Migranti come noi. Accoglienza, integrazione, sicurezza, nell’esperienza dei parlamentari eletti all’estero
Questa settimana voglio dedicare la mia rubrica a raccontare qualcosa che mi riguarda in prima persona. Ma che in realtà riguarda un po’ tutti noi, e in particolare chiunque abbia conosciuto un’esperienza di migrazione.
Lo scorso 1° luglio si è tenuto a Roma un convegno organizzato da noi parlamentari del Partito Democratico eletti nelle circoscrizioni estere (oltre a me, gli on. Franco Narducci, Gino Bucchino, Gianni Farina, Laura Garavini, Fabio Porta e i sen. Nino Randazzo e Claudio Micheloni). Il titolo dell’incontro riassume il senso dell’iniziativa: “Migranti come noi. Accoglienza, integrazione, sicurezza, nell’esperienza dei parlamentari eletti all’estero”.
Come si può comprendere, il senso dei lavori è stato quello di confrontare le diverse esperienze di politiche per l’immigrazione nelle varie aree di provenienza di noi parlamentari italiani nel mondo. Oltre a un semplice raffronto tra punti di forza e di debolezza delle molteplici realtà, nel corso della mattinata è emersa una quantità di spunti di riflessione anche per l’Italia, che come sappiamo si trova ad affrontare, oggi più che mai, un difficile dibattito politico sui temi dell’immigrazione e su quelli della sicurezza dei cittadini.
Proprio per queste ragioni hanno preso parte all’incontro, riconoscendone il contributo originale, il ministro ombra degli Interni del PD, Marco Minniti, e il presidente del gruppo parlamentare, Antonello Soro, oltre al responsabile del PD per gli Italiani nel mondo Maurizio Chiocchetti e all’eurodeputato Gianni Pittella.
È stato in particolare Minniti ad auspicare il ripetersi di momenti di dibattito come questo, utili anche alla politica italiana, troppo spesso chiusa in un certo provincialismo. Il ministro ombra degli Interni ha attaccato a tal proposito il “grande errore” che sta compiendo il governo Berlusconi con il decreto sicurezza. In primo luogo esso sbaglia nel ridurre l’importante tema della governance dell’immigrazione alla sola questione della sicurezza, strumentalizzando una percezione di ansia dei cittadini che non va trascurata ma non può neanche diventare il pretesto per militarizzazioni del territorio, sospensioni dello Stato di diritto (si pensi all’emendamento inserito nel decreto che blocca decine di migliaia di processi per un anno, tra cui quello del capo del governo), xenofobe e odiose schedature delle impronte digitali dei bambini nomadi.
Forte dei dati che dimostrano come solo il 10% dei clandestini giunge per la prima volta in Italia e che il resto sono persone che hanno visto scadere il proprio permesso, Minniti ha dimostrato come la Bossi-Fini, emanata dal precedente governo Berlusconi, ha aumentato e non diminuito il numero di irregolari, sfavorendo l’integrazione di chi è in Italia per lavorare e si trova a dover scappare dalle forze dell’ordine, giungendo spesso nelle braccia della criminalità organizzata. Al contrario, l’esponente del governo ombra guidato da Veltroni ha ricordato come, ad esempio, nel caso dell’Albania, l’esplosiva situazione migratoria sia stata risolta dal governo di centrosinistra a fine anni novanta grazie ad un vasto accordo di cooperazione bilaterale, che ha favorito l’institution building e il controllo delle frontiere nel Paese illirico.
Ma ciò che più mi ha trovato concorde con Minniti riguarda il fatto che nel piano del governo attuale c’è “un errore di fondo: l’idea che, sull’immigrazione, l’Italia possa far meglio da sola, laddove invece la partita si gioca in un orizzonte più ampio”.
