Le mozioni che cercano di indicare un percorso al Parlamento – in questo caso di valorizzazione delle comunità italiane nel mondo anche attraverso il recupero di risorse decurtate da Governo e maggioranza al Ministero degli Affari Esteri – sono sempre utili a capire gli orientamenti delle forze politiche e dei gruppi parlamentari.
Avremmo potuto incassare un risultato positivo con l’approvazione della mozione del PD, che ha riportato un risultato di parità e quindi è stata bocciata, e avremmo impegnato il Governo a un recupero di risorse che oggi appare sempre più necessario quanto improbabile. Non è andata così. La mozione di maggioranza – sulla quale vi è stata l’astensione del gruppo del PD dopo la modifica che impegna il Governo a recuperare risorse dalla rete consolare a settori vitali della Direzione Generale Italiani all’Estero e politiche migratorie – è, in effetti, ben distante dal rappresentare un impegno significativo.
In primo luogo a causa della natura del recupero: che senso ha distogliere risorse dalla rete consolare, già sottoposta a un taglio del 50% delle dotazioni di bilancio per il suo funzionamento, oppure utilizzare le entrate di passaporti e visti, comunque distolte dalla rete consolare o dalla possibilità che la stessa ne faccia uso?
In secondo luogo per le altre considerazioni che dobbiamo fare dopo aver ascoltato Governo e maggioranza in sede di parere e dichiarazioni di voto.
Abbiamo avuto conferma del vuoto di progetto e idee per il futuro rapporto con le comunità italiane nel mondo. Il vuoto, alla fine, deve essere riempito!
Non abbiamo percepito, dalla maggioranza, nuove direzioni di sviluppo del rapporto con l’Italia nel mondo, il Governo ha confermato i tagli e non ha dato indicazioni per il futuro e l’opposizione si è divisa sulle mozioni e sulle scelte essenziali per le nostre comunità. Non è stato un bel momento politico. Anche se il PD ha dimostrato senso di responsabilità astenendosi sulla mozione del PdL che conteneva alcuni elementi positivi.
La sostanza è che i tagli non sono recuperabili. Non vi è una volontà di Governo e maggioranza tesa al recupero se non attraverso operazioni di ulteriore indebolimento della rete consolare: la discussione sulle mozioni ce ne ha dato conferma.
La sostanza è che Governo e maggioranza pensano che le comunità italiane all’estero vadano distinte, addirittura separate. Da un lato gli italiani che parlano italiano e quindi non hanno bisogno di corsi di lingua, che si muovono tra Italia e mondo e quindi possono accedere a servizi quando sono in Italia, che sono formati e non hanno bisogno di formazione ma formano il mondo, che investono e producono ricchezza e che sono disposti ad investire ricchezza in Italia. Dall’altro lato gli italiani che non parlano italiano, che hanno una cittadinanza solo di passaporto, che hanno bisogno di formazione seria, che in qualche caso vivono ai margini delle società di residenza, che sono stabilmente all’estero e non vivono il mondo, che non possono investire in Italia perché non hanno ricchezza.
In realtà lo Stato italiano dovrebbe occuparsi di tutti, ce lo ricorda la Costituzione. La nostra presenza nel mondo non è così catalogabile. Abbiamo una storia molto complessa. Nei giorni scorsi la comunità italiana in Sudafrica ha avuto modo di ricordarcelo: chiedono attenzione, rispetto, accesso a servizi e tutela dei diritti. E la sostanza è che hanno titolo per chiederlo! La sostanza è che un Paese civile decide di essere presente con le Convenzioni bilaterali sui temi della sicurezza sociale, del fisco, della tutela in campo sanitario. Con investimenti in campo culturale e di promozione della lingua italiana per tutti – cittadini italiani e non – perché questa è la strategia di un Paese “intelligente”. Con interventi mirati di sostegno alle fasce sociali più deboli perché anche questa è opera di cooperazione allo sviluppo: per i nostri cittadini e connazionali indigenti.
