mercoledì 25 giugno 2008

La virgola, Un occhio attento alle cose italiane …Parlamentari e non …


No alla militarizzazione del territorio

Il Senato ha approvato in prima lettura il decreto sicurezza, che ora passa alla Camera.
Molteplici i punti che non convincono in questo testo, che sfrutta il tema della sicurezza come pretesto per misure demagogiche o interessate.
Tra le prime, l’idea dei ministri La Russa (Difesa) e Maroni (Interni) di inviare i soldati nelle maggiori città italiane. Una trovata tanto populista quanto inutile: che senso ha aggiungere 3.000 militari (divisi per 15 città) ai 150.000 poliziotti italiani, se non quello di mostrare i muscoli sterilmente?
Come ha giustamente osservato il ministro ombra della Difesa del Pd, Roberta Pinotti, «se si pensa di utilizzare l’esercito per funzioni di ordine pubblico e di sicurezza, noi non possiamo che ribadire il nostro fermo no perché siamo contrari alla militarizzazione del territorio». Del resto, non siamo alla vigilia di una guerra. Le funzioni dei militari vanno tenute distinte da quelle delle forze dell’ordine, le quali, impiegate in maniera più razionale, sono già pienamente in grado di assolvere ai propri compiti.
Un altro aspetto inammissibile del decreto è l’aggravante di un terzo della pena per i clandestini. Ancora una volta una misura aliena al diritto di tutti i Paesi civili del mondo e utile solo a criminalizzare i migranti, senza governare il fenomeno.
Ma ciò che più ha destato scalpore è stato l’inserimento nel decreto sicurezza di una norma “salva-premier”. Infatti, con il pretesto ridicolo di bloccare tutti i processi per reati che non creano allarme sociale commessi fino al giugno 2002 allo scopo di far meglio lavorare la macchina giudiziaria, si va a interrompere anche il procedimento sul cosiddetto “caso Mills”: un processo nel quale il premier Berlusconi è imputato per corruzione. Siamo alle solite! Per non processare il Capo, si congelano per un anno 100.000 processi per reati fino ai 10 anni di carcere. E poi ci si lamenta della lentezza della giustizia italiana…
La ferma contrarietà del Pd all’ennesima legge ad personam non è però una questione di antiberlusconismo. Semmai si tratta di garantire qualcosa che dovrebbe essere scontato in un normale Stato di diritto: l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alle legge e la certezza della pena.
Se anche Berlusconi crede in questi principi sanciti dalla nostra Costituzione – tra l’altro la norma è palesemente esposta alla bocciatura della Consulta – allora che lo dimostri sottoponendosi come un qualsiasi cittadino al suo processo e provando la sua innocenza, senza sproloqui inutili su toghe rosse e dintorni.

Decreto fiscale che non risolve il problema delle famiglie e taglia agli italiani all’estero
Intervento in aula di Marco Fedi, 23 giugno 2008

Signor Presidente,
colleghi, deputate e deputati, componenti del Governo,

il decreto legge 93 in materia di salvaguardia del potere di acquisto delle famiglie consente un primo autentico confronto tra maggioranza ed opposizione sulle scelte di fondo e sulle misure concrete da adottare per rispondere sia al crescente impoverimento delle famiglie italiane che alla grave crisi legata all’erosione del potere di acquisto. Ritengo che il provvedimento che discutiamo oggi non raggiunga questi obiettivi.
Obiettivi peraltro condivisibili e sui quali sarebbe stato opportuno un più approfondito ed articolato dibattito, un lavoro comune tra governo ed opposizione.
Non risponde ai bisogni reali delle fasce sociali più deboli e svantaggiate, non interviene davvero sul potere di acquisto dei pensionati, dei lavoratori e delle famiglie.
Non affronta la vera questione di questo Paese: pensioni, salari e stipendi. Troppo bassi e per troppo tempo. Ed ora tra i più bassi d’Europa.
Il provvedimento non affronta altri problemi nodali del nostro Paese: l’aumento vertiginoso dei prezzi dei beni – anche quelli di prima necessità – il ricorso al credito al consumo come forma di integrazione al reddito, la forte diminuzione del risparmio.
Rispetto al proposito di salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie, sia le norme proposte che l’insieme delle coperture di spesa previste, deludono e disattendono le attese dei cittadini.
Soprattutto delle fasce sociali più deboli, il cui livello di reddito è troppo basso.
Per questi, al costante aumento dei prezzi, si sommerà anche la perdita di importanti programmi e servizi. Programmi e servizi a favore dell’integrazione sociale, della sicurezza, delle pari opportunità, delle politiche di sviluppo per il Sud, della politica estera ed a favore delle comunità italiane nel mondo che sono parte della nostra politica estera. Si perderà, quindi, in termini di tutele, protezioni sociali e solidarietà.
E se valutiamo questo provvedimento congiuntamente alle indicazioni provenienti dal Documento di programmazione economica e finanziaria, anche in vista della prossima manovra di bilancio, le nostre preoccupazioni aumentano.
Il divario tra inflazione programmata e reale, con l’inflazione programmata che è meno della metà di quella reale, colpirà ancora le fasce sociali più deboli ed esposte. Sarà l’Italia, signor Presidente, l’Italia tutta intera, che si impoverirà ancor di più, se oggi non affrontiamo con risposte adeguate i veri problemi.
E l’Italia non ha bisogno di tessere della povertà, ma di riforme giuste ed eque. I pensionati non ci chiedono tessere del bisogno, ma servizi efficienti e pensioni dignitose.