Anch’io nel mio intervento al convegno avevo infatti ricordato come i nostri Paesi, purtroppo, rischiano di chiudersi, sia al loro interno che verso l’esterno. Lo vediamo nella crisi di quegli organismi sopranazionali, come l’Unione Europea, che potrebbero favorire i necessari processi di contaminazione tra culture, tradizioni, religioni, lingue e civiltà diverse. Ma ciò è possibile solo in presenza di una guida politica forte, se si adottano sempre più scelte di politica internazionale multilaterale, se, in sostanza, si fa meno politica estera dettata da interessi nazionali e più politica internazionale dettata dagli interessi di tutti – recuperando quindi caratteri di universalità nel pensiero e nell’azione politica. Ogni riferimento alla crisi dei trattati di Lisbona e Barcellona è puramente casuale. Ogni riferimento alla necessità non di restringere ma di ampliare Schenghen, è puramente casuale.
Le logiche della paura che oggi vengono utilizzate sono molto pericolose perché legano elementi tra loro distinti. La sicurezza e l’immigrazione, ad esempio. Per quale ragione il dibattito politico italiano confonde immigrazione, Rom e sicurezza, temi sicuramente importanti, ma che andrebbero trattati distintamente? L’impressione netta è che il Governo stia sondando il terreno e verificando – sul terreno pratico – come meglio utilizzare le logiche della paura che, pur avendo prodotto un risultato in campagna elettorale, non sempre sono immediatamente trasferibili nell’azione di Governo. Il clima politico e sociale si sta rapidamente surriscaldando, con i recenti fatti di violenza marcatamente segnati da un misto di intolleranza, razzismo, xenofobia.
Il tema della sicurezza – ad esempio – riguarda sempre tutti. Non solo i cittadini italiani. Riguarda i cittadini italiani, anche residenti all’estero, come i turisti, i temporaneamente residenti in Italia – per motivi di studio e di lavoro – gli immigrati, sia regolari che irregolari. La sicurezza riguarda tutti poiché è interesse di tutti poter vivere, lavorare ed integrarsi in serenità, armonia e nel pieno rispetto delle leggi. Non esiste altro percorso. Se desideriamo una società aperta dobbiamo costruire le condizioni per determinare i flussi d’ingresso, le politiche d’integrazione, le politiche di tutela ed il rispetto delle leggi dello Stato, con analoga severità per chiunque non le rispetti. La Costituzione della Repubblica italiana, prima che le scelte politiche, ce lo impone.
L’immigrazione regolare è utile all’Italia, è necessaria in termini economici ma anche in termini culturali e sociali. L’immigrazione irregolare, se determinatasi per incapacità del sistema di gestire i flussi o per incapacità del sistema di definire flussi rispondenti ai bisogni del Paese o per incapacità del sistema a garantire criteri realistici per la regolarizzazione, deve essere combattuta proprio dando risposta alle insufficienze del sistema, attraverso le riforme. La prima vittima della violenza, del razzismo e della xenofobia è proprio la capacità di vedere lontano.
In conclusione, vorrei allora avanzare delle proposte concrete.
Nel medio periodo, il problema principale che si pone è quello di un governo dei flussi che, responsabilmente, potrebbe avvalersi della cooperazione con i Paesi di provenienza dei migranti e che dovrebbe essere risolto ricorrendo sempre meno alla militarizzazione dei confini e alla detenzione dei migranti, con severità e disponibilità insieme. A ciò si aggiunge l’esigenza di investire su una seria governance dell’integrazione al fine di consentire a tutti gli immigrati regolari la possibilità di inserirsi nel Paese che li ospita, conoscerne la lingua e la cultura, accedere ai servizi sociali come sanità e istruzione, avere prospettive di collocamento professionale che non siano il “sommerso” o peggio la criminalità. Non potrà quindi mancare un lavoro attento di coordinamento e di monitoraggio sull’insieme delle strutture e delle istituzioni addette al governo dei flussi e dell’integrazione, se necessario attraverso la riforma o la costituzione di organismi ad hoc. Ma ciò che mi preme maggiormente di ribadire, vista anche l’attualità del tema, è che non potrà nascere nessuna buona politica migratoria se non si spezzerà il binomio dannoso che lega nell’opinione pubblica – purtroppo anche per colpa di alcuni politici e di certi media – l’immigrazione alla sicurezza. Ridurre l’esperienza enorme dello spostamento delle persone nel mondo alla mera dimensione securitaria non permetterà di sfruttare le risorse sprigionate dal contatto tra civiltà diverse e può condurre al rischio di danni incalcolabili.
