Caro On. Marco Zacchera, costruiamo un dialogo su presupposti corretti
Crediamo che una discussione seria sull’immigrazione, o meglio sulle politiche migratorie del nostro Paese, sia indispensabile ed urgente. In parte per rispondere ad una richiesta di chiarezza che ci arriva dalla società civile ma soprattutto per evitare che su una materia delicata come questa si perpetuino atteggiamenti di semplice propaganda elettorale o peggio degli slogan tesi a semplificarne contenuti e conseguenze. Per sviluppare una riflessione politica seria occorre partire da una base comune e da una cognizione dei fatti condivisa. Non necessariamente per arrivare a posizioni bipartisan – anche se, guardando all’esperienza australiana, ad esempio, questo è sicuramente uno degli elementi di spicco – ma almeno per valutare esperienze e scelte strategiche di altri Paesi, alcuni di questi con fenomeni d’immigrazione di massa che ci hanno visto, italiani ed europei, autentici protagonisti. Partiamo dai fatti, allora.
Non ci risulta che l’ex Ministro del Tesoro dell’ex Governo conservatore di John Howard – che vanta un’impeccabile carriera tra le fila del Partito Liberal conservatore australiano – abbia mai aderito al centrosinistra (australiano o italiano che sia!) ne tanto meno si è mai vantato di avere origini italiane (che ci pare proprio non abbia!). Naturalmente, oltre alle precisazioni di carattere formale, che è sempre utile fare – anche perché in questo momento il Governo laburista di Kevin Rudd propone una riflessione sulle politiche dell’immigrazione che ci auguriamo siano di segno opposto – vorremmo entrare nel merito delle dichiarazioni dell’on. Marco Zacchera sulle politiche dell’immigrazione e sulle scelte di un Paese come l’Italia. Anzi, vorremmo rispondere al testo tradotto di un intervento di Costello limitatamente al quale l’On. Zacchera, partendo dalle vittorie elettorali, trae un’idea di Governo. Poiché si trae un’idea di Governo da presupposti sbagliati è opportuno chiarirsi le idee.
Il modello australiano di immigrazione parte dal presupposto che l’integrazione – cioè la partecipazione sociale, economica, culturale e politica dei migranti alla vita di un Paese – è un processo essenziale ed irrinunciabile e, proprio per questa ragione, i flussi migratori debbono essere “compatibili” con questa esigenza. Raggiunto il limite fissato dal Governo relativamente ai vari programmi, in Australia non entra più nessuno! I controlli sono severi – anche per chi arriva in Australia semplicemente per turismo e deve compilare la documentazione di arrivo e partenza.
I confini sono controllati e con molti Paesi sono stati siglati accordi per evitare l’arrivo di imbarcazioni cariche di quella umanità non annunciata che troppi definiscono “illegali”. Rispetto alle scelte dell’ex Governo conservatore di John Howard – che non fece approdare neanche la Tampa, imbarcazione carica di una umanità appena ripescata dall’oceano, credo che l’Italia adotti un atteggiamento assolutamente sacrosanto nell’accoglimento delle persone. Persone che se non hanno titolo per rimanere in Italia e non soddisfano i requisiti delle categorie che prevedono l’adozione di misure internazionali di tutela delle persone, debbono tornare a casa.
L’Australia quindi definisce quote che per definizione, ed anche per pratica quotidiana, non sono espandibili. Sulla base di queste quote viene adottato un programma di interventi che fino alla prima metà degli anni ottanta prevedevano – ad esempio – anche per la comunità italiana – programmi di assistenza definiti Grant-in-Aid diretti ad assistere le nuove comunità nella fase di primo insediamento e di integrazione. Oggi questi finanziamenti sono diretti alle nuove comunità di arrivi e non riguardano più gli italiani o gli europei.
