Importante iniziativa del Circolo
Valenzi del Partito Democratico che sabato 15 dicembre ha promosso un incontro
pubblico su “Politiche e prospettive
culturali dell’Italia all’estero” presso la sede del Corriere di
Tunisi.
L’On. Marco Fedi - nel suo
intervento di saluto anche a nome del Senatore Randazzo impossibilitato a
partecipare – ha ricordato il momento di forte difficoltà, con le riforme che
hanno segnato il passo, fermate dalle resistenze, politiche, sindacali,
ministeriali, a cui hanno fatto seguito i tagli drastici del Governo Berlusconi.
“Abbiamo bisogno di un’azione forte, sinergica, tesa a far ripartire
l’elaborazione programmatica, abbiamo bisogno di una visione nuova, che potrebbe
tornare ad essere “il pacchetto emigrazione”, che oggi definirei essenziale presenza nel mondo” – ha
dichiarato l’On. Marco Fedi.
“In questa fase dobbiamo impegnarci
per far tornare la politica ad occuparsi degli italiani nel mondo. Credo sia
utile ripartire dai fondamentali: abbiamo bisogno di un Vice Ministro o
sottosegretario che si occupi esclusivamente di questi temi. Abbiamo bisogno di
una serie di tavoli di concertazione tra Ministeri per disegnare un percorso di
coordinamento teso a ridisegnare la nostra presenza nel mondo. Una presenza
italiana nel mondo che va studiata e compresa, anche con i nuovi flussi, noti a
tutti, visibili, ma i cui dati sfuggono e andrebbero invece meglio raccolti e
studiati. Una rete di rappresentanza locale che abbia risorse per studiare
localmente i fenomeni di emigrazione e integrazione e che possa funzionare come
rete di raccordo con amministrazione e politica. Un coordinamento serio tra
Ministeri (MAE, Pubblica Istruzione e Cultura) e tra Direzioni Generali per
quanto attiene alla presenza nel mondo di lettori, istituti di cultura, enti
gestori e personale di ruolo. Questo passo di coordinamento e presenza ragionata
nel mondo richiede uno sforzo di coordinamento e può avvenire subito, a costo
zero. Avremmo già risultati positivi se il coordinamento politico fosse seguito
a tempo pieno da un esponente di Governo. Credo che i tempi siano maturi per una
vera riforma che guardi agli interessi più generali del Paese. Non possono
vincere gli interessi corporativi e abbiamo il dovere di assumere in pieno
questa responsabilità anche dopo la spending
review, che deve fornici gli strumenti di analisi della spesa dai
quali programmare gli interventi e gettare le basi di una proposta di
riforma”.
Di
seguito il testo completo dell’intervento di Marco
Fedi.
“Vorrei iniziare questo intervento
con un pensiero rivolto all’amico Elia Finzi.
La storia dell’emigrazione è ricca
di tante storie personali e delle esperienze collettive che hanno costruito
Paesi e democrazie. Gli emigrati hanno spesso più di una storia da raccontare.
In questo caso Italia e Tunisia sono state parte della vita e della storia di
Elia Finzi. La sua vita e la sua storia sono diventate simbolo di impegno morale
e civile. Ed è giusto quindi ricordarlo qui, oggi, nella sede del Corriere di
Tunisi cui Elia ha legato la sua vicenda umana, la sua passione, il suo impegno
comunitario.
La
famiglia Finzi ha legato il suo nome a questa iniziativa imprenditoriale ma
anche comunitaria. È un segno di italianità che apprezziamo e rispettiamo, è un
emblema, un simbolo per l’intera collettività italiana di
Tunisi.
Il
Corriere continuerà a battersi per i diritti degli italiani in Tunisia e a
promuovere la loro partecipazione democratica alla costruzione di una forte
presenza in Tunisia, costruendo anche un paese sempre più libero e sempre più
democratico.
Il tema che affrontiamo oggi in
questo seminario organizzato dal Circolo Valenzi del PD è di particolare
importanza.
