sabato 27 settembre 2008

I tagli del governo agli italiani all'estero: "73, 80, 53, tombola!"

“Sono questi numeri la sostanza, i milioni di euro, dei capitoli tradizionalmente rivolti alle comunità italiane nel mondo delle 6 ultime leggi di bilancio, indicate dal sottosegretario Mantica durante l’audizione in sede di Comitato per gli italiani all’estero della Commissione Affari esteri della Camera” – ha dichiarato l’On. Marco Fedi. “Rappresentano il passaggio dall’era della stabilizzazione, che di fatto attestava i capitoli sui 73 milioni di euro, insufficienti a coprire le esigenze reali delle comunità italiane all’estero, vista l’erosione dovuta al costo della vita, alla breve stagione del considerevole aumento realizzatosi durante il Governo Prodi, fino ai tagli proposti nella finanzia per il 2009 dal Governo Berlusconi. A cui seguiranno altri tagli – sempre secondo le dichiarazioni di esponenti del Governo” – ha ricordato l’On. Fedi.
“Un taglio di oltre 20 milioni di euro ai capitoli direttamente destinati alle iniziative per gli italiani all’estero rischia di determinare proprio quella spirale di arretramento della spesa per le politiche migratorie che avevamo denunciato, anche dopo i tagli già apportati dalla conversione del decreto sulla salvaguardia del potere di acquisto delle famiglie. È preoccupante anche la scelta politica di apportare tagli senza fare riforme” – ha sottolineato Marco Fedi.
“Siamo sempre stati pronti al confronto con la maggioranza e con il Governo rispetto alla necessità di fare le riforme. Siamo pronti al dialogo. Naturalmente faremo opposizione forte ai tagli, ci opporremo alle proposte che non condividiamo e che non vanno – a nostro giudizio – in direzione di dare dignità e credibilità al sistema Italia all’estero. Siamo pronti a lavorare sui punti concreti rispetto ai quali sarà possibile trovare un accordo con la maggioranza e con il Governo, a partire dalla riforma degli Istituti di cultura, della promozione e diffusione della lingua italiana fino alla riforma elettorale. Vanno indicate le priorità. Per fare le riforme, ricordo a tutti, dobbiamo avere anche Comites e Cgie che siano in carica con pienezza di mandato” – ha concluso l’On. Marco Fedi.

giovedì 25 settembre 2008

La virgola

Preoccupante il moltiplicarsi degli episodi di razzismo, xenofobia e violenza

Due settimane fa a Milano è stato ucciso un cittadino italiano di colore, Abdul William Guibre. Un padre e un figlio l’hanno finito a sprangate al grido di “sporco negro” perché forse avrebbe rubato dal loro bar un pacchetto di biscotti.
In un delirio auto-assolutorio il governo e i principali media hanno parlato di un episodio isolato e hanno assicurato che la società italiana è immune dal razzismo. Come a dire: la xenofobia non c’entra, ma solo il bisogno di sicurezza, spinto fino al paradosso dell’illegalità di farsi giustizia da soli, in modo bestiale. Mi sembra che siamo all’ipocrisia conclamata. Alla menzogna reiterata che vuole giungere a sostituirsi alla realtà dei fatti per ragioni strumentali e ciniche di interesse politico.
Se sfogliassimo insieme i giornali degli ultimi mesi, troveremmo una serie raccapricciante di “episodi isolati”. Rimaniamo ai fatti principali, quelli che la stampa non ignora.

Il 13 maggio 2008 il campo rom di Ponticelli è stato incendiato dalla popolazione del quartiere, sull'onda della falsa informazione che una zingarella avrebbe tentato di rapire una bambina.
Il 24 maggio 2008, a Roma nel quartiere Pigneto, un negozio gestito da residenti bengalesi e pakistani è stato devastato a mazzate da un commando di italiani con il sostegno di alcuni residenti che applaudivano.
Il 20 agosto 2008 Assunçao Bonvindo Mutemba, giovane angolano di 24 anni, è stato picchiato a sangue all'uscita di una discoteca genovese con la sola giustificazione che egli aveva la pelle nera.