La sostanza è che chiudere consolati – in questo momento – indebolisce il Paese. In un momento in cui non stiamo investendo in informatizzazione, formazione e comunicazione: su questi temi siamo in forte ritardo. Quando sento parlare dei “consolati elettronici” penso che sarebbe opportuno che il Governo, un giorno, chieda al Parlamento di visitarli questi centri di eccellenza, per capire a che punto siamo, quando arriveremo e dove, con quali tempi e risorse. Invece nulla, solo enunciazioni. Allora è legittimo essere preoccupati quando si chiudono i Consolati, anche in Europa. Il problema non è “chiudiamo da una parte per aprire da un’altra” ma come facciamo ad arrivare dappertutto in modo da garantire i servizi ai nostri cittadini, quando sono imprenditori, ricercatori, italiani temporaneamente all’estero – in missione o per lavoro o per turismo o per altre ragioni – o cittadini italiani permanentemente residenti all’estero. Il problema è comunicare bene, anche in altre lingue, rendere disponibile modulistica, fornire informazioni chiare e immediate. Non tutti i Consolati sono dotati ad esempio di un sito web funzionale a questo impianto. Non servono altre mappature, analisi empiriche e vuote enunciazioni: serve capire cosa dobbiamo fare, come farlo e dove farlo, sempre garantendo i servizi ai cittadini del nostro Paese. Se il Governo ci facesse capire come assolvere questo impegno e responsabilità – cioè essere un Paese serio anche all’estero – senza avere una struttura classica consolare, saremmo pronti a ragionare su altre forme di presenza.
La sostanza è che chi ha prodotto ricchezza all’estero – ed ancora lo fa bene – non ha alcun interesse a investire in Italia sulla base di scelte politiche o di orientamenti di parte, lo fa se sussistono le condizioni per trarne profitto, e guai se non fosse così. Quando si parla di “imprenditori italiani pronti a investire nelle infrastrutture” – come ad esempio il ponte sullo stretto – i più buoni parlano di utopistiche visioni, i cattivi sentono odore di “riciclaggio”. La storia ci dirà chi ha ragione e chi torto. Intanto possiamo dire senza timore di sbagliare che la riforma di Comites e Cgie, sulla quale il Governo, ed anche qualche esponente dell’opposizione, hanno riposto tanta speranza di cambiamento, non può certamente riempire il vuoto di idee e di progetto che la XVI legislatura dell’era Berlusconi ci sta consegnando grazie all’assenza del Governo e della maggioranza.
La verità è che il centro-sinistra all’estero aveva preso degli impegni e noi eletti abbiamo fatto di tutto per spingere la coalizione che sosteneva il Governo Prodi a mantenerli: sui capitoli di bilancio del MAE, sulle detrazioni per carichi di famiglia, sull’ulteriore esonero ICI, sulla 14esima delle pensioni, sulle Convenzioni bilaterali. E su altri temi, come la cittadinanza o i diritti sindacali del personale a contratto, o sulla rete consolare e sull’assistenza, con la proposta dell’assegno di solidarietà, avevamo svolto una gran mole di lavoro che comunque ha sortito effetti positivi. Oggi niente. La maggioranza di oggi ha fatto campagna elettorale all’estero, ha vinto le elezioni in Italia, ha preso impegni anche all’estero e non li sta mantenendo. Molto semplice. Il centro-sinistra ha dimostrato di essere più credibile sui temi degli italiani all’estero. L’apporto di questo Governo? Solo negativo: tagli su tutti i capitoli e non solo in finanziaria, no all’esonero ICI per i residenti all’estero, 10 anni di residenza per l’assegno sociale per chi rientra in Italia – penalizzante soprattutto per chi rientra dall’America Latina – no ad aumenti sulle pensioni (la social card è solo per i residenti in Italia), no al 730 per i residenti all’estero. Unicamente una proroga di un anno per le detrazioni per carichi di famiglia introdotte dal Governo Prodi ed estese anche ai residenti all’estero. Mi pare che il bilancio negativo parli da solo!