Questa settimana voglio dedicare la mia rubrica a raccontare qualcosa che mi riguarda in prima persona. Ma che in realtà riguarda un po’ tutti noi, e in particolare chiunque abbia conosciuto un’esperienza di migrazione.
Lo scorso 1° luglio si è tenuto a Roma un convegno organizzato da noi parlamentari del Partito Democratico eletti nelle circoscrizioni estere (oltre a me, gli on. Franco Narducci, Gino Bucchino, Gianni Farina, Laura Garavini, Fabio Porta e i sen. Nino Randazzo e Claudio Micheloni). Il titolo dell’incontro riassume il senso dell’iniziativa: “Migranti come noi. Accoglienza, integrazione, sicurezza, nell’esperienza dei parlamentari eletti all’estero”.
Come si può comprendere, il senso dei lavori è stato quello di confrontare le diverse esperienze di politiche per l’immigrazione nelle varie aree di provenienza di noi parlamentari italiani nel mondo. Oltre a un semplice raffronto tra punti di forza e di debolezza delle molteplici realtà, nel corso della mattinata è emersa una quantità di spunti di riflessione anche per l’Italia, che come sappiamo si trova ad affrontare, oggi più che mai, un difficile dibattito politico sui temi dell’immigrazione e su quelli della sicurezza dei cittadini.
Proprio per queste ragioni hanno preso parte all’incontro, riconoscendone il contributo originale, il ministro ombra degli Interni del PD, Marco Minniti, e il presidente del gruppo parlamentare, Antonello Soro, oltre al responsabile del PD per gli Italiani nel mondo Maurizio Chiocchetti e all’eurodeputato Gianni Pittella.
È stato in particolare Minniti ad auspicare il ripetersi di momenti di dibattito come questo, utili anche alla politica italiana, troppo spesso chiusa in un certo provincialismo. Il ministro ombra degli Interni ha attaccato a tal proposito il “grande errore” che sta compiendo il governo Berlusconi con il decreto sicurezza. In primo luogo esso sbaglia nel ridurre l’importante tema della governance dell’immigrazione alla sola questione della sicurezza, strumentalizzando una percezione di ansia dei cittadini che non va trascurata ma non può neanche diventare il pretesto per militarizzazioni del territorio, sospensioni dello Stato di diritto (si pensi all’emendamento inserito nel decreto che blocca decine di migliaia di processi per un anno, tra cui quello del capo del governo), xenofobe e odiose schedature delle impronte digitali dei bambini nomadi.
Forte dei dati che dimostrano come solo il 10% dei clandestini giunge per la prima volta in Italia e che il resto sono persone che hanno visto scadere il proprio permesso, Minniti ha dimostrato come la Bossi-Fini, emanata dal precedente governo Berlusconi, ha aumentato e non diminuito il numero di irregolari, sfavorendo l’integrazione di chi è in Italia per lavorare e si trova a dover scappare dalle forze dell’ordine, giungendo spesso nelle braccia della criminalità organizzata. Al contrario, l’esponente del governo ombra guidato da Veltroni ha ricordato come, ad esempio, nel caso dell’Albania, l’esplosiva situazione migratoria sia stata risolta dal governo di centrosinistra a fine anni novanta grazie ad un vasto accordo di cooperazione bilaterale, che ha favorito l’institution building e il controllo delle frontiere nel Paese illirico.
Ma ciò che più mi ha trovato concorde con Minniti riguarda il fatto che nel piano del governo attuale c’è “un errore di fondo: l’idea che, sull’immigrazione, l’Italia possa far meglio da sola, laddove invece la partita si gioca in un orizzonte più ampio”.