Questi i fatti più gravi di razzismo etnico, a cui potremmo aggiungere le ronde dei residenti italiani in alcune città, rivolte contro immigrati e prostitute, con la complicità spesso dei governi locali.
Oppure gli episodi di intolleranza contro gli omosessuali culminati nella devastazione di un circolo gay della capitale. Oppure l’assassinio da parte di giovani neofascisti di Nicola Tommasoli, la notte del 1° maggio 2008, picchiato a morte per il suo aspetto (aveva i “capelli lunghi”).
Come per Abdul William Guibre, anche nel caso di Nicola, si è parlato di una rissa per futili motivi e non di un’aggressione, e la derubricazione mediatica (sarebbe più grave bruciare delle bandiere in una manifestazione) arrivò allora dal presidente della Camera Fini – oggi riscopertosi antifascista dopo che i suoi colonnelli Alemanno e La Russa lo avevano messo in imbarazzo lodando il ventennio mussoliniano e le truppe di Salò affiliate alle SS.
È allora giunto il momento di fermarci a riflettere, mettendo da parte gli istinti e mantenendo salda l’indignazione.
Non è più possibile continuare – come hanno fatto le forze delle destra oggi al governo – a sfruttare cinicamente il tema della tutela sacrosanta della sicurezza dei cittadini come maglio per ottenere consenso e infangare l’avversario politico. Infatti, si è venuto a sviluppare una pericolosa equazione tra devianza sociale e differenza etnica e non solo (ancor più che immigrazione). Questo clima, assecondato dalla grande stampa, ha sballato le percezioni dell’insicurezza nei cittadini, facendo loro perdere di vista il fatto che in Italia i reati penali sono statisticamente meno che nel resto dell’Occidente. Ma soprattutto ciò ha condotto a un’atmosfera malata di razzismo e diffidenza, che ha costituito l’alibi per quei criminali – questi sì – che hanno fatto ricorso alla violenza per farsi giustizia fuori dalla legge e dalle istituzioni democratiche.
È urgente spezzare questa spirale. L’appello è al governo e ai media perché facciano un passo indietro. E a noi tutti, a mobilitarci per un Paese più civile.
Per una vera politica dell’integrazione