Continuare il buon lavoro avviato dal Governo Prodi con la quattordicesima sulle pensioni e con norme come l’ulteriore detrazione ICI – abolita dal decreto in via di conversione – che, pur intervenendo sull’imposta comunale sugli immobili, manteneva un principio di equità consentendo la detrazione solo a determinate condizioni e prevedendo una copertura fortemente ancorata ad un altro elemento che ora rischia di non essere più tra le priorità del Governo: le maggiori entrate derivanti dalla lotta a evasione e elusione fiscale.
Il provvedimento sull’ICI, nel suo complesso, non contribuisce certamente a ridurre il divario tra le classi sociali e di reddito. Alimenta inoltre una percezione antifederalista relativamente al modello fiscale.

Gli elementi forti del federalismo fiscale, se lo si propone non solo come slogan ma come riforma, dovrebbero partire invece proprio dalla territorialità dell’imposizione fiscale e dalla sua rispondenza ai bisogni del cittadino in termini di servizi.
Un provvedimento, quello sull’ICI, doppiamente iniquo: nella sua impostazione complessiva, per le cose appena dette, e nei suoi effetti pratici poiché ne risultano esclusi i cittadini italiani residenti all’estero che invece fin dal 1993 – con la legge 24 marzo 1993 n. 75 – godono dell’equiparazione alla prima casa ad uso abitativo e delle relative detrazioni. Alla doppia iniquità si aggiunge la beffa con la serie di tagli previsti al bilancio del Ministero degli affari esteri.
Un Ministero che – tutte le forze politiche concordano su questo punto, salvo poi operare in senso inverso – avrebbe invece bisogno di una quota di prodotto interno lordo decisamente superiore, e simile a quella di altri Paesi europei.
Fortissime, invece, le riduzioni al bilancio del Ministero degli Esteri.
Si perdono 32,3 milioni di euro per il 2008, 50 milioni per il 2009 e 98,5 milioni per il 2010.
Nella riduzione di spesa per l’anno corrente, 17 milioni di euro su 32 sono sottratti agli interventi per gli italiani all’estero.
Gli elementi di criticità sollevati nella discussione avvenuta in Commissione affari esteri hanno portato unicamente al possibile recupero – peraltro internamente al bilancio degli Esteri e quindi suscettibile di ulteriori tagli ai capitoli per le comunità italiane nel mondo – per le importanti iniziative legate alla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ed all’Accademia delle Scienze del Terzo mondo.
Nonostante i tagli durissimi alle comunità italiane nel mondo, rinnoviamo il nostro impegno, la nostra disponibilità, piena, a lavorare con la maggioranza in direzione di un piano di riforme che – siamo certi – produrrà anche dei risparmi, ma che dovrà necessariamente rafforzare, anche sotto il profilo dell’efficienza, la nostra presenza all’estero.
A partire dalla rete diplomatico-consolare, pensando anche ad una ristrutturazione delle carriere professionali dei contrattisti a cui debbono essere garantiti i diritti sindacali – altro che fannulloni – fornendo risposte alla richiesta di cittadinanza, in termini di pari diritti e doveri, a partire dalla definitiva estensione ai residenti all’estero delle detrazioni per carichi di famiglia. Questione che spero venga affrontata e risolta a partire dalla prossima finanziaria.
Ed a proposito di riforme per le comunità italiane all’estero, il Partito Democratico ha indicato un percorso possibile: a partire proprio, visto che ne stiamo parlando, di tutta la normativa che concerne l’imposizione fiscale e tariffaria dei residenti all’estero, in relazione, ad esempio, alla tassa sulla raccolta e smaltimento dei rifiuti, o al canone Rai, per coloro i quali risiedono all’estero per la maggior parte dell’anno. Fino alle questioni più immediate relative a norme che potrebbero ulteriormente penalizzare i residenti all’estero come rischia di verificarsi per i titolari di libretti a risparmio postale non movimentati da 10 anni. Oltre alla questione della riapertura dei termini per il riacquisto della cittadinanza, l’assegno di solidarietà e le convenzioni bilaterali in materia fiscale e di sicurezza sociale. Su questi punti siamo pronti al confronto, ma i tagli non aiutano a stabilire un clima di collaborazione e dialogo.
Le misure previste dal decreto legge 93 non danno risposte sufficientemente forti, coerenti ed eque, all’emergenza legata al deterioramento del potere di acquisto degli italiani. Le copertura di spesa si basano su tagli particolarmente negativi, sia nella sostanza che nell’immagine: il taglio al fondo contro la violenza alle donne, il taglio al programma per le azioni tese ad accrescere la sicurezza stradale, il taglio ad altri ministeri, oltre agli esteri, quali interno e giustizia. Dicasteri di cui si parla molto in questi giorni relativamente a presunte emergenze, che invece subiscono tagli. Immediati.

Il nostro NO al provvedimento, in sostanza, è nel merito di norme che non raggiungono obiettivi di salvaguardia del potere di acquisto delle famiglie, che non sono eque né perseguono obiettivi di federalismo fiscale e che tagliano risorse ad importanti servizi e programmi.
Anche Robin Hood, mi creda, risulterebbe deluso da questo provvedimento. In attesa di un ulteriore confronto in sede di discussione sul complesso degli emendamenti e su singoli emendamenti, anche quelli ripresentati sul recupero di risorse per il Ministero degli affari esteri e per gli italiani nel mondo, auspichiamo dai banchi del governo e della maggioranza una maggiore attenzione a questi temi.

On. Marco FEDI

Segretario III Commissione Affari Esteri e Comunitari

Camera dei Deputati

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