È approdato in Aula alla Camera il Testo Unificato 553-A di riforma costituzionale che prevede importanti novità in termini di assetto istituzionale. Una riforma convincente la cui principale innovazione è l’istituzione, a fianco della Camera dei Deputati che avrà funzione legislativa, di un Senato federale, il quale andrà a sostituirsi a quello attuale, con il compito di concorrere a migliorare le proposte di legge in virtù delle istanze raccolte dai territori. Le differenti funzioni delle due Camere e la riduzione significativa del numero dei parlamentari taglieranno i costi e aumenteranno l’efficienza dei lavori, soprattutto per quanto riguarda i tempi.
Nell’ambito del dibattito sulla riforma, noi eletti all’estero abbiamo aperto una riflessione sul nostro ruolo, giungendo a conclusione che sia importante mantenere la nostra presenza invariata sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo. Le ragioni sono diverse per i due rami del Parlamento così riformato. Alla Camera la presenza degli eletti all’estero sarà in rappresentanza di italiani che – pur vivendo fuori dai confini nazionali – hanno lo stesso titolo dei loro connazionali residenti in Italia a intervenire nella formulazione delle leggi. Nel Senato federale, invece, la circoscrizione estero potrebbe essere assimilata a una Regione italiana e concorrere così alla composizione di questa camera, a seconda delle modalità che verranno individuate attraverso l’auspicata riforma della legge elettorale.
Non va negato che anche all’interno della maggioranza ci sono posizioni divergenti. Ad esempio, Rifondazione Comunista chiede l’abolizione della circoscrizione estero. Una posizione legittima ma che io non condivido. Sono fermamente convinto, infatti, che la rappresentanza degli italiani all’estero dia risposta al dettato costituzionale, oltre a fornire una voce diretta agli italiani nel mondo in un’ottica di democrazia partecipata. È pertanto erroneo sovrapporre la questione della circoscrizione estero a quella del voto agli immigrati regolari in Italia, come se fossero incompatibili. Anche io sono parte della battaglia per concedere a chi vive stabilmente nel nostro Paese, producendo reddito e pagando i contributi, il voto politico. Ma come tutti sanno questo è legato alla cittadinanza, a differenza di quello amministrativo che invece dovrebbe essere connesso alla residenza, come accade in ogni Paese civile e come è previsto della riforma della legge sull’immigrazione, la Amato-Ferrero. Perciò l’invito che faccio a chi osteggia il voto agli italiani all’estero da tali posizioni, è di evitare confusioni tra materie diverse e di unire gli sforzi perché da gennaio riparta con celerità l’iter della riforma della cittadinanza, che abbrevia i tempi troppo lunghi previsti per la sua concessione. A quel punto, ottenutala più rapidamente, anche gli immigrati potranno votare alle politiche. Ma come si vede, ciò non toglie nulla ai diritti degli italiani all’estero. Anzi, farsi carico della presenza degli italiani nel mondo, è utile al nostro Paese per meglio affrontare la questione della propria immigrazione interna con maggiore razionalità ed equità. Credo che la proposta della Commissione Affari Costituzionali per il mantenimento complessivo di 18 parlamentari con 6 deputati e 12 senatori possa ritenersi agganciata ai principi generali della riforma mantenendo una presenza importante nella Camera legislativa ed assicurando alle Regione Estero un rapporto altrettanto organico con il territorio. Il segnale al Paese, che include anche le nostre comunità all’estero, è quello di una riforma possibile: spero che l’opposizione possa raccogliere questo invito.
Nel frattempo la Finanziaria prosegue il suo iter al Senato. La giudico una buona manovra per la centralità del sostegno economico alle classi sociali più deboli e alle famiglie, senza dimenticare la rigorosa attenzione al risanamento dei conti pubblici.
Riguardo agli italiani all’estero, noi eletti in loro rappresentanza abbiamo presentato in Senato alcuni emendamenti, in parte accolti e in parte modificati. C’è in generale una proposta di aumento delle risorse per i capitoli di bilancio che riguardano gli italiani nel mondo. A fronte di un maggiore sostegno agli Istituti di cultura e della promozione della nostra lingua all’estero, registro invece una forte insoddisfazione per quanto concerne la sanatoria sugli indebiti pensionistici Inps e le risorse per il potenziamento della rete consolare. In ogni caso, io credo che questi temi debbano essere affrontati in via definitiva, aldilà delle singole Finanziarie, attraverso un percorso serio di riforme che razionalizzi l’uso delle risorse a disposizioni. Penso a quella della struttura del Ministero degli Affari Esteri, con particolare attenzione alle questioni della funzionalità per le nostre rappresentanze all’estero, e quella del loro personale a contratto, che va aumentato nel numero e va garantito nel godimento dei propri diritti sindacali.