Le cronache di tutti i giorni ci parlano con grande insistenza di casi e situazioni che riguardano i problemi legati alle migrazioni e alla presenza di persone straniere all’interno delle nostre comunità. In genere, soprattutto per una colpevole responsabilità della politica e dei media, accade che gli stranieri facciano notizia o siano usati come argomento del dibattito pubblico solo per comportamenti di devianza sociale. Si è istituito un perfido binomio che lega il tema dell’insicurezza sociale a quello dell’immigrazione, non badando neanche alla verifica dei dati statistici e non distinguendo mai tra regolari e clandestini, come anche sulle ragioni spesso ingiuste o involontarie per cui molti si trovano a essere sans papier.
Questo atteggiamento, talvolta studiato strumentalmente, finisce tuttavia per mettere nell’ombra un intero universo di singoli individui o di intere famiglie che vengono nei nostri Paesi per vivere, lavorare, studiare onestamente, producendo benessere materiale e arricchendo il nostro paesaggio culturale. Anzi, mi sento di dire che questi ultimi – come è accaduto per gli italiani emigrati nel Novecento – sono la maggioranza, se non la quasi totalità, degli immigrati.
Nonostante ciò, una volta rotto il binomio di cui parlavo, occorre comunque non eludere il tema dell’integrazione sociale degli immigrati. Infatti, anche in presenza di comportamenti del tutto regolari e leciti, gli immigrati – chiunque essi siano, da qualsiasi Paese provengano – incontrano degli inevitabili problemi nell’adattarsi al nuovo ambiente di vita. Hanno spesso lacune di natura linguistica, hanno difficoltà a trovare o a regolarizzare la loro posizione lavorativa, devono risolvere la questione abitativa, talvolta hanno problemi di salute che nei loro luoghi di origine non hanno curato, e a prescindere da tutti questi disagi materiali riscontrano spesso dei conflitti culturali legati a usi, tradizioni, religioni diverse.
Ora, le migrazioni ci sono sempre state nella storia dell’umanità. Oggi viviamo nella cosiddetta epoca della globalizzazione, per cui si dice che il mondo è diventato sempre più piccolo ed è facilissimo spostarsi rispetto al passato. Per di più, questa nostra fase storica ha conosciuto un aumento delle disuguaglianze economico-sociali nel mondo che ha ulteriormente incentivato le migrazioni. Non possiamo quindi eludere questo tema facendo finta che non esista o peggio alzando barriere sempre più elevate che chiuderanno noi in un fortino fino a quando qualche disperato non riuscirà a entrarci lo stesso.
È quindi un compito dei Paesi che accolgono questa emigrazione, quello di lavorare al meglio perché ci sia reale integrazione. E non solo per ragioni etiche e solidaristiche, ma appunto perché lungimiranza vuole che si faccia un investimento su dei potenziali nuovi cittadini in grado di dare il loro contributo alla crescita delle nostre società.
Alla luce di queste riflessioni, ho da tempo maturato un profondo interesse per le politiche dell’integrazione. Voglio essere sincero: questo interesse è cresciuto in maniera proporzionale a un clima di intolleranza e di xenofobia che è purtroppo il peggiore dei vincoli a ogni seria politica integrativa. Ma non possiamo arrenderci. Oltre a contrastare sul piano informativo e culturale tendenze così deleterie, purtroppo spesso coccolate dalle destre di governo, dobbiamo continuare a impegnarci perché alcune conquiste si realizzino anche sul piano pragmatico e legislativo. Mi limiterò ad alcune proposte.
La prima evidenza è che nessuna governance dell’immigrazione è possibile in assenza di risorse economiche. A tal proposito, anziché distrarre fondi nello sforzo demagogico di reprimere l’immigrazione costruendo sempre più centri di permanenza temporanea e spendendo sempre di più per voli di espulsione, si dovrebbe invece regolare a monte il regime dei flussi aumentando gli accordi di collaborazione con i Paesi da cui partono i cosiddetti “viaggi della speranza”, tante volte finiti in tragedia. Sono stati i governi di centrosinistra i primi a sperimentare con successo tale soluzione con l’Albania, sul finire degli anni novanta. E se oggi darà frutto l’accordo con la Libia non sarà merito di Berlusconi, ma del lungo percorso diplomatico che l’attuale premier ha ereditato dal governo Prodi che lo ha preceduto. La cooperazione deve essere inoltre intrecciata tra tutti i Paesi dell’Unione europea, sia quelli mediterranei che sono il primo punto di approdo che quelli continentali e nordici dove arrivano molti dei migranti. Occorrono politiche comuni non solo e non tanto nell’ambito repressivo del fenomeno, ma anche in quello gestionale e integrativo. Non si comprende infatti perché l’Italia dell’attuale governo non voglia equipararsi agli standard di intervento sociale sviluppati da molti altri Paesi europei di più lunga tradizione nell’accogliere l’immigrazione, come Germania, Francia o Gran Bretagna, ma anche le realtà scandinave.
Liberare risorse economiche dalla repressione e dall’espulsione di massa vorrebbe dire la possibilità di assicurare servizi di prima accoglienza come la tutela sanitaria minima, la consulenza nella ricerca dell’alloggio e del lavoro (per evitare la caduta nel sommerso o nella criminalità), il supporto linguistico, completando ciò con un serio intervento anche nell’ambito dell’integrazione culturale nel tessuto della comunità ospitante.
Questi servizi esistono solo in parte in Italia e vengono forniti in maniera incostante sia per distribuzione geografica che per durata temporale. Manca del tutto omogeneità nelle politiche dell’integrazione promosse dai soggetti pubblici, a livello centrale e periferico: la riforma Amato-Ferrero le avrebbe potuto in parte sanare, se non fosse stata accantonata dal nuovo governo.
Occorrerebbe quindi uno sforzo attento di coordinamento e di monitoraggio sull’insieme delle strutture e delle istituzioni addette al governo dei flussi e dell’integrazione: l’ideale sarebbe la costituzione di un Agenzia centrale come esiste in molti Paesi, ma se necessario in Italia si può passare attraverso la riforma o la costituzione di organismi ad hoc.
Infine, spero che non venga abbandonato neanche il lavoro nella precedente legislatura fatto sulla riforma della legge sulla cittadinanza. Essa consentirebbe la riduzione sacrosanta dei tempi di attesa per ottenere la cittadinanza italiana, da dieci a cinque anni, per quelle persone immigrate che vivono regolarmente in Italia, lavorando e contribuendo, non solo sotto il profilo economico ma anche sotto quello sociale e culturale. Senza costi aggiuntivi, la riforma potrebbe inoltre favorire l’inserimento degli stranieri anche nell’ambito della partecipazione alla vita politica nazionale, vero traguardo simbolico del processo integrativo. Analogamente spero che la questione altrettanto importante del voto amministrativo trovi il necessario consenso tra le forze politiche affinché anche su questo tema di partecipazione per chi lavora, paga le tasse e contribuisce a migliorare il territorio, si possano superare barriere demagogiche e trovare soluzioni simili a quelle di tanti altri Paesi dove i residenti votano alle elezioni amministrative.
Concludo annunciando la presentazione di una proposta di legge che punti a costituire un organismo a rete in grado di coordinare e favorire studio, ricerca, proposta e monitoraggio, di tutte le politiche messe in campo sui temi dell’integrazione e della multiculturalità, anche a livello periferico.

