venerdì 27 febbraio 2009

La virgola, nucleare!


Back to the past: ritorno al passato

Prima di tornare al passato sarebbe doveroso aprire un dibattito “informato”. Il Parlamento non può essere unicamente il luogo in cui si convertono decreti – spesso con il voto di fiducia. Deve essere il luogo dell’approfondimento e della conoscenza e poi anche della decisione. La strada verso il nucleare è stata riaperta da provvedimenti che nulla avevano a che fare con l’approfondimento e la conoscenza sul tema. Ecco perché l’accordo tra Berlusconi e Sarkozy, che prevede la messa in funzione entro il 2020 di quattro centrali nucleari in Italia, è semplicemente un’irragionevole accelerazione. Non sarebbe utile, per il Paese, rispondere ad alcune domande che ancora oggi è legittimo porsi prima di partire con un programma nucleare? L’accordo conviene solo alla Francia, che metterà esclusivamente il know-how per la costruzione degli impianti, ricevendo in cambio energia prodotta in Italia con soldi italiani. Quattro centrali costano ai contribuenti almeno 12 miliardi di euro (e non è neanche detto: l'ultima centrale in costruzione, in Finlandia, ha già visto una lievitazione dei costi del 50%). Sarebbe questo il modo di rispondere con immediatezza all'attuale crisi? Le centrali entrerebbero in funzione solo nel 2020 (salvo ritardi) e poi avrebbero una vita di circa 25 anni, e nei primi 5-10 anni non sarebbero neanche produttive a pieno regime. Nel frattempo, quale soluzione per il problema energetico? E, soprattutto, perché immobilizzare per anni denaro pubblico sul nucleare in costruzione piuttosto che spenderlo per le energie rinnovabili che entrano a regime in periodi brevissimi? L’Italia non possiede l'uranio che dovrebbe comprare dall'estero. Quale la convenienza rispetto al sole, al vento e alle altre fonti rinnovabili che abbiano anche in loco? Il nucleare non è conveniente economicamente: se si considera il processo produttivo dall'inizio alla fine, cioè dal reperimento dell'uranio allo smaltimento delle centrali e delle scorie, i suoi costi al Kwh raggiungono i 6,3 centesimi di euro (dati Department of Energy), un’enormità a confronto con quelli delle altre fonti. Tanto per fare un esempio, l’Enel italiana per due centrali atomiche da essa gestite sul suolo della Slovacchia spende 2.700 euro al Kw, quando quelle a gas ne costano in media 500, per non parlare degli impianti eolici o fotovoltaici. Del resto, ci sarà un motivo per cui gli Usa non costruiscono nuove centrali dal 1978 e la Germania le smantellerà tutte entro il 2020?
Dove metteremo le centrali e dove le scorie? Il governo ci ha pensato seriamente oppure già ha dimenticato che ancora vanno completati i lavori di smantellamento delle vecchie centrali italiane e la collocazione delle loro scorie radioattive?
I posti di lavoro che potrebbero creare le energie rinnovabili sono tantissimi (la Germania ne ha creati in un decennio circa un milione). Inoltre, trattandosi di energia pulita, spesso autoprodotta a livello domiciliare e aziendale, previene la dispersione da trasporto e migliora l'efficienza. Ecco perché, prima di regalare miliardi di euro pagati dalle tasse degli italiani a pochi grandi gruppi privati, sarebbe utile dare risposta a queste domande.

Sostenere la ricerca italiana. In Italia e nel mondo!

Parlando all’Università di Perugia, qualche giorno fa, il Presidente della Repubblica Napolitano ha lanciato un accorato monito alle istituzioni – e quindi, in primo luogo, a Governo e Parlamento – affinché l’Italia ricominci a sostenere adeguatamente la ricerca. Parole sacrosante. Nessun Paese civile, a differenza di quanto purtroppo sta avvenendo in Italia a partire dalla riforma Gelmini, ha deciso di tagliare ulteriormente le risorse destinate all’Università e alla ricerca. Il governo Berlusconi definisce i suoi disinvestimenti come “razionalizzazioni” e “tagli agli sprechi”, e – come ci ha abituato da tempo – inventa un nuovo nemico di turno, i “baroni”, per giustificare la distrazione di fondi dalla ricerca. Inoltre, si fa scudo con la crisi economica per spiegare la necessità dei tagli. Peccato soltanto che la crisi sia mondiale, ma in altri Paesi coinvolti nessun governo, di qualsiasi colore, ha pensato di compromettere un settore che semmai è la chiave per innovare il nostro modello produttivo e rilanciarlo. Colgo l’occasione per ricordare che, proprio a causa dell’inadeguatezza dell’investimento italiano nella ricerca, molti studiosi italiani svolgono le proprie attività all’estero. È per coordinare e valorizzare questo patrimonio umano sparso per il mondo e soprattutto per far sentire la loro voce che ho presentato una legge volta all’istituzione di un Consiglio permanente dei nostri ricercatori nel mondo e di un Comitato interministeriale tra Farnesina e dicastero all’Università al fine di censire e di promuovere la ricerca italiana all’estero.

