martedì 8 aprile 2014
Nuova Costituzione, vecchi colpi di coda
La riforma costituzionale, che attendiamo da molti anni, merita una seria riflessione e una giusta discussione. Nel suo complesso, nel merito e nel metodo. Tenendo conto che esiste un accordo ampio tra le forze politiche per approvare un testo di riforma coerente con la legge elettorale già licenziata dalla Camera dei Deputati.
È naturale quindi che il confronto politico sia teso e intenso, che avvenga anche all’interno delle forze politiche e dei gruppi parlamentari e che su alcuni passaggi, come il futuro Senato delle Autonomie, vi siano sensibilità diverse.
Il disegno di legge di riforma Costituzionale presentato dal Governo prevede il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, la riduzione del costo di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione dei rapporti tra lo Stato e le Autonomie di cui si tratta nel titolo V della Costituzione. In questa ipotesi di riforma si mantengono i dodici deputati eletti nella circoscrizione Estero. Il Senato è composto dai Presidenti di Regione e Provincie autonome, dai sindaci dei capoluogo di Regione e di Provincia e da membri eletti dai Consigli regionali e dai sindaci, oltre che da 21 cittadini, distintisi in campo sociale, artistico, scientifico, nominati dal Capo dello Stato.
La proposta alternativa, presentata da 22 Senatori del PD, propone il dimezzamento dei deputati (da 630 a 315), e la completa esclusione degli eletti all’estero; essa, inoltre, prevede la riduzione a 106 senatori, di cui 6 eletti all’estero. Il Senato viene eletto a suffragio universale, ha funzioni di controllo, maggiori competenze, in particolare sui decreti del Governo per i quali non vi sia legge delega. Anche in questo modello il rapporto di fiducia con il Governo, e la formazione stessa del Governo, è affidato esclusivamente alla Camera dei Deputati.
Credo sia un errore escludere gli eletti all’estero dalla Camera fondamentale, che vota la fiducia al Governo e le leggi fondamentali dello Stato, limitandone la presenza unicamente al Senato delle Regioni. Non è un problema di architettura istituzionale, ma di cittadinanza, perché significherebbe che il voto dei cittadini residenti all’estero vale meno del voto dei residenti in Italia. Sarebbe più razionale, al limite, porre fine all’esperienza della circoscrizione Estero e consentire il voto sui collegi italiani, di serie A, non solo per la Camera di controllo ma anche per la Camera della fiducia.
Forza Italia, dal canto suo, sta rimettendo in campo la strategia del “caos”. Non è la prima volta quando si arriva al punto delle riforme istituzionali, come ricordano quelli che attendevano dalla Bicamerale la svolta di modernizzazione di cui l’Italia aveva bisogno già parecchi anni fa. Per puri calcoli elettorali, si cerca di creare le condizioni per far naufragare il programma riformatore di Renzi sulle contraddizioni interne al PD. Per questa ragione, nonostante lo sforzo congiunto, la buona volontà di tutti, per avere una seria discussione è giusto evitare di assumere posizioni precostituite e la difesa di interessi corporativi.
On. Marco Fedi
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