La politica del multiculturalismo, sviluppatasi con la creazione di strumenti tesi a mantenere e sviluppare l’identità culturale delle persone – come l’SBS, rete radiotelevisiva multiculturale o gli Office of Multicultural Affairs nei vari stati o i provvedimenti legislativi contro la discriminazione razziale, religiosa o culturale – non ha mai confuso il tema dell’appartenenza ad un Paese, l’Australia, di cui si abbracciano lingua, cultura, tradizioni, valori e principi proprio con la “naturalizzazione”, cioè la libera scelta di diventare cittadini australiani. La politica multiculturale mette tutti in grado di dare il meglio della nostra identità per essere australiani “non omologati”, persone che costruiscono una realtà che è ricca e composita, diversa. Ecco, essere australiani, prima che ogni altra cosa, significa amare la diversità. Riconoscerla come valore, apprezzarla come ricchezza, valorizzarla come elemento unificante. Non è vero che divide. Non abbiamo mai conosciuto un australiano, immigrato, di ieri o di oggi, che non abbia dato il meglio di se stesso per imparare l’inglese, per essere in grado di comunicare, per poter far comprendere meglio agli altri il significato delle proprie tradizioni, della propria cultura, della propria religione. Conoscere per capire meglio. Non abbiamo mai conosciuto un immigrato, di ieri o di oggi, che abbia preteso un trattamento diverso da quello che le leggi dello Stato prevedono. Lo Stato, che tutela la diversità, che è laico, e quindi protegge tutte le appartenenze religiose garantendo la professione della fede, che promuove la conoscenza di lingue e culture straniere perché è intelligente farlo ed apre i Paesi ad opportunità di diffusione dei propri prodotti all’estero, che promuove le conoscenze culturali perché la cultura unisce i popoli e rafforza i processi di pace nel mondo.
Non abbiamo mai conosciuto un immigrato, di oggi o di ieri, che non abbia – e sono stati tanti – giurato fedeltà allo Stato australiano ed ai suoi simboli. Oggi, da australiani, possono anche chiedere che l’Australia diventi una repubblica come chiesero ed ottennero che il giuramento di fedeltà venisse fatto nei confronti del popolo australiano e non della Regina Elisabetta.
Il laburista Rudd, che oggi è al Governo, ha una visione molto diversa da quella di Howard e del suo ex Ministro del Tesoro conservatore. Se vogliamo con serietà parlare di scelte politiche sul delicato tema dell’immigrazione e desideriamo valutare – anche ai fini della conoscenza – assicuriamoci di avere le informazioni giuste e fare – insieme – le analisi giuste.
On. Marco Fedi, Deputato PD.
Sen. Nino Randazzo, Senatore PD.
Crediamo che una discussione seria sull’immigrazione, o meglio sulle politiche migratorie del nostro Paese, sia indispensabile ed urgente. In parte per rispondere ad una richiesta di chiarezza che ci arriva dalla società civile ma soprattutto per evitare che su una materia delicata come questa si perpetuino atteggiamenti di semplice propaganda elettorale o peggio degli slogan tesi a semplificarne contenuti e conseguenze. Per sviluppare una riflessione politica seria occorre partire da una base comune e da una cognizione dei fatti condivisa. Non necessariamente per arrivare a posizioni bipartisan – anche se, guardando all’esperienza australiana, ad esempio, questo è sicuramente uno degli elementi di spicco – ma almeno per valutare esperienze e scelte strategiche di altri Paesi, alcuni di questi con fenomeni d’immigrazione di massa che ci hanno visto, italiani ed europei, autentici protagonisti. Partiamo dai fatti, allora.
Non ci risulta che l’ex Ministro del Tesoro dell’ex Governo conservatore di John Howard – che vanta un’impeccabile carriera tra le fila del Partito Liberal conservatore australiano – abbia mai aderito al centrosinistra (australiano o italiano che sia!) ne tanto meno si è mai vantato di avere origini italiane (che ci pare proprio non abbia!). Naturalmente, oltre alle precisazioni di carattere formale, che è sempre utile fare – anche perché in questo momento il Governo laburista di Kevin Rudd propone una riflessione sulle politiche dell’immigrazione che ci auguriamo siano di segno opposto – vorremmo entrare nel merito delle dichiarazioni dell’on. Marco Zacchera sulle politiche dell’immigrazione e sulle scelte di un Paese come l’Italia. Anzi, vorremmo rispondere al testo tradotto di un intervento di Costello limitatamente al quale l’On. Zacchera, partendo dalle vittorie elettorali, trae un’idea di Governo. Poiché si trae un’idea di Governo da presupposti sbagliati è opportuno chiarirsi le idee.