mercoledì 25 febbraio 2009

Abbiamo un forte bisogno di azioni “positive” per gli italiani all’estero

È in atto un tentativo di delegittimazione dell’intero sistema della rappresentanza degli italiani all’estero. Non vedo come altrimenti descrivere lo strano incrociarsi di accuse e proposte che nascono da contraddizioni qualche volta reali, spesso costruite ad arte. Durante l’audizione informale del CGIE, condotta dal Comitato per gli italiani del mondo della Commissione Affari esteri della Camera, la proposta di riforma dei Comites presentata dall’On. Marco Zacchera, che presiede il Comitato, è stata criticata in maniera unanime, quanto aspra, dai componenti del CGIE – di tutte le aree geografiche e politico-culturali. Non è un buon segnale per un Comitato che dovrebbe svolgere un’azione di analisi e di proposta comune. Quanto meno dovrebbe provarci, senza rinunce preventive, in attesa delle iniziative del Governo, per ora solo annunciate, e di un confronto in Parlamento. Contemporaneamente, da più parti, è stato proposto nuovamente un dibattito sull’utilità della rappresentanza parlamentare eletta all’estero, sulla natura della rappresentanza stessa e sulla capacità di tutto il sistema di rispondere ai bisogni e alle aspirazioni delle comunità italiane nel mondo. Abbiamo un Governo e una maggioranza che non hanno mantenuto gli impegni programmatici presi con gli elettori residenti all’estero durante la campagna elettorale, che hanno tagliato severamente le risorse destinate alle comunità italiane nel mondo, che giornalmente sostengono la tesi che le comunità italiane nel mondo non siano “tali” cioè italiane, poiché non parlano italiano e pertanto non avrebbero titolo alla cittadinanza italiana, alla rappresentanza e ai servizi. In che modo questa visione risponde alle esigenze delle nostre comunità? Non sarebbe forse utile fare un primo vero, autentico, confronto su questi temi? Perché se il punto di partenza è questo, non dobbiamo poi scandalizzarci se per i Comites si propone più partiti, meno donne, meno giovani, meno democrazia. Non sarebbe utile capire quali sono le reali intenzioni sulla riforma della cittadinanza? Sul futuro degli investimenti per la scuola e la cultura? Sulle riforme istituzionali e sul futuro della rappresentanza degli italiani all’estero? Anche discutendo dell’elettorato passivo. Un importante momento di confronto politico-istituzionale, prima che parlamentare, su questi temi, ci consentirebbe di superare “la serie infinita di contraddizioni” che ostacolano il nostro lavoro. Dobbiamo avere il coraggio di discutere con forza questi argomenti. Un momento alto di confronto tra maggioranza e opposizione. Poi un programma di riforme. Su alcune lavoreremo insieme – ove possibile – su altre ci troveremo distanti. Sarebbe un errore pensare che in questo momento la risposta possa venire dalle “fondazioni”, dalla satira “preventiva” di destra o di sinistra e dai perpetui attacchi ai parlamentari eletti all’estero.

La virgola,

Sul futuro delle comunità italiane all’estero e sulla loro rappresentanza politica

Il Consiglio Generale degli italiani all’estero sostiene giustamente una tesi: la questione del momento – la più importante in assoluto – non è la riforma dei Comites o del Cgie. Aggiungo che ragionare sulle singole riforme – tutte urgenti ed importanti, dalla scuola alla cultura, dall’assistenza alla tutela sociale – può essere altrettanto inutile se non si ridisegna un quadro di impegni – condiviso o meno – ma che sia tale, da parte della maggioranza e anche dell’opposizione. Da parte del Paese e della classe politica che lo guida. Credo che questa sia “la questione del momento”, oltre alle conseguenze dei tagli che arrivano ora a destinazione.
Ho avuto modo di ricordare – durante l’audizione con il Cgie – che il momento di svolta sulla questione dell’esercizio in loco del diritto di voto si verificò nella sala della Lupa a Montecitorio quando insieme intraprendemmo un percorso, condiviso da maggioranza ed opposizione di ieri, verso la elezione diretta degli italiani all’estero nel Parlamento repubblicano. Continuo a ritenere giusta quella scelta e l’unica possibile – ancora oggi. Dovremo misurarla con le proposte di modifica della Costituzione e con le riforme istituzionali. Dovremo misurarne anche i risultati. L’esercizio in loco del diritto di voto degli italiani all’estero si concretizzava in un disegno di rappresentanza diretta ma era accompagnato da una visione politica complessiva che vedeva le comunità come risorsa e le politiche a loro favore un serio investimento per il futuro.
Quel quadro complessivo di riferimento che ci guidava è compromesso. Per questa ragione dobbiamo oggi essere forti. Resistere la tentazione della polemica, evitare le vuote riflessioni su presunte urgenti riforme e invece concentrarci sul disegno complessivo che oggi manca. Il ruolo e le competenze di Comites e Cgie possono essere discussi, e dobbiamo essere pronti ad avanzare anche le nostre proposte. Questi organismi di rappresentanza però – è fin troppo evidente – possono essere utili solo se il disegno di valorizzazione delle nostre comunità continua ad esistere. Il Governo e la maggioranza che lo sostiene hanno finora dimostrato di non avere una strategia, di sopravvivere in un “vuoto” e di gestire il quotidiano in una sostanziale assenza di “disegno strategico”. Forse l’assenza di progetto è invece parte di una strategia finalizzata all’indebolimento degli organismi di rappresentanza, ad una proposta di riforma che ne diminuisca ruolo e competenze, a far assorbire i tagli e soprattutto a far prevalere una fondamentale inversione di tendenza: guardare alle comunità italiane nel mondo unicamente in una miope ottica commerciale. Sarebbe un grave errore.
La nostra proposta oggi deve partire proprio da queste valutazioni chiedendo alle forze politiche di maggioranza ed opposizione un contributo a ridisegnare il futuro della nostra presenza nel mondo.

