Sconfitta in Abruzzo, passi indietro sulla scuola e piano auto
La sconfitta alle regionali in Abruzzo era annunciata. Ma le sue proporzioni per il Pd sono drammatiche, è inutile negarlo. Siamo rimasti fermi alla soglia del 20%, crollando di 13 punti, mentre Di Pietro – abile nello sfruttare il clima attuale – è balzato al 15%.
Dopo che un nostro esponente, l’ex presidente della Regione Del Turco, era stato coinvolto in uno scandalo di grandi proporzioni (e ora si dice “felice” della vittoria della destra), altre vicende giudiziarie avevano riguardato nell’ultima settimana esponenti del Pd in Campania e a Firenze. Il giorno stesso dello scrutinio abruzzese, il sindaco di Pescara e un altro deputato del Pd sono stati arrestati. Il giorno successivo è stata la volta di due assessori del Pd a Napoli, con il coinvolgimento nelle indagini di due parlamentari, uno di Alleanza Nazionale e l’altro del Pd.
La questione morale esiste. Noi democratici dobbiamo affrontarla con severità e decisione, intervenendo severamente sulle gestioni locali del partito, spesso troppo autonome dal progetto nazionale. Bisogna farlo urgentemente, prima che in troppi rimangano delusi dal Pd, oggi nell’occhio del ciclone. Occorre essere garantisti ed allo stesso tempo fermi nel sostenere l’azione della giustizia.
Nonostante ciò, rimaniamo convinti che i giudici debbano fare il loro lavoro. In questo – non dimentichiamolo mai – siamo differenti da Berlusconi e dalla sua maggioranza.
La scorsa settimana, infatti, il premier ha annunciato di voler cambiare la Costituzione italiana, ed è stato subito stoppato dal presidente Napolitano. In particolare, Berlusconi punta a riscrivere la parte sulla giustizia, riducendo e indebolendo i contropoteri che – come ovunque in Occidente – bilanciano l’esecutivo e il legislativo.
Ancor più paradossale è il fatto che il premier fa la voce grossa e irride le minoranze, ma poi ne ricerca il consenso in Parlamento per approvare queste “riforme”, le uniche non necessarie, anzi dannose, per il Paese.
Lo stesso atteggiamento mistificatorio da parte del governo si riscontra sulla riforma Gelmini dell’istruzione, tutta incentrata sui tagli (8 miliardi di euro in tre anni, 87mila insegnanti e 45 addetti in esubero). La maggioranza l’ha approvata con grossi cambiamenti in meglio: ha reso non obbligatori il maestro unico alle scuole primarie (un passo indietro enorme dal punto di vista didattico) e l’abbandono del tempo pieno, necessario alle famiglie che lavorano. Tutto ciò grazie alle mobilitazioni che nel Paese si sono sollevate in questi mesi. Ebbene, Berlusconi ha avuto il coraggio di dire che non è cambiato nulla…
Va bene che dare l’impressione di essere vincenti aiuta a vincere. Ma certi eccessi vanno chiamati con il loro nome: menzogne.
Infine, il piano-auto. Nel panorama di recessione che riguarda il mondo intero e che si fa sentire particolarmente in un Paese che poco ha investito in innovazione come l’Italia (la Confindustria stessa stima per il 2009 ben 600.000 posti di lavoro persi), un settore che è entrato in una profonda crisi è quello della produzione automobilistica.
Di fronte a un governo inadeguato a dare risposte all’altezza degli altri Paesi europei e degli Usa, Veltroni, ha spiegato che se gli altri Paesi interverranno si "altererà la concorrenza e l'Italia pagherà di più". Per questo, ha detto, "se lo faranno gli altri invito a mettere in campo, anche noi, incentivi al settore delle auto". Su questo il leader del Pd si è detto ancora una volta disponibile a dialogare.
Il timore è sempre lo stesso. Mentre l’opposizione si mostra responsabile per il bene del Paese, il governo Berlusconi e la sua maggioranza vogliono “la botte piena e la moglie ubriaca”: l’appoggio parlamentare del Pd e al contempo il solo merito delle soluzioni messe in campo. Urlare contro l’opposizione salvo poi cercarne il sostegno nelle aule parlamentari. Il dialogo deve prevedere l’ascolto, caro Berlusconi, altrimenti è solamente impartire ordini, istruzioni per l’uso, direttive: la maggioranza è abituata a questi strumenti ma sono poco utili se si vuole un aperto confronto con l’opposizione.
