L’esame in
Commissione affari esteri della Camera ha ulteriormente rivelato la natura
estemporanea dell’esame della spesa “Italian
style”. L’adozione della spending review, cioè l’analisi della spesa
finalizzata alla sua ottimizzazione, quindi non dei tagli lineari ma una
rimodulazione delle voci di spesa, una migliore gestione delle risorse,
l’eliminazione degli sprechi e il miglioramento della qualità dei servizi, cui
si deve sempre e comunque tendere, non ha dato i risultati
sperati.
I sei
obiettivi conclusivi della Commissione sulla spending review, che ha operato sulla base
delle indicazioni del Ministro degli Affari Esteri, hanno trovato solo una
parziale risposta. Non hanno trovato un percorso di riforma e tantomeno una
ristrutturazione della spesa interna agli esteri. Se lo avessimo davvero fatto,
non solo non ci troveremmo nella condizione di damage control – limitazione del danno – a
cui spesso dobbiamo ricorrere, ma potremmo avere più forza nel porre la
questione politica della esigenza di stanziare una percentuale di PIL più alta
per il Ministero degli Affari esteri. Il dicastero che ha il compito di attuare
la nostra politica estera ed internazionale, la cooperazione allo sviluppo, le
politiche per gli italiani nel mondo, i servizi consolari, la rete di promozione
di lingua e cultura nel
mondo , la rete di sostegno alle imprese, oltre alla promozione
del sistema Paese nel suo complesso.
L’impegno
del Ministero degli Esteri, in questa fase, deve essere quello delle riforme.
Dobbiamo ripensare profondamente il modo in cui organizziamo la nostra presenza
nel mondo, la spending review deve essere un passaggio annuale nella
rimodulazione della spesa corrente e deve rispondere ad una amministrazione
efficiente che risponde a delle scelte politiche forti. Se non fissiamo questi
obiettivi, rischiamo di perpetuare una condizione di sostanziale
stallo.
Nell’assumere l’incarico il Ministro
Terzi aveva congelato la chiusura di sedi consolari in attesa della spending review. Tornare a chiudere sedi
consolari, rinunciando alla rimodulazione di altri centri di spesa, tra cui
l’ISE, è la risposta peggiore.
Viviamo le
contraddizioni di una rete diplomatico-consolare allo stremo. Ritardi negli
adeguamenti delle retribuzioni del personale a contratto, per il quale era stata
ottenuta una deroga. Ricorso sempre più frequente ai tribunali del lavoro locali
ed a vertenze sindacali con il MAE, mentre peggiorano i servizi ai nostri
connazionali, con i call centres
che non funzionano e costano moltissimo. La risposta non può essere rinviata.
Non possiamo più indebolire il Ministero degli Affari Esteri in aree altrettanto
strategiche per la nostra presenza nel mondo, come i servizi ai cittadini
italiani e la promozione di lingua e cultura. La riqualificazione della spesa
del Ministero degli Affari Esteri deve proseguire con le riforme e attraverso
altri urgenti provvedimenti, anche legislativi.
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