La proposta di legge sulle intercettazioni telefoniche è sbagliata perché limita fortemente la capacità d’indagine delle forze dell’ordine e della magistratura. Il Partito Democratico si è opposto con forza già in prima lettura alla Camera, il testo che torna dal Senato non è migliorato, se non in aspetti secondari, ed il possibile ricorso al voto di fiducia rischia di limitare nuovamente dibattito ed opportunità di emendare il testo.
La proposta di legge è sbagliata poiché, ad esempio, limita il ricorso alle intercettazioni telefoniche per acquisire prove, limita il ricorso alle intercettazioni ambientali senza legare il limite temporale alle indagini ma fissando parametri arbitrari, definiti con una norma, quindi noti – in alcuni paesi come l’Australia il limite viene fissato dalle forze dell’ordine e dagli inquirenti e varia a seconda del tipo di indagine e dell’ipotesi di reato.
Per limitare gli abusi sulla pubblicazione dei contenuti di intercettazioni telefoniche – qualche volta coperte dal segreto istruttorio altre volte assolutamente svincolate da ogni indagine o ipotesi di reato – si penalizza la sicurezza di tutti e la capacità di rispondere al crimine, soprattutto quello organizzato.
Possiamo convenire sulla necessità ed anche sull’urgenza di una riforma delle intercettazioni telefoniche. Possiamo dichiararci in totale accordo sulla condanna più ferma per la pubblicazione di atti istruttori o di vero e proprio gossip mediatico: in un caso si è prodotto un danno alle indagini nell’altro prima alla privacy poi alla qualità del nostro giornalismo. Ma è altrettanto intollerabile che si vieti la pubblicazione di atti istruttori pubblici i cui contenuti debbono arrivare ai cittadini.
Ed è un errore introdurre la formula del “riassunto”, cioè si editorializzano anche i fatti, le prove, i reati.
Una buona legge era possibile, sarebbe stata possibile, se anche la maggioranza avesse voluto – anziché mettere il bavaglio all’informazione – semplicemente colpire il bersaglio giusto, cioè la fuga di notizie dalle Procure. E poi prevedere sanzioni e pene anche per la loro pubblicazione.
Il disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche va in direzione opposta.
La stampa italiana all’estero ha seguito l’evoluzione della vicenda, ne ha dato informazione, ed ha anche preso posizione sul tema che riguarda la libertà d’informazione e che quindi ci riguarda tutti. Naturalmente, mi viene da pensare, sarebbe interessante vedere applicata una sanzione post-approvazione delle norme per una violazione avvenuta sulle pagine di un quotidiano edito a Caracas, New York, Toronto o Melbourne. Anche qui l’estero è parte di una zona grigia che riguarda l’applicazione di norme italiane in un altro Paese. Governo e maggioranza hanno altri strumenti per agire nei confronti della stampa italiana all’estero: i tagli all’editoria. È quindi incoraggiante vedere direttori di importanti quotidiani di lingua italiana nel mondo prendere posizione su questo tema: un segnale di serietà e di impegno professionale e etico – visto che su questo tema tutto il mondo dell’informazione, oltre le tradizionali linee di demarcazione tra sinistra e destra, ha preso posizioni comuni. Ma anche un segnale di autonomia. Rispetto, analogamente, la scelta di chi ha perseguito la semplice strada dell’informazione, non partecipando alla giornata di “silenzio” ritenendo che all’estero rischiasse di non essere compresa.
La proposta di legge è sbagliata poiché, ad esempio, limita il ricorso alle intercettazioni telefoniche per acquisire prove, limita il ricorso alle intercettazioni ambientali senza legare il limite temporale alle indagini ma fissando parametri arbitrari, definiti con una norma, quindi noti – in alcuni paesi come l’Australia il limite viene fissato dalle forze dell’ordine e dagli inquirenti e varia a seconda del tipo di indagine e dell’ipotesi di reato.
Per limitare gli abusi sulla pubblicazione dei contenuti di intercettazioni telefoniche – qualche volta coperte dal segreto istruttorio altre volte assolutamente svincolate da ogni indagine o ipotesi di reato – si penalizza la sicurezza di tutti e la capacità di rispondere al crimine, soprattutto quello organizzato.
Possiamo convenire sulla necessità ed anche sull’urgenza di una riforma delle intercettazioni telefoniche. Possiamo dichiararci in totale accordo sulla condanna più ferma per la pubblicazione di atti istruttori o di vero e proprio gossip mediatico: in un caso si è prodotto un danno alle indagini nell’altro prima alla privacy poi alla qualità del nostro giornalismo. Ma è altrettanto intollerabile che si vieti la pubblicazione di atti istruttori pubblici i cui contenuti debbono arrivare ai cittadini.
Ed è un errore introdurre la formula del “riassunto”, cioè si editorializzano anche i fatti, le prove, i reati.
Una buona legge era possibile, sarebbe stata possibile, se anche la maggioranza avesse voluto – anziché mettere il bavaglio all’informazione – semplicemente colpire il bersaglio giusto, cioè la fuga di notizie dalle Procure. E poi prevedere sanzioni e pene anche per la loro pubblicazione.
Il disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche va in direzione opposta.
La stampa italiana all’estero ha seguito l’evoluzione della vicenda, ne ha dato informazione, ed ha anche preso posizione sul tema che riguarda la libertà d’informazione e che quindi ci riguarda tutti. Naturalmente, mi viene da pensare, sarebbe interessante vedere applicata una sanzione post-approvazione delle norme per una violazione avvenuta sulle pagine di un quotidiano edito a Caracas, New York, Toronto o Melbourne. Anche qui l’estero è parte di una zona grigia che riguarda l’applicazione di norme italiane in un altro Paese. Governo e maggioranza hanno altri strumenti per agire nei confronti della stampa italiana all’estero: i tagli all’editoria. È quindi incoraggiante vedere direttori di importanti quotidiani di lingua italiana nel mondo prendere posizione su questo tema: un segnale di serietà e di impegno professionale e etico – visto che su questo tema tutto il mondo dell’informazione, oltre le tradizionali linee di demarcazione tra sinistra e destra, ha preso posizioni comuni. Ma anche un segnale di autonomia. Rispetto, analogamente, la scelta di chi ha perseguito la semplice strada dell’informazione, non partecipando alla giornata di “silenzio” ritenendo che all’estero rischiasse di non essere compresa.
On. Marco Fedi
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