Il modello australiano di immigrazione parte dal presupposto che l’integrazione – cioè la partecipazione sociale, economica, culturale e politica dei migranti alla vita di un Paese – è un processo essenziale ed irrinunciabile e, proprio per questa ragione, i flussi migratori debbono essere “compatibili” con questa esigenza. Raggiunto il limite fissato dal Governo relativamente ai vari programmi, in Australia non entra più nessuno! I controlli sono severi – anche per chi arriva in Australia semplicemente per turismo e deve compilare la documentazione di arrivo e partenza.
I confini sono controllati e con molti Paesi sono stati siglati accordi per evitare l’arrivo di imbarcazioni cariche di quella umanità non annunciata che troppi definiscono “illegali”. Rispetto alle scelte dell’ex Governo conservatore di John Howard – che non fece approdare neanche la Tampa, imbarcazione carica di una umanità appena ripescata dall’oceano, credo che l’Italia adotti un atteggiamento assolutamente sacrosanto nell’accoglimento delle persone. Persone che se non hanno titolo per rimanere in Italia e non soddisfano i requisiti delle categorie che prevedono l’adozione di misure internazionali di tutela delle persone, debbono tornare a casa.
L’Australia quindi definisce quote che per definizione, ed anche per pratica quotidiana, non sono espandibili. Sulla base di queste quote viene adottato un programma di interventi che fino alla prima metà degli anni ottanta prevedevano – ad esempio – anche per la comunità italiana – programmi di assistenza definiti Grant-in-Aid diretti ad assistere le nuove comunità nella fase di primo insediamento e di integrazione. Oggi questi finanziamenti sono diretti alle nuove comunità di arrivi e non riguardano più gli italiani o gli europei.
La politica del multiculturalismo, sviluppatasi con la creazione di strumenti tesi a mantenere e sviluppare l’identità culturale delle persone – come l’SBS, rete radiotelevisiva multiculturale o gli Office of Multicultural Affairs nei vari stati o i provvedimenti legislativi contro la discriminazione razziale, religiosa o culturale – non ha mai confuso il tema dell’appartenenza ad un Paese, l’Australia, di cui si abbracciano lingua, cultura, tradizioni, valori e principi proprio con la “naturalizzazione”, cioè la libera scelta di diventare cittadini australiani. La politica multiculturale mette tutti in grado di dare il meglio della nostra identità per essere australiani “non omologati”, persone che costruiscono una realtà che è ricca e composita, diversa. Ecco, essere australiani, prima che ogni altra cosa, significa amare la diversità. Riconoscerla come valore, apprezzarla come ricchezza, valorizzarla come elemento unificante. Non è vero che divide. Non abbiamo mai conosciuto un australiano, immigrato, di ieri o di oggi, che non abbia dato il meglio di se stesso per imparare l’inglese, per essere in grado di comunicare, per poter far comprendere meglio agli altri il significato delle proprie tradizioni, della propria cultura, della propria religione. Conoscere per capire meglio. Non abbiamo mai conosciuto un immigrato, di ieri o di oggi, che abbia preteso un trattamento diverso da quello che le leggi dello Stato prevedono. Lo Stato, che tutela la diversità, che è laico, e quindi protegge tutte le appartenenze religiose garantendo la professione della fede, che promuove la conoscenza di lingue e culture straniere perché è intelligente farlo ed apre i Paesi ad opportunità di diffusione dei propri prodotti all’estero, che promuove le conoscenze culturali perché la cultura unisce i popoli e rafforza i processi di pace nel mondo.
Non abbiamo mai conosciuto un immigrato, di oggi o di ieri, che non abbia – e sono stati tanti – giurato fedeltà allo Stato australiano ed ai suoi simboli. Oggi, da australiani, possono anche chiedere che l’Australia diventi una repubblica come chiesero ed ottennero che il giuramento di fedeltà venisse fatto nei confronti del popolo australiano e non della Regina Elisabetta.
Il laburista Rudd, che oggi è al Governo, ha una visione molto diversa da quella di Howard e del suo ex Ministro del Tesoro conservatore. Se vogliamo con serietà parlare di scelte politiche sul delicato tema dell’immigrazione e desideriamo valutare – anche ai fini della conoscenza – assicuriamoci di avere le informazioni giuste e fare – insieme – le analisi giuste.
On. Marco Fedi, Deputato PD.
Sen. Nino Randazzo, Senatore PD.
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