venerdì 25 luglio 2008

La virgola. Un occhio attento alle cose italiane... Parlamentari e non...


La scorsa domenica, durante il congresso della Liga Veneta, Umberto Bossi ha alzato il dito medio esclamando «mai più schiavi di Roma» in riferimento al celebre verso dell’Inno di Mameli.
L’ennesima volgarità del fondatore della Lega Nord fa tornare in primo piano la solita domanda: come può un personaggio di tale risma essere il ministro delle Riforme di un Paese normale? Ma forse l’Italia non è un Paese normale…
Non è tanto una questione di patriottismo ad animare questi miei pensieri. Credo che sia semplicemente intollerabile sopportare la sequela di attacchi allo Stato italiano, ai suoi simboli e alle sue istituzione, ai suoi cittadini meridionali, agli stranieri, che Bossi ha ripetuto da quando è in politica, condendoli sempre di trivialità e pochezze.
Non possiamo abituarci a tali esternazioni per una ragione fondamentale: è inaccettabile assistere impotenti all’abbassamento del livello della politica italiana. Bene ha fatto, allora, Veltroni a chiedere ai Presidenti di Senato e Camera e al premier di prendere le distanze. Ma mentre Schifani e Fini hanno espresso un distinguo che dovrebbe essere scontato, così non è avvenuto per quanto riguarda Berlusconi. Il capo del governo ha mantenuto il silenzio per non urtare un alleato per lui essenziale, dal quale dipende la tenuta in Senato della sua maggioranza. Proprio nei giorni scorsi, infatti, la Lega Nord aveva “strozzato” le indigeste limitazioni alla magistratura varate o in corso di approvazione da parte del governo delle destre.
Come se non bastasse, Bossi ha offeso durante la stessa iniziativa anche i docenti meridionali, sostenendo che i rampolli leghisti «sono disorientati e non si meritano certi insegnanti». Peccato che senza questi ultimi le scuole del Nord non andrebbero avanti.
Da non sottovalutare, quindi, questo episodio di squallore politico ma che non deve in alcun modo distrarci da altri elementi profondamente legati al momento politico: i ricatti e le minacce leghiste, tutte imperniate sull’ottenimento di una riforma in senso federalista dello Stato, l’azione nuovamente denigratoria, come avvenuto in passato, su riforme già approvate – Calderoni dichiara un errore l’eliminazione dell’ICI – e l’uso strumentale di questa prospettiva da parte di Berlusconi che è riuscito a far passare l’immunità per le più alte cariche dello Stato, che farà passare anche alla Camera, come al Senato, la ratifica del trattato di Lisbona nonostante le resistenze storiche della Lega Nord.

Quale sicurezza?

È giunto alla sua approvazione definitiva, tramite il ricorso alla fiducia in Senato, il cosiddetto pacchetto sicurezza. “Cosiddetto” perché contiene tutto e il contrario di tutto. Figuriamoci che, allo scopo di garantire maggiore sicurezza ai cittadini, il governo delle destre aveva pensato bene di sospendere per un anno tutti i processi per reati inferiori ai 10 anni! Poi, con il varo del Lodo Alfano (che congela i procedimenti giudiziari per le quattro più alte cariche dello Stato), ha risolto il problema dei processi in carico al premier Berlusconi per tutto il resto della legislatura: semplicemente li ha bloccati. Si è quindi deciso di tramutare l’emendamento slitta-processi del decreto sicurezza nel rinvio fino a 18 mesi, a discrezione degli uffici giudiziari, dei processi per reati minori commessi dopo il 2 maggio 2006.
Ma i paradossi del decreto sicurezza non finiscono qui. A dimostrazione della demagogia insita in tale decreto legge, mentre si sbandiera ai quattro venti la questione della sicurezza, contemporaneamente si operano tagli alle forze dell’ordine. È stato il Capo di Stato maggiore della Difesa in una audizione alla Camera a riferire che le forze armate sono al limite e l'Ugl (non certo un sindacato “di sinistra”) ha ricordato che il 61% degli operatori delle forze dell'ordine vive con 1.200 euro al mese. Di fronte a questo quadro però il governo Berlusconi ha deliberato l’impossibilità di reintegrare il personale delle forze dell’ordine che andrà in pensione “coatta” (40.000 donne e uomini) e ha deciso di togliere oltre 3 miliardi di risorse dai bilanci delle Forze di polizia ed armate.
È soprattutto per queste ragioni – oltre alla militarizzazione dei territori con l’invio dei soldati nelle città e all’aggravante di clandestinità nei processi – che il PD ha scelto giustamente di bocciare il decreto.

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