Discutere di Italia nel mondo significa affrontare anche il tema del rapporto con le comunità italiane nel mondo. L’Italia non ha superato “la questione emigrazione”, non è ancora riuscita a dare concretezza al rapporto con le proprie comunità. Spesso il mondo politico è stato superficiale, riferendosi a modelli di collegamento superati dagli eventi e non ha tenuto conto della crescita qualitativa della presenza degli italiani nel mondo: ignorando questa presenza quando si tratta di politiche di sostegno, investimenti, servizi, cultura e scuola ma citandola invece come fonte di “possibili nuove rimesse” – turismo verso l’Italia, investimenti in Italia, raccolta fondi per eventi sismici, cervelli di ritorno e via tessendo le patrie lodi – come recentemente ha fatto lo stesso Presidente del consiglio.
Ma non abbiamo superato nulla. Abbiamo allontanato nel tempo le risposte, una delle peggiori abitudini del nostro sistema politico. Come stiamo allontanando nel tempo le risposte per le nuove generazioni, in termini di occupazione, sicurezza sociale e previdenza, ambiente. Non abbiamo superato la questione centrale di un rapporto politico basato sui pilastri solidi della rappresentanza, condivisa nella forma e nella sostanza. Tanto è vero che ad ogni piè sospinto troviamo chi è pronto a rimettere in discussione l’impianto complessivo della rappresentanza, non solo le modalità di esecuzione. Non abbiamo superato la questione servizi ed impegno dello Stato, ancora indispensabili per la rete consolare, le pensioni, l’assistenza agli indigenti, la promozione culturale e linguistica. Tanto è vero che Governo e maggioranza attuali hanno inaugurato la più sciagurata stagione di tagli e ridimensionamento della presenza italiana nel mondo mai pensata o ipotizzata prima. In assenza – tra l’altro – di un progetto riformatore. Non abbiamo superato la stagione della provvisorietà con atteggiamenti diversi assunti dagli esecutivi che si sono alternati alla guida del Paese. Tanto è vero che ancora oggi non esiste un progetto politico di riforma del rapporto con le comunità nel mondo. Ma sono davvero superabili gli italiani nel mondo? Si tratta di una visione logora – come la valigia di cartone – oppure quella visione è dettata dalla miopia di chi vede e non certo dalla condizione di chi è visto! O si tratta di raggiungere un punto di equilibrio tra nuove esigenze, ammodernamento della presenza italiana nel mondo e tradizionale approccio a questo rapporto. E se dobbiamo migliorare, come farlo e soprattutto perché.
Dalla vicenda delle popolazioni saharawi fino a Aung San Suu Kyi, dai test francesi a Mururoa fino alle manifestazioni per la pace e contro gli interventi armati nel mondo, dal processo di pace in Medio Oriente fino alle soluzioni per affrontare la crisi finanziaria ed economica, dagli interventi umanitari alla cooperazione allo sviluppo, la presenza italiana nel mondo rappresenta un momento di dialogo, riflessione, pensiero originale, oltre che dialogo storico per affinità culturali e linguistiche. Questa presenza viene interpretata attraverso la partecipazione alla vita culturale, sociale e politica dei paesi di residenza, attraverso una presenza articolata nelle società di residenza che va dalla politica – Governo e parlamento – fino al lavoro – fabbrica, sindacato, impresa – fino alla ricerca. E trova una dimensione di cittadinanza attiva nel momento in cui questa partecipazione è favorita, promossa, sostenuta. Anche attraverso passaggi cruciali – come la cittadinanza – che è interpretata come un momento di crescita qualitativa della partecipazione.
Dobbiamo porci, quindi, in una condizione di interlocuzione permanente e dobbiamo farlo con la consapevolezza che gli strumenti tradizionali della presenza italiana nel mondo – le rappresentanze istituzionali, le associazioni, i partiti – non rappresentano sempre la soluzione migliore.