Anch’io nel mio intervento al convegno avevo infatti ricordato come i nostri Paesi, purtroppo, rischiano di chiudersi, sia al loro interno che verso l’esterno. Lo vediamo nella crisi di quegli organismi sopranazionali, come l’Unione Europea, che potrebbero favorire i necessari processi di contaminazione tra culture, tradizioni, religioni, lingue e civiltà diverse. Ma ciò è possibile solo in presenza di una guida politica forte, se si adottano sempre più scelte di politica internazionale multilaterale, se, in sostanza, si fa meno politica estera dettata da interessi nazionali e più politica internazionale dettata dagli interessi di tutti – recuperando quindi caratteri di universalità nel pensiero e nell’azione politica. Ogni riferimento alla crisi dei trattati di Lisbona e Barcellona è puramente casuale. Ogni riferimento alla necessità non di restringere ma di ampliare Schenghen, è puramente casuale.
Le logiche della paura che oggi vengono utilizzate sono molto pericolose perché legano elementi tra loro distinti. La sicurezza e l’immigrazione, ad esempio. Per quale ragione il dibattito politico italiano confonde immigrazione, Rom e sicurezza, temi sicuramente importanti, ma che andrebbero trattati distintamente? L’impressione netta è che il Governo stia sondando il terreno e verificando – sul terreno pratico – come meglio utilizzare le logiche della paura che, pur avendo prodotto un risultato in campagna elettorale, non sempre sono immediatamente trasferibili nell’azione di Governo. Il clima politico e sociale si sta rapidamente surriscaldando, con i recenti fatti di violenza marcatamente segnati da un misto di intolleranza, razzismo, xenofobia.
Il tema della sicurezza – ad esempio – riguarda sempre tutti. Non solo i cittadini italiani. Riguarda i cittadini italiani, anche residenti all’estero, come i turisti, i temporaneamente residenti in Italia – per motivi di studio e di lavoro – gli immigrati, sia regolari che irregolari. La sicurezza riguarda tutti poiché è interesse di tutti poter vivere, lavorare ed integrarsi in serenità, armonia e nel pieno rispetto delle leggi. Non esiste altro percorso. Se desideriamo una società aperta dobbiamo costruire le condizioni per determinare i flussi d’ingresso, le politiche d’integrazione, le politiche di tutela ed il rispetto delle leggi dello Stato, con analoga severità per chiunque non le rispetti. La Costituzione della Repubblica italiana, prima che le scelte politiche, ce lo impone.
L’immigrazione regolare è utile all’Italia, è necessaria in termini economici ma anche in termini culturali e sociali. L’immigrazione irregolare, se determinatasi per incapacità del sistema di gestire i flussi o per incapacità del sistema di definire flussi rispondenti ai bisogni del Paese o per incapacità del sistema a garantire criteri realistici per la regolarizzazione, deve essere combattuta proprio dando risposta alle insufficienze del sistema, attraverso le riforme. La prima vittima della violenza, del razzismo e della xenofobia è proprio la capacità di vedere lontano.
In conclusione, vorrei allora avanzare delle proposte concrete.
Nel medio periodo, il problema principale che si pone è quello di un governo dei flussi che, responsabilmente, potrebbe avvalersi della cooperazione con i Paesi di provenienza dei migranti e che dovrebbe essere risolto ricorrendo sempre meno alla militarizzazione dei confini e alla detenzione dei migranti, con severità e disponibilità insieme. A ciò si aggiunge l’esigenza di investire su una seria governance dell’integrazione al fine di consentire a tutti gli immigrati regolari la possibilità di inserirsi nel Paese che li ospita, conoscerne la lingua e la cultura, accedere ai servizi sociali come sanità e istruzione, avere prospettive di collocamento professionale che non siano il “sommerso” o peggio la criminalità. Non potrà quindi mancare un lavoro attento di coordinamento e di monitoraggio sull’insieme delle strutture e delle istituzioni addette al governo dei flussi e dell’integrazione, se necessario attraverso la riforma o la costituzione di organismi ad hoc. Ma ciò che mi preme maggiormente di ribadire, vista anche l’attualità del tema, è che non potrà nascere nessuna buona politica migratoria se non si spezzerà il binomio dannoso che lega nell’opinione pubblica – purtroppo anche per colpa di alcuni politici e di certi media – l’immigrazione alla sicurezza. Ridurre l’esperienza enorme dello spostamento delle persone nel mondo alla mera dimensione securitaria non permetterà di sfruttare le risorse sprigionate dal contatto tra civiltà diverse e può condurre al rischio di danni incalcolabili.
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