Avremmo potuto incassare un risultato positivo con l’approvazione della mozione del PD, che ha riportato un risultato di parità e quindi è stata bocciata, e avremmo impegnato il Governo a un recupero di risorse che oggi appare sempre più necessario quanto improbabile. Non è andata così. La mozione di maggioranza – sulla quale vi è stata l’astensione del gruppo del PD dopo la modifica che impegna il Governo a recuperare risorse dalla rete consolare a settori vitali della Direzione Generale Italiani all’Estero e politiche migratorie – è, in effetti, ben distante dal rappresentare un impegno significativo.
In primo luogo a causa della natura del recupero: che senso ha distogliere risorse dalla rete consolare, già sottoposta a un taglio del 50% delle dotazioni di bilancio per il suo funzionamento, oppure utilizzare le entrate di passaporti e visti, comunque distolte dalla rete consolare o dalla possibilità che la stessa ne faccia uso?
In secondo luogo per le altre considerazioni che dobbiamo fare dopo aver ascoltato Governo e maggioranza in sede di parere e dichiarazioni di voto.
Abbiamo avuto conferma del vuoto di progetto e idee per il futuro rapporto con le comunità italiane nel mondo. Il vuoto, alla fine, deve essere riempito!
Non abbiamo percepito, dalla maggioranza, nuove direzioni di sviluppo del rapporto con l’Italia nel mondo, il Governo ha confermato i tagli e non ha dato indicazioni per il futuro e l’opposizione si è divisa sulle mozioni e sulle scelte essenziali per le nostre comunità. Non è stato un bel momento politico. Anche se il PD ha dimostrato senso di responsabilità astenendosi sulla mozione del PdL che conteneva alcuni elementi positivi.
La sostanza è che i tagli non sono recuperabili. Non vi è una volontà di Governo e maggioranza tesa al recupero se non attraverso operazioni di ulteriore indebolimento della rete consolare: la discussione sulle mozioni ce ne ha dato conferma.
La sostanza è che Governo e maggioranza pensano che le comunità italiane all’estero vadano distinte, addirittura separate. Da un lato gli italiani che parlano italiano e quindi non hanno bisogno di corsi di lingua, che si muovono tra Italia e mondo e quindi possono accedere a servizi quando sono in Italia, che sono formati e non hanno bisogno di formazione ma formano il mondo, che investono e producono ricchezza e che sono disposti ad investire ricchezza in Italia. Dall’altro lato gli italiani che non parlano italiano, che hanno una cittadinanza solo di passaporto, che hanno bisogno di formazione seria, che in qualche caso vivono ai margini delle società di residenza, che sono stabilmente all’estero e non vivono il mondo, che non possono investire in Italia perché non hanno ricchezza.
In realtà lo Stato italiano dovrebbe occuparsi di tutti, ce lo ricorda la Costituzione. La nostra presenza nel mondo non è così catalogabile. Abbiamo una storia molto complessa. Nei giorni scorsi la comunità italiana in Sudafrica ha avuto modo di ricordarcelo: chiedono attenzione, rispetto, accesso a servizi e tutela dei diritti. E la sostanza è che hanno titolo per chiederlo! La sostanza è che un Paese civile decide di essere presente con le Convenzioni bilaterali sui temi della sicurezza sociale, del fisco, della tutela in campo sanitario. Con investimenti in campo culturale e di promozione della lingua italiana per tutti – cittadini italiani e non – perché questa è la strategia di un Paese “intelligente”. Con interventi mirati di sostegno alle fasce sociali più deboli perché anche questa è opera di cooperazione allo sviluppo: per i nostri cittadini e connazionali indigenti.