mercoledì 24 settembre 2008

Due ratifiche importanti per l'Italia

Accordo tra Italia e Nuova Zelanda per il lavoro dei familiari del personale diplomatico

“I trattati internazionali sono sempre atti importanti, indipendentemente dal numero di persone che se ne avvantaggiano” – ha dichiarato l’On. Marco Fedi.
“Nel caso della ratifica, appena avvenuta alla Camera, dell’accordo tra Italia e Nuova Zelanda si risponde a un’esigenza primaria quale è quella del diritto al lavoro dei familiari del personale diplomatico e consolare e del personale presso le organizzazioni internazionali”. “Con questo accordo non solo la questione viene regolamentata ma anche semplificata nelle procedure e questo è sempre positivo in una fase in cui si parla tanto di semplificazione amministrativa”. “Nell’accordo tra l’altro è previsto il pieno rispetto di tutte le normative locali, sul lavoro, in materia tributaria e di sicurezza sociale”.
“Il ricorso ai trattati internazionali è un atto dovuto in assenza di regolamentazioni internazionali in materia. Su alcune questioni ritengo possa esserci uno sforzo degli organismi internazionali teso a prevedere risposte multilaterali anziché lasciare tutto alla reciprocità bilaterale ma fino a quando non avremo questa visione autenticamente “globale” anche delle relazioni tra singoli Paesi non potremo che utilizzare gli strumenti che abbiamo” – ha ricordato l’On. Marco Fedi.
“Soprattutto quando questi accordi sono l’unico strumento che abbiamo per arricchire il quadro normativo per le reti diplomatico-consolari nel mondo facilitando in questo modo la scelta delle destinazioni estere. Dovremmo proseguire in questa direzione. Ad esempio uno dei Paesi che richiederebbe interventi in questo senso è l’Australia, non solo per quanto attiene al lavoro ma anche ai visti che al momento non possono eccedere complessivamente 10 anni. Anche se ritengo che su questa materia si renda necessaria una riflessione più ampia che la semplice introduzione di incentivi” – ha concluso l’On. Marco Fedi.

