Parlando all’Università di Perugia, qualche giorno fa, il Presidente della Repubblica Napolitano ha lanciato un accorato monito alle istituzioni – e quindi, in primo luogo, a Governo e Parlamento – affinché l’Italia ricominci a sostenere adeguatamente la ricerca. Parole sacrosante. Nessun Paese civile, a differenza di quanto purtroppo sta avvenendo in Italia a partire dalla riforma Gelmini, ha deciso di tagliare ulteriormente le risorse destinate all’Università e alla ricerca. Il governo Berlusconi definisce i suoi disinvestimenti come “razionalizzazioni” e “tagli agli sprechi”, e – come ci ha abituato da tempo – inventa un nuovo nemico di turno, i “baroni”, per giustificare la distrazione di fondi dalla ricerca. Inoltre, si fa scudo con la crisi economica per spiegare la necessità dei tagli. Peccato soltanto che la crisi sia mondiale, ma in altri Paesi coinvolti nessun governo, di qualsiasi colore, ha pensato di compromettere un settore che semmai è la chiave per innovare il nostro modello produttivo e rilanciarlo. Colgo l’occasione per ricordare che, proprio a causa dell’inadeguatezza dell’investimento italiano nella ricerca, molti studiosi italiani svolgono le proprie attività all’estero. È per coordinare e valorizzare questo patrimonio umano sparso per il mondo e soprattutto per far sentire la loro voce che ho presentato una legge volta all’istituzione di un Consiglio permanente dei nostri ricercatori nel mondo e di un Comitato interministeriale tra Farnesina e dicastero all’Università al fine di censire e di promuovere la ricerca italiana all’estero.
Nessun commento:
Posta un commento