La lunga marcia del Partito Democratico

Il Partito Democratico, la sua costruzione, il suo realizzarsi – anche attraverso il sistema delle regole interne e del modo più aperto e trasparente possibile per raggiungere le decisioni che oggi portiamo in Parlamento come forza di opposizione e che domani saremo chiamati a trasformare in proposte di Governo – rappresentano il progetto politico di rinnovamento più ambizioso degli ultimi 50 anni di storia repubblicana. Tutti coloro che lavorano alla costruzione di un partito nuovo, aperto, capace di coinvolgere la gente in una nuova sfida politica, di dare risposte alle aspirazioni delle persone e delle famiglie – anche in questo momento di profonda crisi economica – oggi si rendono conto che “il progetto” è più importante dell’uomo che lo ha guidato dalla sua nascita. Il progetto politico del PD è più importante del segretario Veltroni che con noi ha voluto sfidare le tante forze che hanno contrastato la nascita del PD e la sua piena e completa trasformazione. E non sono poche. Interne al PD, per la complessità della sfida che ha comportato una rivoluzione degli apparti di DS e Margherita. Una rivoluzione non ancora completata ma pur sempre una apertura verso un modo nuovo di fare politica e di trasformare un progetto in azione di Governo. Le primarie e la campagna elettorale per le politiche ci hanno insegnato proprio questo.
E le insidie esterne. Centrodestra fermo al palo, ma in grado di governare e vincere quando il PD non costruisce alleanze più ampie. Il Pd fino ad oggi concentrato a completare la trasformazione in sistema bipolare e bipartitico mentre il PdL è ancora solo l’insieme di Forza Italia e AN: una strategia di sostanziale attesa, di costanti rinvii, di attese e promesse non mantenute. Il PdL non ha pagato il prezzo elettorale della trasformazione ed ora non vuole pagare neanche il prezzo politico. Eppure sulla semplificazione del quadro politico avevano puntato tanti a destra come a sinistra. Dal punto di vista strategico il PD ha commesso un errore con la sinistra radicale. Forse avremmo dovuto pensare più al risultato elettorale che alla semplificazione del quadro politico. Veltroni ha ben guidato il PD in una difficile transizione e in momento particolarmente delicato, dall’opposizione, quindi con le difficoltà di chi deve farsi capire ogni giorno per le posizioni che assume in Parlamento, per fare una opposizione “ragionata” alla coalizione che ha vinto le elezioni ed è stata – ci piaccia o no – chiamata a Governare. Le sconfitte elettorali sono anche il risultato di una forte preoccupazione da parte dei cittadini rispetto alla crisi economica, alla crescente insicurezza, alla crescente violenza che permea la società italiana. Anche nei dibattiti politici. Elementi sui quali Governo e maggioranza fomentano paure e fanno emergere chiusure sociali e culturali. Le sconfitte elettorali pesano su tutti, su tutta la sinistra che non riesce più ad ottenere il consenso popolare.
Le sconfitte elettorali sono anche il risultato di opposizioni, non solo il PD, che non sanno reagire a questa situazione e che appaiono incapaci di decidere. Ecco, al PD, indipendentemente da chi lo guiderà dopo il congresso, dobbiamo chiedere l’adozione di meccanismi trasparenti ed aperti per decidere, e non solo con i gruppi parlamentari. E portare avanti le decisioni con coerenza e determinazione, consapevoli che maggioranza e minoranza, internamente ad un grande partito riformista e sui singoli temi dell’agenda politica, ne costituiscono l’anima e ne rappresentano il futuro.

mercoledì 11 febbraio 2009

FEDI (PD): Decreto Brunetta: luci e ombre ma tanta demagogia

Il decreto Brunetta che è approdato all’esame della Camera, dopo il voto di dicembre al Senato, presenta luci e ombre, che hanno indotto il Pd all’astensione.
Tra le luci, alcune vittorie dell’opposizione e del Pd in particolare. Una è il recepimento da parte del governo dell’esigenza di precisare gli ambiti della disciplina del rapporto di lavoro pubblico riservati, rispettivamente, alla contrattazione collettiva e alla legge, ferma restando la riserva in favore della contrattazione collettiva sulla determinazione dei diritti e delle obbligazioni direttamente pertinenti al rapporto di lavoro. L'Aran sarà riformata ed è previsto, anche, un riordino delle procedure di contrattazione collettiva nazionale e integrativa, rendendola coerente con quanto è più efficiente nel settore privato, ma al contempo salvaguardando le specificità del settore pubblico.
Buona, anche se tardiva, l’approvazione della class action, cioè la possibilità di cause collettive da parte dei cittadini insoddisfatti degli standard dei servizi resi. Si noti che il Pdl aveva tentato di escludere le società quotate in borsa, emendamento poi ritirato grazie all’impegno dell’opposizione. Per il resto, l’organismo di valutazione del personale pubblico creato ad hoc nell’Aran e presunti meccanismi premianti il merito rispondono a un eccesso di retorica e di demagogia – poco concreto in termini di stanziamento di risorse e di autonomia decisionale – da parte del ministro Brunetta. Lo stesso che continua a offendere tutti i dipendenti pubblici, facendo di ogni erba un fascio.
Se è vero, infatti, che sarebbe diminuito l’assenteismo, Brunetta dovrà però convenire che non è aumentata nello stesso periodo la produttività. Inoltre, i superstipendi dei dirigenti sono stati aumentati dal governo Berlusconi senza chiedere conto dei risultati, alla faccia del merito. Il tutto mentre le spese delle pubbliche amministrazioni corrono. Infine, che dire dei 57mila precari della pubblica amministrazione che dal prossimo 1° luglio saranno senza lavoro? Brunetta pensi insomma a lavorare con maggiore concretezza e sobrietà, dando lui per primo l’esempio.

PROPOSTA DI LEGGE: “UN COMITATO INTERMINESTERIALE SU CERVELLI ALL’ESTERO”

Valorizzare i nostri “cervelli” all’estero attraverso uno specifico Comitato interministeriale. Questo, in sintesi, è l’obiettivo della proposta di legge presentata nei giorni scorsi dall’On. Marco Fedi (Partito Democratico), eletto nella circoscrizione estero.
Il “Comitato interministeriale per la promozione e il coordinamento della ricerca italiana all’estero” che l’On. Fedi propone di istituire sarebbe composto dai Ministri degli Esteri e dell’Università e Ricerca e dai Direttori generali competenti in materia. “L’idea di costituire un Comitato interministeriale – spiega il deputato eletto all’estero – nasce allo scopo di congiungere il lavoro già in essere dei terminali diplomatici italiani nel mondo con il settore dell’università e dei centri di ricerca presenti nel nostro Paese, in maniera tale che, senza aggravi di spesa pubblica e prescindendo da nuovi enti inutili, si possa fattivamente mettere a valore l’immenso patrimonio di intelligenze e di competenze che l’Italia non è riuscita a trattenere. Questa vuole essere una risposta concreta al problema del brain drain che, in maniera complementare al necessario rilancio economico della ricerca italiana che il governo non sembra interessato ad assicurare, mira a mettere in rete quanti sono all’estero per studio e ricerca con i nostri istituti, riallacciando contatti e scambiando esperienze, e magari prefigurando la prospettiva di un ritorno”, continua il parlamentare del PD.
La proposta di legge prevede, infatti, tra i principali compiti del Comitato, la realizzazione di una mappatura, da aggiornare costantemente, dei docenti universitari e ricercatori italiani residenti all’estero per ragioni di lavoro o di formazione. Sulla base di questa, compito del Comitato sarebbe quello di mettere in piedi “un sistema di comunicazione e di interscambio tra le università e i centri di ricerca italiani” al fine di rafforzare il legame tra docenti e ricercatori in Italia all’estero. Tra le funzioni del Comitato anche il consolidamento e l’eventuale ampliamento dei joint-labs tra istituti italiani e stranieri e dei corsi di dottorato universitario in collaborazione internazionale. Importante è anche l’impegno a “ridefinire gli accordi multilaterali e bilaterali già esistenti in materia di ricerca scientifica”, creandone anche di nuovi, e a “realizzare un sistema del riconoscimento delle qualifiche e dei titoli posseduti o conseguiti all’estero”.
Non ultimo per importanza è l’intento di istituire anche un specifico organismo consultivo permanente, indipendente ma in grado di offrire il suo contributo al Comitato nell’elaborazione del piano d’azione annuale: quel “Consiglio dei ricercatori italiani all’estero” da tempo richiesto dagli addetti del settore.