In un momento di forte difficoltà,
quando cioè la riforme hanno segnato il passo, si sono fermate davanti al muro
delle resistenze, politiche, sindacali, ministeriali, a cui hanno fatto seguito
i tagli drastici del Governo Berlusconi, abbiamo bisogno di un’azione forte,
sinergica, tesa a far ripartire l’elaborazione programmatica, abbiamo bisogno di
una visione nuova, che potrebbe tornare ad essere “il pacchetto emigrazione”,
che oggi definirei “l’essenziale
presenza nel mondo”.
“Cambia il mondo” e cambiano i
soggetti che fanno emigrazione. Si torna ad emigrare ma si tratta di flussi
diversi anche se lo scopo della partenza spesso è analogo: la ricerca del
lavoro. Non solo la mobilità professionale, quindi, ma anche manodopera in
fuga.
Arriva nel mondo un bagaglio di
presenza culturale, di esperienze di lavoro e di vita che rischia di trovare il
nulla, il vuoto, e spesso il peggio. Dovremmo invece utilizzare questa presenza
per rinnovare strutture comunitarie, come le associazioni, che appaiono stanche.
Dovremmo puntare a lavorare con queste nuove presenze e a farlo in maniera
coordinata.
Le strategie e le riforme necessarie
per promuovere e diffondere nel mondo lingua e cultura italiana, tema alla
nostra attenzione oggi, è di particolare attualità: il Consiglio Generale degli
Italiani all’estero ne ha discusso recentemente in un seminario di
approfondimento ed è stato oggetto di una serie di proposte di legge di riforma
presentate in Parlamento.
L’Italia ha una vasta ed articolata
presenza nel mondo – costituita da Ambasciate e Consolati, Dirigenti scolastici,
Istituti di Cultura, Lettori, Scuole Italiane, Enti Gestori, Insegnanti di ruolo
all’estero, prevalentemente in Europa, a cui si aggiunge la rappresentanza,
Parlamentare, Comites e Cgie, associazioni nazionali, regionali e locali, a cui
si aggiunge la rete di promozione del made
in Italy, nuova ICE, Enit, Camere di Commercio – eppure abbiamo
difficoltà a fare rete ed oggi conviviamo con una eredità politica, tutta del
Governo Berlusconi e della peggiore esperienza politica per gli italiani nel
mondo mai registrata prima, fatta di tagli e di una logica di scontro, che non
ci ha portato a fare massa critica e a coordinare questa presenza ma a metterla
in competizione per finanziamenti in riduzione vertiginosa, in tutti i settori.
Con le Direzioni generali incapaci
di dare un senso ai tagli ed alle riduzioni, con l’amministrazione degli Esteri
presa dalle stesse esigenze: salvare il salvabile e dare priorità alla
organizzazione, al personale, in sostanza alle esigenze interne del MAE non alle
nostre esigenze. Questa logica deve cambiare.
E dobbiamo tornare alla politica.
Credo sia utile ripartire dai fondamentali: abbiamo bisogno di un Vice Ministro
o sottosegretario che si occupi esclusivamente di questi temi. Abbiamo bisogno
di una serie di tavoli di concertazione tra Ministeri per disegnare un percorso
di coordinamento teso a ridisegnare la nostra presenza nel
mondo.
Una presenza italiana nel mondo che
va studiata e compresa, anche con i nuovi flussi, noti a tutti, visibili, ma i
cui dati sfuggono e andrebbero invece meglio raccolti e studiati. Una
rappresentanza forte politico-parlamentare, una rete di rappresentanza locale
che abbia risorse per studiare localmente i fenomeni di emigrazione e
integrazione e che possa funzionare come rete di raccordo con amministrazione e
politica, una rete diplomatico-consolare nel mondo efficiente e moderna,
personale di ruolo e a contratto locale nel giusto equilibrio ed in rapporti di
lavoro chiari, nel pieno rispetto delle legislazioni locali e con contratti di
lavoro che garantiscano dignità a questi lavoratori importanti per garantire la
funzionalità della presenza MAE nel mondo, un coordinamento serio tra Ministeri
(MAE e Pubblica Istruzione e Cultura) per quanto attiene alla presenza nel mondo
di lettori e istituti di cultura, e tra Direzioni Generali per quanto attiene
alla presenza nel mondo di enti gestori e personale di ruolo. Questo passo di
coordinamento e presenza ragionata nel mondo richiede uno sforzo di
coordinamento e può avvenire subito, a costo zero. Avremmo già risultati
positivi se il coordinamento politico fosse seguito a tempo pieno da un
esponente di Governo.
