamo lavorare sulla crescita comune – insiste il deputato eletto all’estero – giacché anche il nostro modello è frutto di una storia di contaminazioni tra diversi. Un modello che ha sì tra i suoi principi la parità tra generi, ma anche quella tra etnie, culture e religioni diverse, spesso messa da parte.
In questa vicenda si registra un alto tasso di strumentalizzazione e di demagogia – conclude l’On. Fedi – che non aiuta affatto la soluzione dei problemi delle complesse società contemporanee e che ostacola le politiche di integrazione civile.
La legge italiana già prevede limiti all’uso, non solo del burqa, ma anche di altre forme di copertura della propria identità. Accade già per il passaporto e i documenti di identità, nelle banche e in altri luoghi sensibili, e via dicendo. Mi domando qual è la necessità di estendere questo limite in altri luoghi pubblici, definendo tutto come luogo pubblico. L’On. Fedi prosegue spiegando che “se il burqa è una libera scelta, anche se la riteniamo personalmente una pessima decisione, non possiamo impedirla. Al contrario, se si tratta di un’imposizione non gradita dalla donna che lo indossa, essa va impedita applicando le leggi già esistenti a tutela delle persone. Ma la chiave per risolvere questi problemi è rappresentata dalle politiche di integrazione degli immigrati e non da norme ad effetto – insiste il parlamentare del PD.
Credo che i modelli culturali non possano essere imposti a livello normativo. Poi se incontrassimo una ragazza marocchina che vuole essere libera di vivere la sua vita, dobbiamo aiutarla a farlo. Se un giovane immigrato vuole partecipare alla vita sociale e culturale e politica, dobbiamo essere presenti con le leggi, con gli interventi, con le iniziative. Ed offrire una vera opportunità di integrazione. Oggi purtroppo non siamo in grado di predisporre interventi per i giovani in generale, figuriamoci per i giovani migranti. E non siamo in grado di mettere in campo autentiche politiche di integrazione. Questo è il vero problema che dobbiamo affrontare.
Credo sia più saggio fare tutto ciò che ci consentono le leggi nazionali ed internazionali allo scopo di far crescere la democrazia e la consapevolezza delle proprie libertà. Dobbiamo lavorare sulla crescita comune – insiste il deputato eletto all’estero – giacché anche il nostro modello è frutto di una storia di contaminazioni tra diversi. Un modello che ha sì tra i suoi principi la parità tra generi, ma anche quella tra etnie, culture e religioni diverse, spesso messa da parte.
In questa vicenda si registra un alto tasso di strumentalizzazione e di demagogia – conclude l’On. Fedi – che non aiuta affatto la soluzione dei problemi delle complesse società contemporanee e che ostacola le politiche di integrazione civile.
27 gennaio 2010
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