Il tradimento di Ippocrate e la “cattiveria” con i clandestini

“Cattivi con i clandestini”: ecco la promessa, la minaccia la volontà fatta parola del ministro degli Interni Roberto Maroni. Già a metà novembre ebbi modo di dire che il decreto sicurezza reprime le potenzialità dell’immigrazione. Contribuisce a percepire l’immigrazione come “problema” anziché come risorsa, contribuisce a vedere i processi di integrazione come “secondari” rispetto alla repressione, confonde le scelte politiche su flussi e regole con la sacrosanta lotta alla criminalità ed alla clandestinità – che nessuno vuole promuovere ma che occorre contrastare con umanità e senso di responsabilità. Confonde gli immigrati regolari con i “clandestini”: per tutti vi sarebbe comunque un orizzonte fatto di marginalità e diritti dimezzati, se non cancellati, ed una cittadinanza italiana, lontanissima nel tempo, ma anche questa di serie B.
Da novembre è cambiato davvero poco. Siamo arrivati alla “cattiveria” di Stato con una cattiva legge che tra poche settimane arriverà alla Camera.
Cattiveria che si è tradotta in un deprecabile emendamento leghista passato al Senato nell’ambito del pacchetto sicurezza: quello che obbliga i medici a denunciare i propri pazienti immigrati non in regola con i documenti.
“Vergognoso, razzista, inaccettabile” sono state le parole del segretario del Pd. “L'idea di creare le condizioni per le quali le persone che sono ammalate abbiano paura di farsi curare è un'idea inumana”, ha giustamente osservato Veltroni.A nulla sono valse le proteste di medici e infermieri, sindacati, associazioni umanitarie e opposizione. Al di là degli scopi persecutori, che violano qualsivoglia valore solidale e gettano alle ortiche la deontologia professionale di chi ha compiuto il giuramento di Ippocrate (e la stessa Costituzione), il provvedimento populista e xenofobo della Lega è rischioso anche per ragioni di salute pubblica. Potrebbe infatti accadere che, per timore di essere denunciati e di finire arrestati, dei clandestini non si sottopongano alle cure mediche e diffondano così malattie virali.

lunedì 9 febbraio 2009

Il profondo cordoglio dei parlamentari del PD, On. Fedi e Sen. Randazzo, per le vittime dei disastrosi incendi che hanno colpito l'Australia

In un messaggio inviato al Premier dello Stato del Victoria John Brumby ed al Primo Ministro Kevin Rudd - per il tramite dell'Ambasciatrice d'Australia a Roma, Amanda Vanstone - l'On. Marco Fedi ed il Sen. Nino Randazzo (eletti nella Circoscrizione Estero per la Ripartizione Africa, Asia, Oceania e Antartide), hanno espresso il loro profondo cordoglio per tutte le vittime dei disastrosi incendi che hanno colpito l'Australia ed in particolare il Victoria.

"La notizia dell'incendio più devastante della storia d'Australia che ha colpito in questi giorni il Victoria e ha causato la perdita di tante vite umane, ingenti danni e distruzioni, ci ha profondamente addolorati"- si legge nel messaggio. "Esprimiamo per il suo tramite ai cittadini australiani e alla comunità italiana d'Australia, a tutti coloro che in questa terribile disgrazia hanno perso l'affetto dei propri cari e i frutti di un'intera vita di lavoro, i sentimenti del nostro sincero cordoglio e della nostra vicinanza". I due parlamentari hanno dato all'Ambasciatrice Vanstone la piena disponibilità per attivarsi in progetti di aiuto per le zone colpite dal disastro.

Caso Eluana Englaro: lo sdegno occupa il posto del doveroso silenzio di ieri

Sono davvero poche le occasioni in cui decido di non parlare di un argomento. Della vicenda Englaro non avevo parlato. Una ex-collega parlamentare – subito dopo la decisione del Consiglio dei ministri di approvare un decreto di sospensione del protocollo su Eluana – mi ha scritto dicendo “non possiamo più tacere!”. Ha ragione. Il rispetto di una decisione presa dalla famiglia e dai medici – prima che confermata da tutti i livelli del nostro ordinamento giudiziario – aveva portato molti a rimanere in rispettoso silenzio. Un silenzio necessario per non confondere il dramma famigliare degli Englaro con i temi politici di cui siamo chiamati a occuparci. Eppure vi erano stati segnali premonitori: il tentativo di trasferire la vicenda personale degli Englaro nel bel mezzo di una polemica politica con il tentativo di portare al conflitto di attribuzioni la decisione presa dai tribunali. Poi era arrivata la conferma che viviamo in uno stato di diritto con la decisione della Cassazione di autorizzare il distacco del sondino da Eluana.
In quel momento, dal conflitto di attribuzione in poi – a livello politico – è stata alzata ogni giorno l’asticella. In quel momento si è detto “dobbiamo occuparcene noi”. Per le ragioni sbagliate. Non perché è giusto farlo a livello politico, non perché crediamo nello Stato di diritto e nella laicità dello Stato, nella libera scelta e libero arbitrio e quindi nella possibilità che si possa scegliere sulla propria vita e sulle condizioni di “accanimento terapeutico” che ci sono inflitte, ma per osteggiare una scelta che costituiva una sfida alla politica da parte della magistratura, per contrastare la scelta sofferta di una famiglia, per affermare la subalternità dello Stato laico alla Chiesa cattolica. Ora l’asticella è arrivata al conflitto istituzionale, con il Capo dello Stato e con la stessa Costituzione, con il Capo del governo che ha anche messo in discussione la stessa carta costituzionale sulla quale ha prestato giuramento.La discussione sul testamento biologico, per il quale il Presidente Napolitano aveva già auspicato un iter rapido, è l'unica strada percorribile. Voterò la proposta sul testamento biologico. Spero che il testo sia quello del senatore del Pd Ignazio Marino - che punta sul rispetto da parte del medico alle volontà del paziente. Invito il Pd a decidere, seguendo i criteri di maggioranza. Occorre continuare nelle sedi competenti – cioè le Commissioni parlamentari – ad affrontare i temi legati al testamento biologico. Senza forzature ma con una discussione ampia, serena, aperta. Oggi arriva un pericoloso segnale da parte di una maggioranza schiava dei diktat berlusconiani. Il disegno di legge del Governo è una pericolosa forzatura in sostituzione di un decreto che sarebbe stato uno schiaffo alla Costituzione.