La sconfitta alle regionali in Abruzzo era annunciata. Ma le sue proporzioni per il Pd sono drammatiche, è inutile negarlo. Siamo rimasti fermi alla soglia del 20%, crollando di 13 punti, mentre Di Pietro – abile nello sfruttare il clima attuale – è balzato al 15%.
Dopo che un nostro esponente, l’ex presidente della Regione Del Turco, era stato coinvolto in uno scandalo di grandi proporzioni (e ora si dice “felice” della vittoria della destra), altre vicende giudiziarie avevano riguardato nell’ultima settimana esponenti del Pd in Campania e a Firenze. Il giorno stesso dello scrutinio abruzzese, il sindaco di Pescara e un altro deputato del Pd sono stati arrestati. Il giorno successivo è stata la volta di due assessori del Pd a Napoli, con il coinvolgimento nelle indagini di due parlamentari, uno di Alleanza Nazionale e l’altro del Pd.
La questione morale esiste. Noi democratici dobbiamo affrontarla con severità e decisione, intervenendo severamente sulle gestioni locali del partito, spesso troppo autonome dal progetto nazionale. Bisogna farlo urgentemente, prima che in troppi rimangano delusi dal Pd, oggi nell’occhio del ciclone. Occorre essere garantisti ed allo stesso tempo fermi nel sostenere l’azione della giustizia.
Nonostante ciò, rimaniamo convinti che i giudici debbano fare il loro lavoro. In questo – non dimentichiamolo mai – siamo differenti da Berlusconi e dalla sua maggioranza.
La scorsa settimana, infatti, il premier ha annunciato di voler cambiare la Costituzione italiana, ed è stato subito stoppato dal presidente Napolitano. In particolare, Berlusconi punta a riscrivere la parte sulla giustizia, riducendo e indebolendo i contropoteri che – come ovunque in Occidente – bilanciano l’esecutivo e il legislativo.
Ancor più paradossale è il fatto che il premier fa la voce grossa e irride le minoranze, ma poi ne ricerca il consenso in Parlamento per approvare queste “riforme”, le uniche non necessarie, anzi dannose, per il Paese.
Lo stesso atteggiamento mistificatorio da parte del governo si riscontra sulla riforma Gelmini dell’istruzione, tutta incentrata sui tagli (8 miliardi di euro in tre anni, 87mila insegnanti e 45 addetti in esubero). La maggioranza l’ha approvata con grossi cambiamenti in meglio: ha reso non obbligatori il maestro unico alle scuole primarie (un passo indietro enorme dal punto di vista didattico) e l’abbandono del tempo pieno, necessario alle famiglie che lavorano. Tutto ciò grazie alle mobilitazioni che nel Paese si sono sollevate in questi mesi. Ebbene, Berlusconi ha avuto il coraggio di dire che non è cambiato nulla…
Va bene che dare l’impressione di essere vincenti aiuta a vincere. Ma certi eccessi vanno chiamati con il loro nome: menzogne.
Infine, il piano-auto. Nel panorama di recessione che riguarda il mondo intero e che si fa sentire particolarmente in un Paese che poco ha investito in innovazione come l’Italia (la Confindustria stessa stima per il 2009 ben 600.000 posti di lavoro persi), un settore che è entrato in una profonda crisi è quello della produzione automobilistica.
Di fronte a un governo inadeguato a dare risposte all’altezza degli altri Paesi europei e degli Usa, Veltroni, ha spiegato che se gli altri Paesi interverranno si "altererà la concorrenza e l'Italia pagherà di più". Per questo, ha detto, "se lo faranno gli altri invito a mettere in campo, anche noi, incentivi al settore delle auto". Su questo il leader del Pd si è detto ancora una volta disponibile a dialogare.
Il timore è sempre lo stesso. Mentre l’opposizione si mostra responsabile per il bene del Paese, il governo Berlusconi e la sua maggioranza vogliono “la botte piena e la moglie ubriaca”: l’appoggio parlamentare del Pd e al contempo il solo merito delle soluzioni messe in campo. Urlare contro l’opposizione salvo poi cercarne il sostegno nelle aule parlamentari. Il dialogo deve prevedere l’ascolto, caro Berlusconi, altrimenti è solamente impartire ordini, istruzioni per l’uso, direttive: la maggioranza è abituata a questi strumenti ma sono poco utili se si vuole un aperto confronto con l’opposizione.
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