Sono poche le occasioni nella vita di un organismo di rappresentanza come il CGIE in cui le parole pronunciate, i documenti approvati, le proposte presentate, assumono un significato storico oltre che politico.
Abbiamo davanti a noi un’azione governativa senza precedenti, tesa a demolire i pilastri democratici della rappresentanza, a ridurre gli investimenti per gli italiani nel mondo, a derubricare dall’agenda politica italiana tutti i temi concernenti gli italiani all’estero e a limitare fortemente l’applicazione dei diritti di cittadinanza.
L’azione risponde a un disegno politico, a un progetto, a una visione nuova dei rapporti con le comunità degli italiani nel mondo oppure è semplicemente dettata dagli eventi, dalle circostanze, dalle mille possibili giustificazioni – che siano ieri la riforma di Comites e Cgie e i fondi per l’assistenza e la scuola e oggi la riforma della legge che consente l’esercizio in loco del diritto di voto?
Credo sia vano tentare di darsi una risposta. In mancanza di un’idea nuova su cosa siamo e dove andiamo, il rischio è che avanzi il vuoto, che perdano terreno le logiche del “fare”, che uniscono, e abbiano il sopravvento le polemiche. Positivo che il Cgie, a questo proposito, sia apparso unito e solidale. Sarebbe bello se si ammettessero gli errori, evitando di sovrapporli. Avremmo oggi Comites e Cgie rinnovati, pronti a un percorso di riforma che – con o senza le note vicende legate al voto all’estero – avrebbe richiesto il naturale e logico collegamento con le proposte di riforma costituzionale e con la legge ordinaria che regola il voto. Avremmo avuto interlocutori pronti ad affrontare un dibattito intenso che comunque non poteva, e non può prescindere, da una esame attento di tutto il sistema della rappresentanza.
Un sistema che ha raggiunto completezza e il suo punto di equilibrio con il contingente eletto nella circoscrizione estero; equilibrio che rischiamo di perdere se si interviene sottraendo tasselli al sistema della rappresentanza o peggio limitando la qualità della sua espressione democratica.
È in corso un tentativo di delegittimare sia i parlamentari eletti all’estero che i Comites e il CGIE. Questa consapevolezza dovrebbe indurci a trovare spazi di dialogo per mettere in campo un’azione riformatrice condivisa. La proroga di altri due anni ci porta fuori da spazi dialettici necessari per condividere le riforme.
Riforme che devono partire da Comites e Cgie con un forte ruolo politico a livello territoriale e generale, non solo di collegamento e raccordo ma di confronto e analisi; il Cgie come luogo dell’incontro di esperienze, idee e proposte che trovano l’attenzione e l’ascolto di Governo e Parlamento.
Dobbiamo chiedere al Governo un atto di coraggio verso il dialogo, il rinnovo di Comites e Cgie e il lavoro comune per le riforme.
Abbiamo davanti a noi un’azione governativa senza precedenti, tesa a demolire i pilastri democratici della rappresentanza, a ridurre gli investimenti per gli italiani nel mondo, a derubricare dall’agenda politica italiana tutti i temi concernenti gli italiani all’estero e a limitare fortemente l’applicazione dei diritti di cittadinanza.
L’azione risponde a un disegno politico, a un progetto, a una visione nuova dei rapporti con le comunità degli italiani nel mondo oppure è semplicemente dettata dagli eventi, dalle circostanze, dalle mille possibili giustificazioni – che siano ieri la riforma di Comites e Cgie e i fondi per l’assistenza e la scuola e oggi la riforma della legge che consente l’esercizio in loco del diritto di voto?
Credo sia vano tentare di darsi una risposta. In mancanza di un’idea nuova su cosa siamo e dove andiamo, il rischio è che avanzi il vuoto, che perdano terreno le logiche del “fare”, che uniscono, e abbiano il sopravvento le polemiche. Positivo che il Cgie, a questo proposito, sia apparso unito e solidale. Sarebbe bello se si ammettessero gli errori, evitando di sovrapporli. Avremmo oggi Comites e Cgie rinnovati, pronti a un percorso di riforma che – con o senza le note vicende legate al voto all’estero – avrebbe richiesto il naturale e logico collegamento con le proposte di riforma costituzionale e con la legge ordinaria che regola il voto. Avremmo avuto interlocutori pronti ad affrontare un dibattito intenso che comunque non poteva, e non può prescindere, da una esame attento di tutto il sistema della rappresentanza.
Un sistema che ha raggiunto completezza e il suo punto di equilibrio con il contingente eletto nella circoscrizione estero; equilibrio che rischiamo di perdere se si interviene sottraendo tasselli al sistema della rappresentanza o peggio limitando la qualità della sua espressione democratica.
È in corso un tentativo di delegittimare sia i parlamentari eletti all’estero che i Comites e il CGIE. Questa consapevolezza dovrebbe indurci a trovare spazi di dialogo per mettere in campo un’azione riformatrice condivisa. La proroga di altri due anni ci porta fuori da spazi dialettici necessari per condividere le riforme.
Riforme che devono partire da Comites e Cgie con un forte ruolo politico a livello territoriale e generale, non solo di collegamento e raccordo ma di confronto e analisi; il Cgie come luogo dell’incontro di esperienze, idee e proposte che trovano l’attenzione e l’ascolto di Governo e Parlamento.
Dobbiamo chiedere al Governo un atto di coraggio verso il dialogo, il rinnovo di Comites e Cgie e il lavoro comune per le riforme.
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