La sostanza è che chiudere consolati – in questo momento – indebolisce il Paese. In un momento in cui non stiamo investendo in informatizzazione, formazione e comunicazione: su questi temi siamo in forte ritardo. Quando sento parlare dei “consolati elettronici” penso che sarebbe opportuno che il Governo, un giorno, chieda al Parlamento di visitarli questi centri di eccellenza, per capire a che punto siamo, quando arriveremo e dove, con quali tempi e risorse. Invece nulla, solo enunciazioni. Allora è legittimo essere preoccupati quando si chiudono i Consolati, anche in Europa. Il problema non è “chiudiamo da una parte per aprire da un’altra” ma come facciamo ad arrivare dappertutto in modo da garantire i servizi ai nostri cittadini, quando sono imprenditori, ricercatori, italiani temporaneamente all’estero – in missione o per lavoro o per turismo o per altre ragioni – o cittadini italiani permanentemente residenti all’estero. Il problema è comunicare bene, anche in altre lingue, rendere disponibile modulistica, fornire informazioni chiare e immediate. Non tutti i Consolati sono dotati ad esempio di un sito web funzionale a questo impianto. Non servono altre mappature, analisi empiriche e vuote enunciazioni: serve capire cosa dobbiamo fare, come farlo e dove farlo, sempre garantendo i servizi ai cittadini del nostro Paese. Se il Governo ci facesse capire come assolvere questo impegno e responsabilità – cioè essere un Paese serio anche all’estero – senza avere una struttura classica consolare, saremmo pronti a ragionare su altre forme di presenza.
La sostanza è che chi ha prodotto ricchezza all’estero – ed ancora lo fa bene – non ha alcun interesse a investire in Italia sulla base di scelte politiche o di orientamenti di parte, lo fa se sussistono le condizioni per trarne profitto, e guai se non fosse così. Quando si parla di “imprenditori italiani pronti a investire nelle infrastrutture” – come ad esempio il ponte sullo stretto – i più buoni parlano di utopistiche visioni, i cattivi sentono odore di “riciclaggio”. La storia ci dirà chi ha ragione e chi torto. Intanto possiamo dire senza timore di sbagliare che la riforma di Comites e Cgie, sulla quale il Governo, ed anche qualche esponente dell’opposizione, hanno riposto tanta speranza di cambiamento, non può certamente riempire il vuoto di idee e di progetto che la XVI legislatura dell’era Berlusconi ci sta consegnando grazie all’assenza del Governo e della maggioranza.
La verità è che il centro-sinistra all’estero aveva preso degli impegni e noi eletti abbiamo fatto di tutto per spingere la coalizione che sosteneva il Governo Prodi a mantenerli: sui capitoli di bilancio del MAE, sulle detrazioni per carichi di famiglia, sull’ulteriore esonero ICI, sulla 14esima delle pensioni, sulle Convenzioni bilaterali. E su altri temi, come la cittadinanza o i diritti sindacali del personale a contratto, o sulla rete consolare e sull’assistenza, con la proposta dell’assegno di solidarietà, avevamo svolto una gran mole di lavoro che comunque ha sortito effetti positivi. Oggi niente. La maggioranza di oggi ha fatto campagna elettorale all’estero, ha vinto le elezioni in Italia, ha preso impegni anche all’estero e non li sta mantenendo. Molto semplice. Il centro-sinistra ha dimostrato di essere più credibile sui temi degli italiani all’estero. L’apporto di questo Governo? Solo negativo: tagli su tutti i capitoli e non solo in finanziaria, no all’esonero ICI per i residenti all’estero, 10 anni di residenza per l’assegno sociale per chi rientra in Italia – penalizzante soprattutto per chi rientra dall’America Latina – no ad aumenti sulle pensioni (la social card è solo per i residenti in Italia), no al 730 per i residenti all’estero. Unicamente una proroga di un anno per le detrazioni per carichi di famiglia introdotte dal Governo Prodi ed estese anche ai residenti all’estero. Mi pare che il bilancio negativo parli da solo!