Essere tra il presente e il futuro di questo rapporto è in un certo senso una sfida globale: poniamo al centro chi siamo, con le contraddizioni e il patrimonio che abbiamo costruito, per chiedere una maturazione del rapporto instaurato in questi anni.
In questo senso non è fuori luogo parlare di governance democratica. Le politiche di un paese non restano più entro i confini nazionali. Non solo perché l’Europa ci pone paletti e sanzioni. Non solo per la nostra politica estera e internazionale. Soprattutto per l’effetto domino delle nostre scelte. Ecco perché una governance democratica mondiale – che passi anche attraverso i partiti progressisti e riformisti del mondo, oltre che attraverso i circoli del Partito Democratico nel mondo – rappresenta il percorso privilegiato per dare “voce” e “visibilità” ad alcuni principi che sono fondamentali nella vita delle collettività italiane nel mondo.
Una governance democratica che si completa con forme di decentramento amministrativo e con il federalismo fiscale e politico di cui anche l’Italia si sta lentamente dotando. Per rendere il sistema politico ed amministrativo più vicino ai bisogni dei cittadini, renderlo più efficiente e consentendo la partecipazione dei cittadini. Non solo. Rende più efficaci le azioni di tutela, protezione e difesa dei diritti dei cittadini.
La parità di trattamento per i cittadini italiani, ovunque dimorino, compatibilmente ed in piena attuazione delle Convenzioni e dei trattati internazionali bilaterali e multilaterali. Un principio questo che dovrebbe trovare piena attuazione nelle politiche di affermazione dei diritti di cittadinanza.
Le migrazioni come esperienze umane di incontro, conoscenza e crescita culturale e sociale, da regolamentare, per rendere effettiva l’integrazione, ma da valutare sempre positivamente anche sulla base della forte presenza italiana nel mondo.
Il nostro Paese deve ancora fare i conti con fenomeni come emigrazione e immigrazione che hanno rappresentato, in momenti diversi, una parte di storia d’Italia.
Il Partito Democratico ha davanti grandi sfide, oltre alla battaglia quotidiana con una maggioranza che non discute più dei problemi reali del Paese che estremizza lo scontro politico limitando fortemente le progative non solo del Parlamento ma della politica. Anche su temi delicati come la giustizia e il rapporto tra politica e mondo degli affari.
Non si possono cogliere opportunità in questo dialogo se non si investe nei confronti delle comunità italiane nel mondo. Un investimento fatto anche di rapporto di fiducia, di conoscenza, di vicinanza. Le posizioni della maggioranza – fortemente condizionate dalla Lega Nord-Padania – sono oggi portatrici di una visione parziale di questo rapporto: non è utile al nostro Paese avere una forza politica e di Governo che ancora oggi ha difficoltà a sentirsi responsabilmente impegnata ad introdurre un sistema federalista in un Paese che festeggia il 150esimo anniversario della sua unità oppure nel riconoscere alla immigrazione regolare e all’accoglienza dei rifugiati il ruolo importante che rivestono nella nostra economia, a livello globale, nella cooperazione internazionale, oltre che a livello umanitario.
L’uscita dalla crisi economica è una vera sfida. Non si può uscire da questa crisi rinchiudendosi, pensando che il ritorno alle tariffe o ad un mercato del lavoro chiuso o a scelte economiche e finanziarie individuali, possa aiutare a sconfiggere il male oscuro del capitalismo moderno, un mondo finanziario senza regole o con regole troppo flessibili o con controllori incapaci di svolgere bene l’azione di controllo democratico. Eppure l’Italia non riesce a svolgere un ruolo guida a livello europeo e tantomeno a livello internazionale. I potenti della terra, sia a livello di G8 che G20, disattendono le aspettative in campo economico, ambientale e di cooperazione allo sviluppo e lottà alla povertà. Ed anche qui l’Italia è complice del non fare.
