Nessuno uscirà da questa crisi indenne, come vi è entrato, ma la sfida politica è non ritrovarci davanti alla prossima come siamo oggi, solo più poveri. Dobbiamo davvero lavorare con coraggio alla riscrittura delle regole globali se vogliamo evitare di sottovalutare quanto sta accadendo e le conseguenze sul nostro domani – come invece fa il Governo italiano. L’idea di un mercato in grado di autoregolarsi è franata e la crisi di oggi rappresenta anche un’opportunità. Ma perché si trasformi davvero in opportunità, occorre reagire. Non serve, come invita a fare il Governo italiano, fingere che la crisi non c’è, raccontare un Paese delle favole – ha dichiarato l’On. Marco Fedi durante i lavori della tavola rotonda su migranti e crisi economica promossa dal Patronato INCA-CGIL.
Non deve sorprenderci se – in conseguenza della crisi economica – la richiesta di servizi, tutela e assistenza rivolta ai Patronati aumenterà. La social card ne è la dimostrazione immediata. Una misura a nostro avviso sbagliata, che abbiamo osteggiato in Parlamento, che ha introdotto una tessera di povertà per il cui ottenimento le procedure sono state lente e burocratiche e che ha trasferito ai Patronati una gran mole di lavoro.
L’indagine promossa dall’INCA ci consegna una prima lettura. Preoccupazione per il futuro, difficoltà crescenti ad arrivare a fine mese, disoccupazione e nuove precarietà in famiglia – per figli e nipoti. In che misura sono prevedibili gli effetti di una crisi economica, conseguenza di una crisi finanziaria internazionale, come quella attuale? Ed in particolare nei confronti dei migranti? E delle comunità italiane nel mondo?
Importante cominciare a capire le conseguenze a lungo termine affinché gli strumenti di intervento, nella forma di scelte politiche e di tutela, possano essere affinati. In questo senso l’indagine IRES va ampliata ed estesa ad altri soggetti e altri Paesi.
Il rapporto con le comunità italiane nel mondo è stato messo in discussione dai tagli della finanziaria del Governo Berlusconi. Nel momento in cui la situazione finanziaria internazionale, le scelte economiche del Governo e le politiche sociali della maggioranza, hanno trasferito sull’economia reale, sulle famiglie e sui soggetti più deboli, il peso della crisi. E non dobbiamo sorprenderci quindi se tra questi soggetti deboli vi sono i pensionati e se – in modo particolare – i pensionati all’estero rischiano di essere colpiti più volte. Colpiti direttamente nei Paesi in cui vivono da una fase recessiva che rischia di essere durissima e molto lunga.
Avevamo indicato – in una serie di incontri con i sindacati pensionati di CGIL, CISL e UIL – questa molteplicità di rischi: il rischio di essere colpiti nel potere di acquisto localmente e dai ritardi in molti Paesi nell’adeguamento delle pensioni al costo della vita.
Colpiti dai mancati adeguamenti di molte prestazioni pensionistiche italiane e di altri Paesi dell’Unione europea, colpiti direttamente dai tagli in finanziaria su importanti capitoli di assistenza e tutela, oltre che per quanto riguarda la rete consolare e l’accesso ai servizi consolari. Colpiti dai ritardi e dall’inefficienza nei rapporti con la pubblica amministrazione dello Stato italiano che potrà solo peggiorare con i tagli introdotti. Colpiti dai ritardi nella ratifica di importanti convenzioni internazionali.
Oggi possiamo dire che gli interventi di molti Paesi – fra cui l’Australia – hanno attenuato l’impatto della crisi, soprattutto sui redditi più bassi e sui pensionati in particolare.
Non solo con l’adeguamento delle pensioni – e certamente non con l’introduzione di una social card tra l’altro non esportabile all’estero – ma grazie ad aumenti esportabili anche all’estero, grazie ad un bonus – erogato anche all’estero – e grazie ad una serie di interventi mirati verso le fasce sociali più deboli. Lo stesso non può dirsi per l’Italia!
Gli immigrati in Italia sono colpiti nella stessa misura e in più sono oggi al centro di un’offensiva politico-culturale che non ha eguali e precedenti nella storia del nostro Paese. Un attacco ai più deboli e a chi pagherà prima e in modo più severo il peso della crisi. Un attacco che parte dall’emergenza costruita ad arte per arrivare alle proposte di legge che mettono insieme immigrazione e sicurezza. In vista delle elezioni europee dovremmo parlare anche di un progetto nuovo per l’Europa che riguardi i flussi migratori, i processi di integrazione, le scelte politiche per la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile.