Italia e Repubblica dominicana per la promozione e protezione degli investimenti
“L’approvazione da parte della Camera dei deputati del disegno di legge di ratifica dell’accordo per la promozione e la protezione degli investimenti tra Repubblica italiana e Repubblica dominicana è un atto importante per incentivare le iniziative di collaborazione economica tra i due Paesi” – ha sottolineato l’On. Fedi intervenuto in discussione generale ed in dichiarazione di voto sul provvedimento.
“Non bastano i trattati internazionali per proteggere l’Italia che investe all’estero, occorre una vera azione di sistema che parta anche dal sistema economico italiano. In questo momento le scelte economiche sbagliate del Governo Berlusconi, invece, indeboliscono l’economia italiana, non sostengono lo sviluppo, impoveriscono il Paese, disincentivano gli investimenti. Non solo. Anche la cooperazione internazionale è sottoposta a tagli. Nonostante l’importante lavoro svolto, l’Istituto per il commercio con l’estero è sottoposto a riduzioni di bilancio. Credo si debba riflettere su questi elementi, sulla sostanziale incapacità dell’Italia di oggi di rispondere alle nuove sfide globali. Occorre in definitiva una seria azione di sistema a livello nazionale ed internazionale per poter parlare di promozione e protezione degli investimenti italiani all’estero” – ha ricordato Fedi.
“Poi è vero che accordi internazionali di questo tipo debbano sempre più rispondere a nuovi modelli etici. Nel predisporre trattati internazionali di questa natura dovremmo preoccuparci di riequilibrare lo sbilanciamento tra i diritti degli investitori e quelli delle comunità dei Paesi contraenti, in termini di rispetto dell’ambiente, di diritti umani, di diritti del lavoro. Tuttavia questo è un aspetto che va trattato separatamente dalla natura bilaterale di questo accordo che tiene conto dei notevoli passi avanti fatti dalla Repubblica dominicana nella legislazione nazionale sui temi della protezione degli investimenti, delle norme antiriciclaggio e della trasparenza degli investimenti. In una realtà – ha concluso l’On. Marco Fedi – che è davvero interessante per le opportunità di investimento e per il posizionamento geo-politico”.

lunedì 22 settembre 2008

Raccomandazioni ed impegni: nelle prossime settimane il banco di prova del Governo

