Sulla nuova composizione del Consiglio
Generale degli Italiani all’Estero non ho ritenuto utile intervenire pubblicamente
se non per rivolgere un appello, anche dopo aver sentito il Comitato di
Presidenza dello stesso in audizione alla Camera, a non dividersi sui numeri e
a portare la discussione su un piano capace di assicurare una rappresentanza
globale, prefigurando anche le linee di una sua radicale riforma.
Temo che il Ministero degli Esteri,
con la sua azione, abbia dato l’idea di voler riportare la rappresentanza
comunitaria negli ambiti angusti dell’AIRE e di voler trasformare il CGIE in
una sorta di microcosmo della cittadinanza, più che dell’italianità nel mondo,
come dovrebbe essere. Non erano questi i presupposti per i quali è nato e
andrebbe oggi profondamente riformato.
Credo sia anche l’epilogo di una
stagione “culturale” in cui la rappresentanza comunitaria, non legata in
maniera diretta alle forze politiche, trovava spazio di discussione e
conoscenza nei COMITES e coordinamento globale nel CGIE.
Il 28 aprile il sottosegretario
Giro incontrerà i Parlamentari eletti all’estero. Sarà difficile,
anche se ci metteremo buona volontà, avere uniformità di valutazioni e unità di
intenti. Non mi pare, tra l’altro, che l'unanimità si sia trovata
nello stesso CGIE, nonostante il generoso sforzo del Segretario
generale Carozza, che ringrazio. Uno sforzo – il suo - che va
apprezzato perché va in direzione di una più ampia e articolata
rappresentatività dell’organismo, ma che ovviamente lede gli interessi
delle rappresentanze di Paese.
Ho la sensazione che sia in atto un
tentativo di trasferire le responsabilità sui parlamentari eletti all'estero,
come spesso è accaduto di fronte a scelte difficili. Per quanto mi
riguarda, non mi presterò a questo gioco. Il diritto di critica è una
prerogativa anche di chi fa parte della maggioranza. Per
questo voglio chiarire che non si tratta di posizioni di parte
perché ho ribadito a suo tempo che avrei preferito riformare in
maniera drastica i COMITES e il CGIE, anziché procedere con questa
serie cumulativa di errori e disattenzioni.
Il combinato disposto di un crescente
distacco dalla politica, di un analogo scarso interesse per una
rappresentanza di base fine a se stessa e slegata da ogni reale potere di
intervento, i tanti ritardi e rinvii, la serie interminabile di errori,
ostacoli ed inefficienze, hanno portato ad un risultato che non può certamente
trovarci soddisfatti e lasciarci tranquilli.
Parlare di AIRE come se questa fosse
la base del vivere comune, dimenticando gli oriundi, coloro i quali all'AIRE
non si iscrivono, i ricercatori e professionisti, tutto quel mondo che merita
rispetto ed attenzione, significa relegare alcuni Paesi a semplici testimoni
della rappresentanza, escluderne altri e soprattutto non dare visibilità ad
aree geo-politiche strategiche in cui sarebbe importante dare voce alla
crescente presenza italiana.
In
conclusione, credo sia sempre più urgente assumere
l’impegno di mettere in cantiere prima possibile una
riforma complessiva della rappresentanza di base e intermedia.
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