venerdì 6 febbraio 2009

Cittadinanza italiana. La proposta degli eletti all'estero riaccende le speranze

News ITALIA PRESS agenzia stampa - N° 24 - Anno XVI, 05 Febbraio 2009, 17:36:00
Cittadinanza italiana. La proposta degli eletti all'estero riaccende le speranze

Si ridiscute l’ipotesi di una riapertura definitiva dei termini per il riacquisto della cittadinanza da parte dei nostri connazionali all’estero non riconosciuti dallo Stato come italiani
Roma - Una nuova speranza per gli italiani all'estero che non sono più in possesso della cittadinanza potrebbe arrivare dalla proposta di legge firmata da un ampio numero di parlamentari e con un ampio consenso dagli eletti nella circoscrizione estero in parlamento e discussa questa mattina in Commissione Affari Costituzionali della Camera. Marco Fedi eletto nella ripartizione Africa, Asia, Oceania e Antartide, primo firmatario della proposta che già nella precedente legislatura era stata posta all'attenzione del parlamento è convito che sia prioritario il riacquisto della cittadinanza italiana, regolata dalla legge 91 del 1992.
Secondo Fedi, "Gli obiettivi di piena integrazione e partecipazione, che hanno consentito alle nostre comunità di assumere posizioni di rilievo a livello professionale, economico, politico e istituzionale nelle Società di accoglimento, hanno comportato, negli anni precedenti all'entrata in vigore della legge 5 febbraio 1992, n. 91, l'acquisizione per naturalizzazione della cittadinanza del Paese di residenza. Una scelta condizionata dalla necessità di vedere riconosciuti e salvaguardati i diritti civili come l'acquisto della propria abitazione o l'assunzione di un incarico politico oppure di un impiego pubblico". Molti paesi però hanno introdotto norme relative alla doppia cittadinanza successivamente al 31 dicembre 1997 anno in cui terminava il periodo transitorio di richiesta della cittadinanza italiana. "Oggi torniamo a riproporre questa norma - ha detto Fedi- affinché si possa ridare questa opportunità senza limitazioni. In Australia ad esempio La questione si pone con urgenza anche per coloro i quali, nel periodo di vigenza del termine anche volendolo, non erano nelle condizioni di chiederla, pena la perdita della cittadinanza dello Stato di residenza".
La riapertura dei termini, secondo Fedi, "risolverebbe anche il problema posto dai minorenni, ex cittadini italiani, che hanno perso la cittadinanza italiana senza mai esprimere una precisa volontà a causa della naturalizzazione del padre". Per i firmatari della legge è evidente come esista "ancora oggi nell'ordinamento italiano una anacronistica disparità di trattamento tra cittadini, in contrasto palese con i dettami costituzionali che garantiscono pari dignità sociale e uguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso (articolo 3 della Costituzione). Tale discriminazione giuridica si riscontra, in particolare, nei confronti di quelle donne che, emigrate all'estero nel secolo scorso, sono state private della cittadinanza per se stesse e per i propri figli".

giovedì 5 febbraio 2009

La virgola,

Sulla legge elettorale e oltre…

Certamente abbiamo qualche difficoltà nel rapporto con la sinistra. Dico subito che anch’io spero davvero che anche a sinistra il processo di aggregazione utile – non voto utile – continui. Per il bene della politica e dell’Italia. Ma questo è solo un auspicio perché è giusto che ciascuno sia libero di fare le proprie scelte. Credo che il principio di semplificazione politica sia stato ben illustrato durante la campagna per le politiche e quindi non torno su argomenti validi sempre, anche quando non si elegge un esecutivo. Non siamo stati capaci di svolgere, sul tema delle regole, una riflessione più ampia, più articolata, internamente al partito democratico e fuori.
Il voto del gruppo PD, che ha anticipato la votazione in aula, è stato un buon esempio di discussione e consultazione ma certamente non è stato sufficiente. Non abbiamo ben spiegato perché, a quattro mesi dal voto per il rinnovo del Parlamento Europeo, vi sia stata un’accelerazione sulla riforma della legge elettorale, introducendo uno sbarramento del 4% e le preferenze. La posizione iniziale del PD – mantenere le preferenze e sbarramento al 3% - va detto – non era molto distante dalle norme introdotte con la riforma. Possiamo dire che il PD, in fondo, ha fatto un percorso molto breve rispetto alle posizioni espresse già nella trascorsa legislatura – e sulle quali vi era un “possibile” accordo anche di alcune forze della sinistra – un percorso dell’1%, dal 3 al 4% di quota di sbarramento. Il Popolo delle Libertà – rispetto alle posizioni iniziali – ha dovuto rinunciare a un “no” alle preferenze oltre che a 1 punto percentuale in senso opposto. Tutti sanno che se si vogliono riforme condivise in Parlamento e nel Paese, se si vuole evitare che, sulle regole e sulle grandi riforme strutturali, dalla Costituzione alla giustizia, ogni maggioranza faccia e disfaccia, occorrono convergenze ampie. Non inciuci. Le analisi introspettive, psicologiche e politiche che si fanno in questi giorni m’interessano poco. Per fare le riforme fondamentali per il paese serve condivisione, ed è ancora più evidente come per riforme di questo tipo servano i due partiti più grandi. Meglio forse sarebbe stato partire da una riforma della legge elettorale nazionale per arrivare poi a quella europea, ma i tempi non lo permettevano e alla fine abbiamo fatto la scelta giusta. Non abbiamo rinunciato a una piccola e breve opportunità di dialogo e abbiamo fatto una riforma insieme.