Nell’ambito del dibattito sulla riforma, noi eletti all’estero abbiamo aperto una riflessione sul nostro ruolo, giungendo a conclusione che sia importante mantenere la nostra presenza invariata sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo. Le ragioni sono diverse per i due rami del Parlamento così riformato. Alla Camera la presenza degli eletti all’estero sarà in rappresentanza di italiani che – pur vivendo fuori dai confini nazionali – hanno lo stesso titolo dei loro connazionali residenti in Italia a intervenire nella formulazione delle leggi. Nel Senato federale, invece, la circoscrizione estero potrebbe essere assimilata a una Regione italiana e concorrere così alla composizione di questa camera, a seconda delle modalità che verranno individuate attraverso l’auspicata riforma della legge elettorale.
Non va negato che anche all’interno della maggioranza ci sono posizioni divergenti. Ad esempio, Rifondazione Comunista chiede l’abolizione della circoscrizione estero. Una posizione legittima ma che io non condivido. Sono fermamente convinto, infatti, che la rappresentanza degli italiani all’estero dia risposta al dettato costituzionale, oltre a fornire una voce diretta agli italiani nel mondo in un’ottica di democrazia partecipata. È pertanto erroneo sovrapporre la questione della circoscrizione estero a quella del voto agli immigrati regolari in Italia, come se fossero incompatibili. Anche io sono parte della battaglia per concedere a chi vive stabilmente nel nostro Paese, producendo reddito e pagando i contributi, il voto politico. Ma come tutti sanno questo è legato alla cittadinanza, a differenza di quello amministrativo che invece dovrebbe essere connesso alla residenza, come accade in ogni Paese civile e come è previsto della riforma della legge sull’immigrazione, la Amato-Ferrero. Perciò l’invito che faccio a chi osteggia il voto agli italiani all’estero da tali posizioni, è di evitare confusioni tra materie diverse e di unire gli sforzi perché da gennaio riparta con celerità l’iter della riforma della cittadinanza, che abbrevia i tempi troppo lunghi previsti per la sua concessione. A quel punto, ottenutala più rapidamente, anche gli immigrati potranno votare alle politiche. Ma come si vede, ciò non toglie nulla ai diritti degli italiani all’estero. Anzi, farsi carico della presenza degli italiani nel mondo, è utile al nostro Paese per meglio affrontare la questione della propria immigrazione interna con maggiore razionalità ed equità. Credo che la proposta della Commissione Affari Costituzionali per il mantenimento complessivo di 18 parlamentari con 6 deputati e 12 senatori possa ritenersi agganciata ai principi generali della riforma mantenendo una presenza importante nella Camera legislativa ed assicurando alle Regione Estero un rapporto altrettanto organico con il territorio. Il segnale al Paese, che include anche le nostre comunità all’estero, è quello di una riforma possibile: spero che l’opposizione possa raccogliere questo invito.
Nel frattempo la Finanziaria prosegue il suo iter al Senato. La giudico una buona manovra per la centralità del sostegno economico alle classi sociali più deboli e alle famiglie, senza dimenticare la rigorosa attenzione al risanamento dei conti pubblici.
Riguardo agli italiani all’estero, noi eletti in loro rappresentanza abbiamo presentato in Senato alcuni emendamenti, in parte accolti e in parte modificati. C’è in generale una proposta di aumento delle risorse per i capitoli di bilancio che riguardano gli italiani nel mondo. A fronte di un maggiore sostegno agli Istituti di cultura e della promozione della nostra lingua all’estero, registro invece una forte insoddisfazione per quanto concerne la sanatoria sugli indebiti pensionistici Inps e le risorse per il potenziamento della rete consolare. In ogni caso, io credo che questi temi debbano essere affrontati in via definitiva, aldilà delle singole Finanziarie, attraverso un percorso serio di riforme che razionalizzi l’uso delle risorse a disposizioni. Penso a quella della struttura del Ministero degli Affari Esteri, con particolare attenzione alle questioni della funzionalità per le nostre rappresentanze all’estero, e quella del loro personale a contratto, che va aumentato nel numero e va garantito nel godimento dei propri diritti sindacali.
7 novembre 2007
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