Che fossimo in una situazione di grave difficoltà era a noi noto. La questione delle risorse da destinare al rinnovo di Comites e Cgie si è trasformata - nel clima politico ed economico in cui viviamo - in questione centrale alla vita di chi si occupa delle comunità italiane nel mondo. Dovremmo invece discutere di fondi per la scuola e l'assistenza, di riforme importanti in settori vitali per le nostre comunità. Non possiamo confondere partecipazione, democrazia e risorse. Ma dobbiamo fare i conti con le risorse.
Il Governo avrebbe potuto semplicemente disporre il rinvio per una ragione molto precisa, ed anche forte, la mancanza di risorse. Se anche di difficile presentazione, una tale decisione avrebbe avuto una razionale spiegazione. Legare il rinvio della elezione degli organismi di rappresentanza ad una ipotesi di riforma, come il Governo ha fatto con l'approvazione del decreto di rinvio, indicando anche l'area elettorale come la principale riforma, significa di fatto motivare il rinvio esclusivamente con il contenimento dei costi senza però avere il coraggio di dirlo apertamente. Risulta evidente infatti che tutte le proposte di riforma presentate e discusse in Parlamento, in ogni caso, puntavano alle elezioni per corrispondenza. Con l'annuncio odierno il Governo compie un paradossale errore: indica un metodo elettorale, peraltro da verificare, come il voto elettronico, in relazione al contenimento dei costi.
Pare evidente a tutti che una vera riforma, ancorché nel quadro di finanza pubblica a tutti noto, deve necessariamente partire da compiti, funzioni e struttura per poi arrivare ad una proposta di bilancio. Tra le modalità di composizione abbiamo diverse scelte, ipotesi e proposte. Limitarle in partenza al voto elettronico, mai sperimentato prima e di complessa applicazione, dimostra che l'unica vera motivazione è la riduzione della spesa. Tanto valeva dirlo e lasciare al percorso parlamentare il compito di fare una riforma. Anche se un tentativo di riforma, fallito, ci ha perseguitato per i tre anni del Governo Berlusconi. Forse il problema non è una riforma ma quale, decidendo quali strumenti, costituzionali, politici, normativi e di comprensione delle realtà degli italiani all'estero, il nostro Paese vuole avere.
Se il Governo intende presentare una proposta anche in questo settore, lo dica e cominci a lavorarci. Altrimenti bene farebbe a limitarsi, anche dal punto di vista strettamente strategico, a descrivere la realtà delle proprie azioni e non indicare un futuro da ripensare insieme.
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