Accolto come raccomandazione dal Governo l’unico ordine del giorno presentato dall’Onorevole Marco Fedi in sede di approvazione del disegno di legge di assestamento del bilancio dello Stato, AC. 1417, approvato dalla Camera dei Deputati il 17 settembre scorso.
L’ordine del giorno impegno il Governo, a partire dai prossimi provvedimenti di bilancio e nella finanziaria per il 2009, “ad assumere ogni utile iniziativa tesa a recuperare le risorse destinate al Ministero degli affari esteri ed a fare in modo che gli ulteriori tagli previsti siano contenuti in limiti che non mettano in discussione il fisiologico svolgimento di alcune fondamentali attività dello stesso e ad intraprendere ogni azione possibile al fine di salvaguardare gli stanziamenti per il Ministero degli affari esteri ed in particolare per le politiche rivolte agli italiani all'estero”.
“L’ordine del giorno, sottoscritto anche dai deputati Bucchino, Farina, Porta, Garavini e Narducci, ed accolto dal sottosegretario Vegas, arriva dopo una serie di impegni presi dal Governo su materie attinenti alla vita delle comunità italiane all’estero” – ha ricordato l’On. Fedi.
“L’impegno sull’estensione dell’esonero ICI anche ai cittadini italiani residenti all’estero – fino a questo momento il provvedimento esclude i cittadini italiani residenti all’estero anche se una piccola percentuale di Comuni ha esteso questa misura ai concittadini iscritti all’Aire e residenti all’estero: impegno preso dal governo in sede di conversione del decreto 93 sulla salvaguardia del potere di acquisto delle famiglie. L’impegno sulle detrazioni per carichi di famiglia affinché passino da norma transitoria a norma definitiva per i residenti all’estero: preso in sede di conversione del decreto 112 sullo sviluppo economico, semplificazione e competitività. Fino all’impegno sull’assegno sociale: anche questo assunto in sede di secondo passaggio del decreto 112 alla Camera, e teso a rivedere le norme restrittive per tutti ma in particolare per i cittadini italiani residenti all’estero che, se in condizioni di indigenza, non avrebbero comunque diritto a tale forma di sostentamento minimo in assenza dei dieci anni di residenza. Introducendo anche il principio della residenza storica, cioè la residenza in qualsiasi periodo della loro vita in Italia. Su questi impegni, oltre al fronte delle riforme per le quali siamo pronti ad un confronto, l’opposizione del PD tra gli eletti all’estero attende proposte e soluzioni” – ha sottolineato l’On. Marco Fedi.
L’ordine del giorno accolto come raccomandazione parte dalla premessa che il comma 507 della Legge finanziaria per il 2007 dispone l'accantonamento di percentuali di somme previste per diverse voci di spesa contenute nei bilanci dei ministeri per il triennio 2007-2008-2009;le somme accantonate nell'ambito delle disponibilità del Ministero degli affari esteri per l'anno corrente ammontano a 80 milioni, di cui poco meno di 8 milioni riguardanti le politiche migratorie;il disegno di legge di assestamento del bilancio 2008, approvato nel Consiglio dei ministri del 27 giugno 2008, ha previsto per il MAE lo scongelamento di appena 8 milioni su 80, che costituisce il rapporto più sfavorevole degli ultimi anni;non sono da escludersi altri possibili tagli ai capitoli degli italiani all'estero anche nell'ambito dello scongelamento di 8 milioni di euro;questi ulteriori tagli si aggiungono a quelli disposti sul bilancio del MAE con la conversione in legge del decreto n. 93 recante «Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie» e portano le riduzioni per il corrente anno ad oltre 100 milioni di euro; l'incidenza delle riduzioni sulle politiche migratorie, già precedentemente colpite per 17 milioni di euro, stanno portando le risorse in questo campo ad un preoccupante livello di guardia rimettendo in discussione lo sforzo degli ultimi anni di consolidare e, in alcuni campi come l'assistenza, di migliorare la spesa storica;è indispensabile interrompere la spirale di arretramento della spesa per le politiche migratorie, per non determinare la perdita di iniziative e rapporti difficilmente recuperabili in situazioni caratterizzate da una rapida evoluzione, come sono quelle degli italiani che vivono in diversi contesti sociali e culturali,
impegna il Governo:-
ad assumere ogni utile iniziativa tesa a recuperare le risorse destinate al Ministero degli affari esteri ed a fare in modo che gli ulteriori tagli previsti siano contenuti in limiti che non mettano in discussione il fisiologico svolgimento di alcune fondamentali attività dello stesso,ad intraprendere ogni azione possibile al fine di salvaguardare gli stanziamenti per il Ministero degli affari esteri ed in particolare per le politiche rivolte agli italiani all'estero.

Ancora sull'Alitalia...

Sono perplesso rispetto alla vicenda di Alitalia in generale e rispetto alla situazione politica che ha generato”, esordisce Marco Fedi. Per prima cosa “non avremmo dovuto arrivare a questo punto, in cui qualsiasi soluzione è meglio del fallimento. Ed è vero – continua l'esponente del Pd eletto in Australia – che una soluzione sarebbe meglio del fallimento, ma è anche vero che qualsiasi soluzione studiata dal Governo deve trovare il consenso dei lavoratori”. “Credo che il Governo stia deludendo tutti quei cittadini che, sia in campagna elettorale che in questi giorni, si erano illusi che questa soluzione fosse davvero a portata di mano”. “Avrei preferito la soluzione del Governo Prodi – afferma -, oggetto di una campagna elettorale molto accesa che a trasformato una questione seria come questa in propaganda.”. E il risultato: “Un fallimento totale anche delle possibilità concrete di continuare a dare lavoro a tante persone e tante famiglie”.
“Le vicende Alitalia sono tali che molti Governi avrebbero dovuto fare scelte dure e decisive, ma non le hanno fatte – continua Fedi -. E “questo Governo nemmeno, perché questo è il risultato – aggiunge-. Berlusconi sta cercando di scaricare la responsabilità sui sindacati e in particolare sulla Cgil, quello che ha dimostrato maggior coerenza nella trattativa”. Ed inoltre “in un paese normale, come nei paesi da cui proveniamo noi eletti all'estero, non solo la questione Alitalia non esisterebbe in termini così ultimativi” ma “un Governo serio si assumerebbe le proprie responsabilità e non le scaricherebbe”.