Il Partito Democratico ha il compito di disegnare una proposta politica coerente con una visione che rifugga da ogni forma di assistenzialismo prevedendo investimenti seri, che delimiti chiaramente le linee di intervento e progetti le riforme, che non dimentichi il forte legame globale tra gli italiani nel mondo che è parte di una governance democratica fatta di azioni concrete oltre che di impegni teorici tra le forze progressiste.
Ma non abbiamo superato nulla. Abbiamo allontanato nel tempo le risposte, una delle peggiori abitudini del nostro sistema politico. Come stiamo allontanando nel tempo le risposte per le nuove generazioni, in termini di occupazione, sicurezza sociale e previdenza, ambiente. Non abbiamo superato la questione centrale di un rapporto politico basato sui pilastri solidi della rappresentanza, condivisa nella forma e nella sostanza. Tanto è vero che ad ogni piè sospinto troviamo chi è pronto a rimettere in discussione l’impianto complessivo della rappresentanza, non solo le modalità di esecuzione. Non abbiamo superato la questione servizi ed impegno dello Stato, ancora indispensabili per la rete consolare, le pensioni, l’assistenza agli indigenti, la promozione culturale e linguistica. Tanto è vero che Governo e maggioranza attuali hanno inaugurato la più sciagurata stagione di tagli e ridimensionamento della presenza italiana nel mondo mai pensata o ipotizzata prima. In assenza – tra l’altro – di un progetto riformatore. Non abbiamo superato la stagione della provvisorietà con atteggiamenti diversi assunti dagli esecutivi che si sono alternati alla guida del Paese. Tanto è vero che ancora oggi non esiste un progetto politico di riforma del rapporto con le comunità nel mondo. Ma sono davvero superabili gli italiani nel mondo? Si tratta di una visione logora – come la valigia di cartone – oppure quella visione è dettata dalla miopia di chi vede e non certo dalla condizione di chi è visto! O si tratta di raggiungere un punto di equilibrio tra nuove esigenze, ammodernamento della presenza italiana nel mondo e tradizionale approccio a questo rapporto. E se dobbiamo migliorare, come farlo e soprattutto perché.
Dalla vicenda delle popolazioni saharawi fino a Aung San Suu Kyi, dai test francesi a Mururoa fino alle manifestazioni per la pace e contro gli interventi armati nel mondo, dal processo di pace in Medio Oriente fino alle soluzioni per affrontare la crisi finanziaria ed economica, dagli interventi umanitari alla cooperazione allo sviluppo, la presenza italiana nel mondo rappresenta un momento di dialogo, riflessione, pensiero originale, oltre che dialogo storico per affinità culturali e linguistiche. Questa presenza viene interpretata attraverso la partecipazione alla vita culturale, sociale e politica dei paesi di residenza, attraverso una presenza articolata nelle società di residenza che va dalla politica – Governo e parlamento – fino al lavoro – fabbrica, sindacato, impresa – fino alla ricerca. E trova una dimensione di cittadinanza attiva nel momento in cui questa partecipazione è favorita, promossa, sostenuta. Anche attraverso passaggi cruciali – come la cittadinanza – che è interpretata come un momento di crescita qualitativa della partecipazione.
Dobbiamo porci, quindi, in una condizione di interlocuzione permanente e dobbiamo farlo con la consapevolezza che gli strumenti tradizionali della presenza italiana nel mondo – le rappresentanze istituzionali, le associazioni, i partiti – non rappresentano sempre la soluzione migliore.
Essere tra il presente e il futuro di questo rapporto è in un certo senso una sfida globale: poniamo al centro chi siamo, con le contraddizioni e il patrimonio che abbiamo costruito, per chiedere una maturazione del rapporto instaurato in questi anni.