In un’Europa più aperta. Che sappia governare e integrare nella propria realtà economica e civile i flussi dell’immigrazione, senza reprimerla in maniera anacronistica e xenofoba come fa l’Italia di Berlusconi e Maroni. Qualche segnale di buon senso, purtroppo fuori dall’Italia, si è già visto. L’impegno è di metterci più coraggio: cambiare il modello economico e culturale per non tornare a sbagliare.
Non deve sorprenderci se – in conseguenza della crisi economica – la richiesta di servizi, tutela e assistenza rivolta ai Patronati aumenterà. La social card ne è la dimostrazione immediata. Una misura a nostro avviso sbagliata, che abbiamo osteggiato in Parlamento, che ha introdotto una tessera di povertà per il cui ottenimento le procedure sono state lente e burocratiche e che ha trasferito ai Patronati una gran mole di lavoro.
L’indagine promossa dall’INCA ci consegna una prima lettura. Preoccupazione per il futuro, difficoltà crescenti ad arrivare a fine mese, disoccupazione e nuove precarietà in famiglia – per figli e nipoti. In che misura sono prevedibili gli effetti di una crisi economica, conseguenza di una crisi finanziaria internazionale, come quella attuale? Ed in particolare nei confronti dei migranti? E delle comunità italiane nel mondo?
Importante cominciare a capire le conseguenze a lungo termine affinché gli strumenti di intervento, nella forma di scelte politiche e di tutela, possano essere affinati. In questo senso l’indagine IRES va ampliata ed estesa ad altri soggetti e altri Paesi.
Il rapporto con le comunità italiane nel mondo è stato messo in discussione dai tagli della finanziaria del Governo Berlusconi. Nel momento in cui la situazione finanziaria internazionale, le scelte economiche del Governo e le politiche sociali della maggioranza, hanno trasferito sull’economia reale, sulle famiglie e sui soggetti più deboli, il peso della crisi. E non dobbiamo sorprenderci quindi se tra questi soggetti deboli vi sono i pensionati e se – in modo particolare – i pensionati all’estero rischiano di essere colpiti più volte. Colpiti direttamente nei Paesi in cui vivono da una fase recessiva che rischia di essere durissima e molto lunga.
Avevamo indicato – in una serie di incontri con i sindacati pensionati di CGIL, CISL e UIL – questa molteplicità di rischi: il rischio di essere colpiti nel potere di acquisto localmente e dai ritardi in molti Paesi nell’adeguamento delle pensioni al costo della vita.
Colpiti dai mancati adeguamenti di molte prestazioni pensionistiche italiane e di altri Paesi dell’Unione europea, colpiti direttamente dai tagli in finanziaria su importanti capitoli di assistenza e tutela, oltre che per quanto riguarda la rete consolare e l’accesso ai servizi consolari. Colpiti dai ritardi e dall’inefficienza nei rapporti con la pubblica amministrazione dello Stato italiano che potrà solo peggiorare con i tagli introdotti. Colpiti dai ritardi nella ratifica di importanti convenzioni internazionali.
Oggi possiamo dire che gli interventi di molti Paesi – fra cui l’Australia – hanno attenuato l’impatto della crisi, soprattutto sui redditi più bassi e sui pensionati in particolare.
Non solo con l’adeguamento delle pensioni – e certamente non con l’introduzione di una social card tra l’altro non esportabile all’estero – ma grazie ad aumenti esportabili anche all’estero, grazie ad un bonus – erogato anche all’estero – e grazie ad una serie di interventi mirati verso le fasce sociali più deboli. Lo stesso non può dirsi per l’Italia!
Gli immigrati in Italia sono colpiti nella stessa misura e in più sono oggi al centro di un’offensiva politico-culturale che non ha eguali e precedenti nella storia del nostro Paese. Un attacco ai più deboli e a chi pagherà prima e in modo più severo il peso della crisi. Un attacco che parte dall’emergenza costruita ad arte per arrivare alle proposte di legge che mettono insieme immigrazione e sicurezza. In vista delle elezioni europee dovremmo parlare anche di un progetto nuovo per l’Europa che riguardi i flussi migratori, i processi di integrazione, le scelte politiche per la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile.
In un’Europa più aperta. Che sappia governare e integrare nella propria realtà economica e civile i flussi dell’immigrazione, senza reprimerla in maniera anacronistica e xenofoba come fa l’Italia di Berlusconi e Maroni. Qualche segnale di buon senso, purtroppo fuori dall’Italia, si è già visto. L’impegno è di metterci più coraggio: cambiare il modello economico e culturale per non tornare a sbagliare.
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