La
discussione sulla fase di “riorientamento” della rete diplomatico-consolare
italiana nel mondo sta avvenendo tardivamente e nelle sedi meno idonee. Avremmo
dovuto discuterne nelle Commissioni Esteri di Camera e Senato invece che sulle
agenzie di stampa.
In
attesa di recuperare questo grave sgarbo istituzionale, credo sia utile
sottolineare alcune questioni. La chiusura di sedi consolari è stata decisa
dalla Farnesina. La spending review,
il decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 “Disposizioni urgenti per la revisione
della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”,
convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 135, in effetti nel titolo
stesso è basata sul presupposto che il livello e la qualità dei servizi non
dovessero cambiare per i cittadini.
Invarianza dei servizi ai cittadini non è un termine generico che
richiami un astratto equilibrio del sistema bensì un riferimento ad aspetti
oggettivi e concreti. In che modo, chiudendo un Consolato si può avere
un’“invarianza dei servizi ai cittadini”? Evidentemente si può decidere che ci
sia o non ci sia un servizio. La conclusione è che nella spending review non c’era la decisione
di chiudere i consolati, come si cerca di far credere. Anzi, proprio la mancata
attuazione della spending review ha
mantenuto sostanzialmente invariati i costi amministrativi e il Ministero degli
Esteri, di conseguenza, ha deciso di
sacrificare i servizi.
Con una
spending review ampiamente disattesa,
quindi, la Farnesina non riesce a garantire la propria rete
diplomatico-consolare nel mondo. Ma ciò significa non garantire servizi alle
imprese. Significa non garantire servizi a tutti i cittadini italiani, non solo
a chi dimora all'estero da molti anni.
Adelaide, Brisbane, Newark, Tolosa, altre città europee nel mirino
della chiusura, non sono unicamente luoghi dell’emigrazione italiana nel mondo,
sono anche meta di aziende e imprese, di rapporti commerciali importanti, sono
ponte verso l'Asia-Pacifico, sono parte di quella promozione dell'Italia nel
mondo di cui la Farnesina vorrebbe essere
protagonista. La vera domanda è chiedersi in che modo sia possibile
garantire servizi ai connazionali nel mondo continuando a sviluppare anche una
nuova e originale presenza italiana all'estero fatta di ricercatori, nuovi
migranti, giovani italiani in cerca di realizzazione professionale e umana?
Davvero la Farnesina pensa che si possa essere presenti camminando sul vuoto? E
se non si pensa di riempire il vuoto che si crea, di grazia si può sapere che
cosa bolle in pentola, con quali servizi alternativi? Oppure per rinnovare un
passaporto si costringerà la gente a viaggiare per 725 chilometri , da
Adelaide a Melbourne? Per quanto riguarda modalità alternative di offerta dei
servizi basta consultare SECOLI per rendersi conto che la fase sperimentale non
è ancora superata.
Naturalmente, questo non toglie che le nuove aperture di sedi
consolari siano positive. Aprire nuove sedi consolari è certamente un dovere, ma
lo è anche mantenere i servizi nelle aree di tradizionale presenza. Credo sia
indispensabile fare in modo di non disperdere le esperienze maturate dal
personale assunto localmente garantendo in ogni caso l’eventuale assegnazione ad
altre sedi. Infine, per quanto attiene al potenziamento delle sedi riceventi è
legittimo chiedersi come verranno potenziate. Basti pensare, ad esempio, alle
sedi di Melbourne e Sydney che, già oggi, non hanno sufficiente personale di
ruolo per rispondere alle esigenze locali tenendo conto peraltro che le sedi
australiane non sembrano essere tra le più ambite dal personale di
ruolo.
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