Le intercettazioni non sono il Grande Fratello

Sulle intercettazioni è in corso da alcuni giorni una polemica molto bizzarra. Il premier Berlusconi e la sua maggioranza stanno palesemente agendo per confondere le acque, sparando numeri grossolani (350.000 intercettati in Italia) e costruendo presunti “nemici pubblici” (l’agente Genchi).
In realtà lo scopo del governo è di produrre una contro-riforma che proibisca l’uso dello strumento delle intercettazioni per le indagini giudiziarie. Lo dimostrano le parole dello stesso Berlusconi quando afferma candidamente di non volere fermare le intercettazioni, ma di circoscriverle “ai casi di reato già provato, per aumentare le prove a carico”. In pratica le intercettazioni non potranno più essere utilizzate per accertare un reato, ma solo per incrementare le accuse a carico dell’imputato.
Il Partito Democratico ha presentato un ddl che include tutti i gravi reati per i quali il ddl del ministro Alfano non prevede l'uso di intercettazioni: sequestro di persona, violenza sessuale e atti sessuali con minorenni, prostituzione, rapina, estorsione, truffa ai danni dello Stato, circonvenzione di incapaci, usura, ricettazione, traffico illecito di rifiuti, associazione per delinquere, adulterazione contraffazione e commercio di sostanze alimentari, incendio e incendio boschivo, bancarotta fraudolenta.
Il ministro, poi, vuole impedire del tutto la pubblicazione dei testi delle intercettazioni. Il PD ha proposto invece che quelle irrilevanti vengano distrutte, eliminando all’origine la materia del contendere, e che tutte possano essere pubblicate solo dopo le indagini preliminari.
Inoltre, il governo vuole limitarne l’uso fino a un massimo di 45 giorni. Che un limite debba esserci, siamo tutti concordi. Ma se fosse così basso condannerebbe le intercettazioni all’inutilità. È bene ricordare che se fosse stata in vigore la riforma del centro-destra un criminale come Bernardo Provenzano sarebbe ancora latitante.

Dai primi di gennaio, le misure anticrisi del Governo australiano hanno raggiunto anche i residenti in Italia … e l’Italia?

Il decreto anticrisi del governo Berlusconi, passato con il ricorso all’undicesimo voto di fiducia in meno di dieci mesi di governo, al fine di blindare il testo evitando qualsiasi modifica, è un provvedimento che abbiamo giudicato inadeguato. 5 miliardi di euro che per il Partito Democratico sono largamente insufficienti di fronte all’entità della crisi economica in atto tanto che chiedevamo un impegno per 15 miliardi di euro, pari a un punto percentuale di Pil. Era possibile farlo, in primo luogo perché grazie alle contro-proposte del PD – volte a far muovere investimenti e a redistribuire la ricchezza, e non a incoraggiare il risparmio e a lasciare intatto lo status quo sociale - il Pil sarebbe cresciuto producendo maggiori entrate per lo Stato. Inoltre, sarebbe necessario tornare a innescare, come avvenne durante il governo Prodi, quella virtuosa lotta all’evasione tributaria del tutto abbandonata dal governo Berlusconi, accompagnando ciò con una seria battaglia contro gli sprechi della pubblica amministrazione. Il giudizio sul provvedimento era ed è quindi negativo. Ora arriva dal Governo un impegno per 40 miliardi di euro. Quanto arriverà direttamente a famiglie, pensionati e ceti sociali più deboli? E quanto arriverà, o sarà recuperato rispetto ai tagli, a favore dei residenti all’estero?
Ogni giorno ascoltiamo dichiarazioni contrastanti di esponenti dell’esecutivo e della maggioranza che propongono soluzioni protezionistiche e iniziative che allontanano qualsiasi prospettiva di coordinamento internazionale e di nuova governance economica. Non solo. Viene prospettata una rinuncia preventiva alla sfida globale in campo economico e sociale.
Il Governo australiano ha intanto introdotto misure urgenti per contrastare la crisi economica. Un pacchetto di misure introdotte a metà ottobre e scattate a dicembre del valore complessivo di 10.4 billion dollars (circa l’1.35% del PIL) e pari a circa 5.4 miliardi di euro. Accompagnate da importanti dichiarazioni del Primo Ministro Rudd, in suo articolo sul Financial Times, il quale ritiene che tutte queste misure richiederanno una cooperazione senza precedenti tra i governi. Se falliamo le conseguenze saranno serie. Se siamo all’altezza della sfida non solo ridurremo l’impatto a lungo termine della disoccupazione, ma avremo anche iniziato a sviluppare una nuova forma di governance economica che gli imperativi della globalizzazione da lungo tempo ci spingono ad adottare.
Il pacchetto di misure, annunciate dal Primo Ministro Kevin Rudd, fa parte dell’Economic Security Strategy e prevede interventi per i pensionati, per le famiglie a basso reddito, per l’acquisto della prima casa e per la creazione di 56,000 nuove opportunità di prima occupazione.
Tra le misure introdotte segnaliamo un intervento straordinario sulle pensioni, un bonus di dollari australiani $1,050 per ciascuno i componenti una coppia o di dollari australiani $1400 per il pensionato singolo – erogato anche a tanti pensionati residenti in Italia.
Un pagamento unico ai pensionati per un valore di 2.4 miliardi, 1.95 per le famiglie, 750 milioni per la prima casa e 93 milioni per 56,000 nuove opportunità occupazionali. Oltre ad accelerare l’attuazione del programma Nation Building, uno dei più impegnativi piani nazionali per la realizzazione di infrastrutture. Interventi mirati nel settore auto per 3 miliardi di euro nei prossimi 13 anni sia con finanziamenti diretti che con la riduzione al 5%, a partire dal 2010, delle tariffe.

MOZIONE COSENTINO/ LA REPLICA DELL’ON. FEDI (PD) A SINISTRA DEMOCRATICA: CIASCUNO RISPONDE ALLA PROPRIA COSCIENZA E AGLI ELETTORI

