Il Governo ha detto no alla possibilità concreta di ripristinare, su un tema importante come il regime fiscale, non solo elementi di equità, ma il diritto a non subire una palese discriminazione. Da un esecutivo tecnico era giusto attendersi una valutazione che facesse riferimento proprio ad elementi di coerenza con l'impostazione complessiva della manovra. Garantire equità nella distribuzione dei sacrifici. In questo caso, alla mancanza di equità, si aggiunge la evidente disparità di trattamento. Le detrazioni fiscali per carichi di famiglia, introdotte dal Governo Prodi ed estese ai residenti all'estero con proroga fino al 2011 grazie all'azione dei parlamentari eletti all'estero, si applicano a coloro che producono un reddito soggetto a imposizione fiscale in Italia pur risiedendo fuori dai confini nazionali.
Nel caso del personale della rete diplomatico-consolare e degli istituti di cultura, la discriminazione è ancora più evidente trattandosi di datori di lavoro e sostituti d'imposta che sono pubbliche amministrazioni dello Stato italiano. La condizione di disparità è di tanti connazionali che, per la sola ragione che lavorano e risiedono all'estero, non hanno diritto ad una detrazione fiscale a cui hanno invece diritto i lavoratori in Italia.
La prospettiva che si apre, anche in vista della riforma fiscale, è quella di una crescente disparità di trattamento e quindi di crescente ingiustizia.
Non ho fatto votare l'ordine del giorno, ritirandolo, non per vigliaccheria politica ma per evitare una sconfitta parlamentare. La sconfitta politica, invece, è tutta mia. Me ne assumo le responsabilità e ne trarrò tutte le conseguenze. Spero che al Senato si riesca a recuperare almeno sul fronte dell’attenzione politica, con un ordine del giorno che sia davvero impegnativo come era nelle mie intenzioni.
Credo sia necessario stabilire un criterio generale cui attenersi. Mentre è doveroso prendere atto della situazione di emergenza nazionale e guardare con senso di responsabilità ai sacrifici chiesti a tutti, anche agli italiani all'estero, non è più possibile accettare le distorsioni di un sistema che pone gli italiani all'estero al centro di due azioni convergenti: i tagli di rete e di sistema, senza guardare ad altre soluzioni possibili e da noi indicate e sostenute, e la disparità di trattamento tra cittadini. Su questo terreno, della parità di trattamento, non possiamo fare un passo indietro.
Alcuni credono che l’azione parlamentare tesa a mandare a casa il centro-destra di Berlusconi sia sufficiente a ridare credibilità all'Italia.
Non ritengo questo elemento sufficiente. Occorrono anche le riforme. Ristabilire la credibilità italiana è anche avere una presenza all'estero degna della nostra storia e tradizione, servizi efficienti per il mondo italiano che si muove o vive all'estero, un sistema di tutele che pone i cittadini sullo stesso piano garantendone pari dignità. Se non assolviamo questo mandato - che non deve caratterizzarsi unicamente come lobby politico-culturale o come salvaguardia di interessi particolari ma come azione complessiva di tutela di un principio che deve valere per tutti i cittadini, ovunque decidano di trascorrere la propria vita - rischiamo di dar ragione a chi pensa che la rappresentanza parlamentare dall'estero sia inutile. Rappresentare la Nazione, senza vincolo di mandato, non deve significare dimenticare persone, culture, storie e tradizioni dell'emigrazione. Lasciamo questa pratica a chi pensa che gli italiani non sono più migranti, quando schiere di giovani lasciano l’Italia ed hanno e avranno bisogno di tante forme di tutela, a chi pensa che all’estero non vi sia bisogno di servizi, quando invece ogni giorno gli italiani che rappresentiamo denunciano problemi, ritardi e distorsioni nei rapporti con i consolati o inefficienze nel pagamento delle pensioni, a chi vuole far pagare sempre ai più deboli, gli immigrati che arrivano in Italia e gli italiani residenti all’estero, il prezzo di una crisi economica che è anche, sempre di più, una crisi politica e culturale.
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