In questo senso non è fuori luogo parlare di governance democratica. Le politiche di un paese non restano più entro i confini nazionali. Non solo perché l’Europa ci pone paletti e sanzioni. Non solo per la nostra politica estera e internazionale. Soprattutto per l’effetto domino delle nostre scelte. Ecco perché una governance democratica mondiale – che passi anche attraverso i partiti progressisti e riformisti del mondo, oltre che attraverso i circoli del Partito Democratico nel mondo – rappresenta il percorso privilegiato per dare “voce” e “visibilità” ad alcuni principi che sono fondamentali nella vita delle collettività italiane nel mondo.
Una governance democratica che si completa con forme di decentramento amministrativo e con il federalismo fiscale e politico di cui anche l’Italia si sta lentamente dotando. Per rendere il sistema politico ed amministrativo più vicino ai bisogni dei cittadini, renderlo più efficiente e consentendo la partecipazione dei cittadini. Non solo. Rende più efficaci le azioni di tutela, protezione e difesa dei diritti dei cittadini.
La parità di trattamento per i cittadini italiani, ovunque dimorino, compatibilmente ed in piena attuazione delle Convenzioni e dei trattati internazionali bilaterali e multilaterali. Un principio questo che dovrebbe trovare piena attuazione nelle politiche di affermazione dei diritti di cittadinanza.
Le migrazioni come esperienze umane di incontro, conoscenza e crescita culturale e sociale, da regolamentare, per rendere effettiva l’integrazione, ma da valutare sempre positivamente anche sulla base della forte presenza italiana nel mondo.
Il nostro Paese deve ancora fare i conti con fenomeni come emigrazione e immigrazione che hanno rappresentato, in momenti diversi, una parte di storia d’Italia.
Il Partito Democratico ha davanti grandi sfide, oltre alla battaglia quotidiana con una maggioranza che non discute più dei problemi reali del Paese che estremizza lo scontro politico limitando fortemente le progative non solo del Parlamento ma della politica. Anche su temi delicati come la giustizia e il rapporto tra politica e mondo degli affari.
Non si possono cogliere opportunità in questo dialogo se non si investe nei confronti delle comunità italiane nel mondo. Un investimento fatto anche di rapporto di fiducia, di conoscenza, di vicinanza. Le posizioni della maggioranza – fortemente condizionate dalla Lega Nord-Padania – sono oggi portatrici di una visione parziale di questo rapporto: non è utile al nostro Paese avere una forza politica e di Governo che ancora oggi ha difficoltà a sentirsi responsabilmente impegnata ad introdurre un sistema federalista in un Paese che festeggia il 150esimo anniversario della sua unità oppure nel riconoscere alla immigrazione regolare e all’accoglienza dei rifugiati il ruolo importante che rivestono nella nostra economia, a livello globale, nella cooperazione internazionale, oltre che a livello umanitario.
L’uscita dalla crisi economica è una vera sfida. Non si può uscire da questa crisi rinchiudendosi, pensando che il ritorno alle tariffe o ad un mercato del lavoro chiuso o a scelte economiche e finanziarie individuali, possa aiutare a sconfiggere il male oscuro del capitalismo moderno, un mondo finanziario senza regole o con regole troppo flessibili o con controllori incapaci di svolgere bene l’azione di controllo democratico. Eppure l’Italia non riesce a svolgere un ruolo guida a livello europeo e tantomeno a livello internazionale. I potenti della terra, sia a livello di G8 che G20, disattendono le aspettative in campo economico, ambientale e di cooperazione allo sviluppo e lottà alla povertà. Ed anche qui l’Italia è complice del non fare.
Il Partito Democratico ha il compito di disegnare una proposta politica coerente con una visione che rifugga da ogni forma di assistenzialismo prevedendo investimenti seri, che delimiti chiaramente le linee di intervento e progetti le riforme, che non dimentichi il forte legame globale tra gli italiani nel mondo che è parte di una governance democratica fatta di azioni concrete oltre che di impegni teorici tra le forze progressiste.
Marco Fedi (Deputato PD)
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