L’Italia ha bisogno di speranza e voglia di riscatto. Per uscire dal berlusconismo culturale, politico e sociale che l’attanaglia. Per uscire dallo “stallo” economico. Per ritrovare le ragioni della nostra storia comune, fatta anche di emigrazione.
Per queste ragioni le comunità italiane nel mondo celebreranno il 65° Anniversario della Repubblica italiana, dopo aver ricordato l’Unità d’Italia e l’Anniversario della Resistenza. Per ricordare che siamo parte di un percorso storico non ancora concluso, che ha ancora bisogno del nostro contributo, diverso nella forma, ma ancora essenziale nella sostanza.
Il contributo di chi non si arrende e continua a costruire futuro. Il contributo di migranti e cittadini che chiedono maggiore attenzione ed impegno da parte delle Istituzioni. Il contributo di chi promuove oggi, con la stessa convinzione e determinazione di ieri, la migliore immagine dell’Italia, le sue tradizioni e cultura e la sua lingua. Speranza e riscatto. Ancora oggi, davanti ai tagli, alle scelte politiche in aperto contrasto con le attese degli italiani all’estero ed alle continue disattenzioni del Governo Berlusconi e della maggioranza che lo sostiene.
La stessa speranza e voglia di riscatto dell’emigrazione, degli emigranti che ardono dal desiderio di costruire il proprio futuro. Cosa è cambiato nella percezione dell’emigrazione? Cosa è cambiato rispetto alla storia di chi, come noi, ha costruito il proprio futuro all’estero? Cosa c’è di diverso rispetto alla storia di chi arriva da Tunisi, Tripoli o Addis Abeba? Cosa c’è di diverso negli occhi di chi arriva a Lampedusa o viene intercettato prima di arrivare sulle sponde australiane ed è “internato” a Christmas Island?
Siamo diversi noi: accettiamo l’idea della mobilità ma non quella dell’emigrazione, termine al quale negli anni viene data una connotazione negativa. È diversa l’economia: l’uso strumentale della “mancata crescita” da parte degli industriali mentre crescono ricchezza, di pochi, e povertà, di molti, ha come conseguenza la perdita di tutele e di diritti, la perdita di responsabilità verso gli altri e verso i più deboli. Siamo sicuramente meno solidali. È diverso il mondo: sempre più globalizzato ma sempre più diviso. È diversa la politica: sempre più dettata da meschini ed immediati interessi elettorali. È diversa la politica internazionale: sempre più dettata dalla politica estera dei potenti.
Occorre guardare all’esperienza dell’emigrazione italiana nel mondo con occhio attento, vigile, non solo per attingervi umana solidarietà, non solo per valorizzarne il doppio binario, quello del contributo verso l’Italia e verso il nuovo paese di residenza, ma per comprenderne il valore identitario, il modello evolutivo e le dinamiche collegate ai processi di integrazione. È tutto ciò che in Australia definiamo “multiculturalismo”.
In sostanza non si tratta solo di ricordare come eravamo per capire chi arriva oggi, non si tratta unicamente di vedere la nostra immagine riflessa nello specchio della storia, non si tratta di cogliere l’esperienza maturata all’estero dalle nostre comunità, guardando a modelli di integrazione realizzatisi, ad esempio, in Australia o in Canada, o al modello di assimilazione americano, o la ghettizzazione culturale di altri modelli eurocentrici.
Siamo portatori di esperienza, è vero, ma l’Italia deve sviluppare il proprio modello. L’emigrazione italiana nel mondo ha attraversato la storia, con tutte le sue contraddizioni. Il bisogno di manodopera dei Paesi di arrivo. La guerra, la povertà, la miseria e le scarse opportunità di lavoro dei Paesi di partenza. La lotta per la sopravvivenza, contro razzismo e xenofobia, nelle società di accoglienza. L’integrazione o l’assimilazione o la ghettizzazione. Sviluppo economico e crescita hanno reso tutto diverso, più veloce. Oggi che crescita e sviluppo sono modelli del passato, oggi che occorre ripensare ai modelli stessi di società e dovremmo “risparmiare risorse”, oggi che le priorità di tanti paesi avanzati sono l’assistenza sanitaria, le pensioni, l’assistenza alla terza età, che cosa offre la nostra società a chi sogna un futuro migliore in questo o quel Paese? L’emigrazione può essere interpretata come un modello di sviluppo o stiamo semplicemente costruendo le nuove società dello “sfruttamento” di manodopera? L’immigrazione – come politica dei flussi, dell’integrazione, dell’accoglienza – in che modo e con quali strumenti deve essere affrontata?
L’emigrazione come politica, non solo flussi numerici. È contraddittorio che l’Italia non abbia ancora definito una politica dell’immigrazione. Un piano nazionale che preveda meccanismi tecnici e valutativi per fissare quote, flussi e categorie professionali privilegiate, oltre a definire gli obiettivi del processo di integrazione e gli strumenti e risorse da destinare ad un piano nazionale. Da affidare ad un Ministero delle migrazioni ma comunque da seguire come politica nazionale e non come emergenza sicurezza. È necessario sviluppare modelli di integrazione: non solo a livello territoriale, come fortunatamente già accade, ma anche sul piano nazionale. Lingua e cultura, informazione e servizi CALD – culturally and linguistically diverse – culturalmente e linguisticamente diversificati, non differenziati come vorrebbe la Lega Nord – nelle lingue di origine e promuovendo parallelamente la lingua italiana.
Le emergenze da gestire oltre le politiche ordinarie. Le emergenze vanno affrontate con razionalità, solidarietà e responsabilità. L’Italia deve agire consapevole di un ruolo di garanzia affidatole dalla comunità internazionale nei confronti dei profughi e degli immigrati che arrivano dal Nord Africa. L’Italia deve agire facendo pesare a livello internazionale questo ruolo e chiedendo condivisione di responsabilità.
Abbiamo invece un Governo che non esprime una chiara posizione, che promuove la paura e che ogni giorno semina dubbi ed incertezze con dichiarazioni contraddittorie. Oggi abbiamo il dovere della accoglienza. Perchè, come ho avuto modo di ricordare agli amici di Tunisi, “la voglia di riscatto dell’emigrazione, la speranza di futuro, il sogno di opportunità, il desiderio di emancipazione, tipico degli emigranti, di tutti gli emigranti, sono a volte più forti della storia e del suo modificarsi”, “ed i Paesi ed i Governi che non riconoscono questa legittima aspirazione dei migranti, che ne strumentalizzano gli sbarchi o gli arrivi con l’obiettivo di instaurare una perversa logica della paura o che ritardano l’azione politica di coordinamento e quella umanitaria della solidarietà, rischiano di commettere un crimine contro l’umanità”.
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