Poi abbiamo le riforme. Anche nel
cammino delle riforme non dobbiamo partire dalla formula pessimistica “fare più
con meno” ma dalla visione ottimistica “fare meglio” e poi annualmente vedremo
con quali risorse. Fare meglio implica non solo il riconoscere che fino ad oggi
abbiamo fatto male ma che occorre modificare il modo in cui siamo Italia nel
mondo.
Dobbiamo
superare una tendenza diffusa ad esaminare le riforme a comparti stagni. Credo
ad esempio che alcune riforme, come per l’esercizio in loco del diritto di voto
e la rappresentanza diretta in Parlamento, abbiano definito il quadro d’insieme
nel quale porre altre riforme.
Ricordo che
solo nel 2007 abbiamo inserito nella Costituzione il riconoscimento
dell’italiano quale lingua ufficiale della Repubblica. Eppure oggi lo sforzo per
diffondere l’Italiano nel mondo come per sostenerlo in Italia come strumento
d’integrazione degli immigrati, è prossimo allo
zero.
La
cittadinanza, ad esempio, è altra questione fondamentale. È il momento in cui
formalmente ci si riconosce nei valori e nei principi fondamentali dello Stato e
si partecipa in modo pieno alla vita politica e sociale di un Paese. Anche sulla
cittadinanza dobbiamo lavorare.
Nel contesto delle politiche
dell’integrazione credo possa essere utile promuovere una discussione seria sul
multiculturalismo, che non è unicamente il riconoscimento di "condizioni"
culturali, linguistiche e sociali di carattere minoritario, già garantite dalla
nostra Costituzione, ma la piena consapevolezza che la condizione essenziale per
l’integrazione è il riconoscimento del valore delle altre lingue e culture,
delle diversità, sempre però nella legalità e nel rispetto dei valori e dei
principi costituzionali del Paese in cui si vive. Anche questo è terreno fertile
di riforma che può avvalersi del nostro contributo.
Credo sia stato utile, infine,
aprire il confronto sui temi della promozione e diffusione di lingua e cultura
italiane nel mondo anche se in forte ritardo rispetto alla immediatezza dei
tagli drastici e drammatici imposti dal Governo Berlusconi, che ancora cerchiamo
di contrastare con l'azione parlamentare tesa al recupero di risorse. Dobbiamo
uscire dalla logica della sopravvivenza.
Credo che i tempi siano maturi per
una vera riforma che guardi agli interessi più generali del Paese. Non possono
vincere gli interessi corporativi e abbiamo il dovere di assumere in pieno
questa responsabilità anche dopo la spending
review, che non va demonizzata o enfatizzata, ma che deve fornici gli
strumenti di analisi della spesa dai quali programmare gli interventi e gettare
le basi di una proposta di riforma.
Credo sia utile ricordare che oggi
l'inserimento nel curriculum scolastico locale apre nuove opportunità, in molti
Paesi tra cui la Tunisia, anche con forti risparmi per lo Stato.
Il personale formato in loco diventa
non solo una scelta dettata dal risparmio ma anche una scelta saggia ed
obbligata. Utilizzare queste opportunità non mette in discussione l'articolo 33
della Costituzione: al contrario, ne rende possibile la piena attuazione per gli
italiani nel mondo.
Ritengo che comunque l'esigenza
fondamentale sia dotarsi di strumenti, anche normativi, tali da garantire la
diversità degli interventi, attraverso il pieno riconoscimento e la
valorizzazione della diversità delle singole realtà.
Il Piano Paese che diventa anche
piano di interventi articolato secondo le esigenze dei vari Paesi. La proposta
di riforma, infine, deve appartenere alla nostra storia, rispondere alle nostre
aspirazioni, fare riferimento alla esperienza politico culturale dei Comites e
del CGIE e dei tanti soggetti che all'estero hanno costruito le opportunità di
integrazione e diffusione di lingua e cultura italiane che esistono oggi e che
rischiano di perdersi”.
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