La scorsa settimana la Camera è stata chiamata a votare una mozione di sfiducia nei confronti del sottosegretario Cosentino che, secondo alcuni elementi emersi dalle indagini effettuate dalla Procura di Napoli, sarebbe colluso con l’organizzazione mafiosa del clan dei casalesi. La mozione, votata il 28 gennaio, non è passata. Il risultato del voto è stato commentato nei giorni scorsi dal coordinamento svizzero di Sinistra democratica che in una lunga nota evidenziava il fatto che all’interno del Pd i deputati avevano votato in modo diverso, anche gli eletti all’estero (vedi Aise del 2 febbraio h.16.50). "Dai tabulati – osservavano da Basilea – emerge che Bucchino e Narducci si sono assentati proprio al momento del voto sulla mozione, Farina risultava in missione, mentre Porta e Fedi hanno votato a favore. A nostro avviso questo risultato dovrebbe indurre la stessa Garavini a farsi sentire con forza e a chiedere un radicale chiarimento ai suoi colleghi di partito".Di oggi la replica di Marco Fedi che, chiamato indirettamente in causa, scrive: "rispondo malvolentieri alla polemica che Sinistra democratica cerca di innescare tra i deputati PD eletti all’estero. In primo luogo perché credo nel dialogo e nel lavoro comune e quindi sull’urgenza di impegnarci insieme sulle riforme anziché innescare sterili polemiche. In secondo luogo perché esiste il rischio che questa mia risposta inneschi altre polemiche. Non me ne vogliano i protagonisti ai quali dichiaro – preliminarmente – che non risponderò a eventuali altri comunicati su questo tema". Entrando nel merito, Fedi osserva che "sul risultato della votazione concernente la mozione che chiedeva le dimissioni del sottosegretario Cosentino, ritengo necessario ricordare che la prima votazione è stata annullata creando notevoli problemi al sistema elettronico e – di fatto – precludendo a numerosi parlamentari la possibilità di esprimere un voto. Vista l’attenzione prestata al resoconto dei lavori, forse vale la pena verificare anche lo stenografico del 28 gennaio 2009, a pagina 103. Ma – assicura – non voglio sottrarmi, neanche per un attimo, al merito della questione che ci riguarda tutti come Parlamentari della repubblica prima che come esponenti del Partito Democratico". "Io – ricorda – ho votato con il mio gruppo parlamentare a favore della mozione dopo un esame attento della stessa, delle motivazioni illustrate e nel pieno rispetto di quelle logiche di appartenenza che ci portano ad adottare delle decisioni, rispettandole anche quando queste non ci piacciono. Altri parlamentari hanno pensato, invece, come è legittimo fare, che dovessero prevalere altre ragioni. Le ragioni di un Paese normale, in cui un esponente di Governo accusato di reati debba dimettersi per chiarire la propria posizione quando le accuse sono formulate dalla magistratura. Spesso, ed io dico anche per fortuna, grazie al giornalismo investigativo o alle intercettazioni o all’obbligatorietà dell’azione penale. Ma è controproducente invertire quest’ordine logico perché poi – come spesso verificatosi – si finisce per fornire l’alibi a chi invece vorrebbe un "garantismo esasperato" che invece contribuisce alla perdita di fiducia nelle istituzioni. Le polemiche sulla mozione Cosentino sono quindi assolutamente strumentali".
Per Fedi, quindi, "va rispettata l’opinione di quei parlamentari che al momento della votazione alla Camera ritenevano mancassero gli elementi tali da giustificare, sia sotto il profilo politico che morale, la richiesta di dimissioni. Non per puro garantismo ma per semplice logica: si è garantisti se si attendono i tre livelli di giudizio, si è ragionevoli se si attende almeno un’informazione di garanzia o un avviso di reato, formulati dai magistrati e non basati su ricostruzioni giornalistiche. Va rispettata anche l’opinione di chi ritiene che, nell’interesse della politica e delle istituzioni, si debba fare un passo indietro quando si hanno incarichi di governo e quando esistono accuse gravissime. Dobbiamo ancora scegliere, in materia di giustizia, che tipo di Paese vogliamo essere. La mozione del Partito Democratico invitava il Governo a garantire, in un momento di grave difficoltà nel rapporto tra istituzioni e cittadini, in presenza di accuse molto gravi, il massimo della trasparenza possibile. La maggioranza del Parlamento ha liberamente scelto un percorso diverso". "Altro discorso –argomenta –, invece, sarebbe quello di una mozione parlamentare sulle misure per meglio contrastare, da parte di tutto il sistema politico-amministrativo, il malaffare e le connivenze, occupandoci in sostanza dal punto di vista politico della "questione morale", come amiamo definirla. Credo sia necessario riconoscere le giuste differenze tra chi vorrebbe potersi esprimere liberamente in Parlamento sulla base di addebiti certi e non presunti. Le differenze, ad esempio, tra chi vorrebbe Battisti estradato perché condannato, in via definitiva, dalla giustizia italiana e contemporaneamente non vorrebbe essere considerato complice di episodi di corruzione quando chiede che siano garantiti alcuni principi di base del nostro ordinamento giudiziario. In attesa, magari, che vengano modificati in meglio. Delle scelte che facciamo in Parlamento – conclude – ciascuno deve rispondere oltre che alla propria coscienza anche agli elettori"

La virgola


Sulla legge elettorale e oltre…

Certamente abbiamo qualche difficoltà nel rapporto con la sinistra. Dico subito che anch’io spero davvero che anche a sinistra il processo di aggregazione utile – non voto utile – continui. Per il bene della politica e dell’Italia. Ma questo è solo un auspicio perché è giusto che ciascuno sia libero di fare le proprie scelte. Credo che il principio di semplificazione politica sia stato ben illustrato durante la campagna per le politiche e quindi non torno su argomenti validi sempre, anche quando non si elegge un esecutivo. Non siamo stati capaci di svolgere, sul tema delle regole, una riflessione più ampia, più articolata, internamente al partito democratico e fuori.
Il voto del gruppo PD, che ha anticipato la votazione in aula, è stato un buon esempio di discussione e consultazione ma certamente non è stato sufficiente. Non abbiamo ben spiegato perché, a quattro mesi dal voto per il rinnovo del Parlamento Europeo, vi sia stata un’accelerazione sulla riforma della legge elettorale, introducendo uno sbarramento del 4% e le preferenze. La posizione iniziale del PD – mantenere le preferenze e sbarramento al 3% - va detto – non era molto distante dalle norme introdotte con la riforma. Possiamo dire che il PD, in fondo, ha fatto un percorso molto breve rispetto alle posizioni espresse già nella trascorsa legislatura – e sulle quali vi era un “possibile” accordo anche di alcune forze della sinistra – un percorso dell’1%, dal 3 al 4% di quota di sbarramento. Il Popolo delle Libertà – rispetto alle posizioni iniziali – ha dovuto rinunciare a un “no” alle preferenze oltre che a 1 punto percentuale in senso opposto. Tutti sanno che se si vogliono riforme condivise in Parlamento e nel Paese, se si vuole evitare che, sulle regole e sulle grandi riforme strutturali, dalla Costituzione alla giustizia, ogni maggioranza faccia e disfaccia, occorrono convergenze ampie. Non inciuci. Le analisi introspettive, psicologiche e politiche che si fanno in questi giorni m’interessano poco. Per fare le riforme fondamentali per il paese serve condivisione, ed è ancora più evidente come per riforme di questo tipo servano i due partiti più grandi. Meglio forse sarebbe stato partire da una riforma della legge elettorale nazionale per arrivare poi a quella europea, ma i tempi non lo permettevano e alla fine abbiamo fatto la scelta giusta. Non abbiamo rinunciato a una piccola e breve opportunità di dialogo e abbiamo fatto una riforma insieme.

Le intercettazioni non sono il Grande Fratello

Sulle intercettazioni è in corso da alcuni giorni una polemica molto bizzarra. Il premier Berlusconi e la sua maggioranza stanno palesemente agendo per confondere le acque, sparando numeri grossolani (350.000 intercettati in Italia) e costruendo presunti “nemici pubblici” (l’agente Genchi).
In realtà lo scopo del governo è di produrre una contro-riforma che proibisca l’uso dello strumento delle intercettazioni per le indagini giudiziarie. Lo dimostrano le parole dello stesso Berlusconi quando afferma candidamente di non volere fermare le intercettazioni, ma di circoscriverle “ai casi di reato già provato, per aumentare le prove a carico”. In pratica le intercettazioni non potranno più essere utilizzate per accertare un reato, ma solo per incrementare le accuse a carico dell’imputato.
Il Partito Democratico ha presentato un ddl che include tutti i gravi reati per i quali il ddl del ministro Alfano non prevede l'uso di intercettazioni: sequestro di persona, violenza sessuale e atti sessuali con minorenni, prostituzione, rapina, estorsione, truffa ai danni dello Stato, circonvenzione di incapaci, usura, ricettazione, traffico illecito di rifiuti, associazione per delinquere, adulterazione contraffazione e commercio di sostanze alimentari, incendio e incendio boschivo, bancarotta fraudolenta.
Il ministro, poi, vuole impedire del tutto la pubblicazione dei testi delle intercettazioni. Il PD ha proposto invece che quelle irrilevanti vengano distrutte, eliminando all’origine la materia del contendere, e che tutte possano essere pubblicate solo dopo le indagini preliminari.
Inoltre, il governo vuole limitarne l’uso fino a un massimo di 45 giorni. Che un limite debba esserci, siamo tutti concordi. Ma se fosse così basso condannerebbe le intercettazioni all’inutilità. È bene ricordare che se fosse stata in vigore la riforma del centro-destra un criminale come Bernardo Provenzano sarebbe ancora latitante.

Dai primi di gennaio, le misure anticrisi del Governo australiano hanno raggiunto anche i residenti in Italia … e l’Italia?

Il decreto anticrisi del governo Berlusconi, passato con il ricorso all’undicesimo voto di fiducia in meno di dieci mesi di governo, al fine di blindare il testo evitando qualsiasi modifica, è un provvedimento che abbiamo giudicato inadeguato. 5 miliardi di euro che per il Partito Democratico sono largamente insufficienti di fronte all’entità della crisi economica in atto tanto che chiedevamo un impegno per 15 miliardi di euro, pari a un punto percentuale di Pil. Era possibile farlo, in primo luogo perché grazie alle contro-proposte del PD – volte a far muovere investimenti e a redistribuire la ricchezza, e non a incoraggiare il risparmio e a lasciare intatto lo status quo sociale - il Pil sarebbe cresciuto producendo maggiori entrate per lo Stato. Inoltre, sarebbe necessario tornare a innescare, come avvenne durante il governo Prodi, quella virtuosa lotta all’evasione tributaria del tutto abbandonata dal governo Berlusconi, accompagnando ciò con una seria battaglia contro gli sprechi della pubblica amministrazione. Il giudizio sul provvedimento era ed è quindi negativo. Ora arriva dal Governo un impegno per 40 miliardi di euro. Quanto arriverà direttamente a famiglie, pensionati e ceti sociali più deboli? E quanto arriverà, o sarà recuperato rispetto ai tagli, a favore dei residenti all’estero?
Ogni giorno ascoltiamo dichiarazioni contrastanti di esponenti dell’esecutivo e della maggioranza che propongono soluzioni protezionistiche e iniziative che allontanano qualsiasi prospettiva di coordinamento internazionale e di nuova governance economica. Non solo. Viene prospettata una rinuncia preventiva alla sfida globale in campo economico e sociale.
Il Governo australiano ha intanto introdotto misure urgenti per contrastare la crisi economica. Un pacchetto di misure introdotte a metà ottobre e scattate a dicembre del valore complessivo di 10.4 billion dollars (circa l’1.35% del PIL) e pari a circa 5.4 miliardi di euro. Accompagnate da importanti dichiarazioni del Primo Ministro Rudd, in suo articolo sul Financial Times, il quale ritiene che tutte queste misure richiederanno una cooperazione senza precedenti tra i governi. Se falliamo le conseguenze saranno serie. Se siamo all’altezza della sfida non solo ridurremo l’impatto a lungo termine della disoccupazione, ma avremo anche iniziato a sviluppare una nuova forma di governance economica che gli imperativi della globalizzazione da lungo tempo ci spingono ad adottare.
Il pacchetto di misure, annunciate dal Primo Ministro Kevin Rudd, fa parte dell’Economic Security Strategy e prevede interventi per i pensionati, per le famiglie a basso reddito, per l’acquisto della prima casa e per la creazione di 56,000 nuove opportunità di prima occupazione.
Tra le misure introdotte segnaliamo un intervento straordinario sulle pensioni, un bonus di dollari australiani $1,050 per ciascuno i componenti una coppia o di dollari australiani $1400 per il pensionato singolo – erogato anche a tanti pensionati residenti in Italia.
Un pagamento unico ai pensionati per un valore di 2.4 miliardi, 1.95 per le famiglie, 750 milioni per la prima casa e 93 milioni per 56,000 nuove opportunità occupazionali. Oltre ad accelerare l’attuazione del programma Nation Building, uno dei più impegnativi piani nazionali per la realizzazione di infrastrutture. Interventi mirati nel settore auto per 3 miliardi di euro nei prossimi 13 anni sia con finanziamenti diretti che con la riduzione al 5%, a partire dal 2010, delle tariffe.