On. Marco Fedi a NewsItaliaPress sulla vicenda Alitalia, 18 settembre 2008

mercoledì 17 settembre 2008

La virgola



Limitare i danni!

Il tentativo in atto non è quello di salvare Alitalia. Si sta trasferendo al settore privato, che ha le sue giuste ragioni e motivazioni economiche, tutto ciò che nell’azienda produce utili, con i capitali migliori alle condizioni migliori, inclusi i lavoratori.
Il sacrificio più grande viene richiesto proprio ai lavoratori. Ai cittadini rimarranno molti debiti ed una Compagnia Aerea Italiana – CAI – di modeste dimensioni, nazionale nelle sue aspirazioni, in difficoltà nel mondo del collegamento aereo internazionale, probabilmente non in grado di affrontare le sfide che un mercato come quello della moderna comunicazione aerea impone. La prima considerazione è che ogni ipotesi di salvare Alitalia fallì quando il mondo politico, quello economico ed i dirigenti dell’Alitalia stessa, non presero i provvedimenti seri ed immediati per modificarne il destino. Quando era ancora possibile farlo. Rincorrere le colpe del passato non è utile ma occorre non dimenticare come siamo arrivati in questa condizione. La proposta di acquisto da parte dell’Air France era percorribile. Il centro-destra ne ha fatto un uso elettorale trasformando una proposta seria, sana sotto il profilo economico e possibile anche dal punto di vista degli accordi sindacali, in una questione di identità nazionale. Non solo. È altrettanto evidente che qualcuno ha voluto portare il livello dello scontro con il mondo del lavoro fino a questo punto, per ottenere il risultato di avere un possibile capro-espiatorio, il sindacato. Il fallimento sarebbe – secondo Berlusconi – responsabilità dei sindacati. Il fallimento, invece, a mio avviso, sarà tutto del Governo.
Il Governo fallirà se non si arriverà ad una soluzione. Perché questo livello di tensione è stato raggiunto con la consapevolezza che su alcuni punti di un possibile accordo, a partire dagli esuberi, vi poteva essere uno scontro. Chi vuole lo scontro e perché? L’interesse di tutti a questo punto è arrivare ad una soluzione che eviti il fallimento. La soluzione individuata dal Governo Prodi con l’acquisto da parte di Air France sarebbe stata la soluzione giusta. Non è stato il percorso voluto da Berlusconi che ora deve impegnarsi a trovare una soluzione senza ricatti o minacce al mondo del lavoro ed a chi lo rappresenta.

La battaglia per le Europee è già iniziata

In vista delle elezioni europee, si parla di riforma elettorale. Giusta la posizione del Partito Democratico (PD), che sta diventando una posizione comune dell’opposizione, quindi anche IDV e UDC, di avere il voto di preferenza e quindi dare agli elettori la possibilità di scegliere i propri rappresentanti nel Parlamento di Strasburgo. Uno sbarramento al 3% potrebbe garantire sia i teorici del diritto di rappresentanza che i sostenitori della semplificazione politica e della riduzione del numero dei partiti e gruppi.
La discussione in Parlamento sarà interessante anche perché l’opposizione promette battaglia alla proposta del Governo che prevede un sistema senza preferenza e con uno sbarramento al 5%. Quota di sbarramento utilizzata in modo strumentale nei confronti soprattutto dell’UDC per farla tornare più vicina al PDL.

Comites e Cgie: a presto il loro rinnovo, o no…!

Voci insistenti parlano di un possibile rinvio delle elezioni per il rinnovo di Comites e Cgie. La scadenza naturale dei Comites – primavera 2009 – deve invece essere rispettata per almeno due ordini di ragione. Non mi pare sia in cantiere una proposta di riforma di Comitati la cui normativa di riferimento è stata modificata nel 2003 sulla base di una proposta del Cgie. Non ho percepito sulla materia una sensibilità “nuova” da parte del Governo di centro-destra, lo stesso che produsse una riforma Comites che recepiva solo parzialmente le richieste di Cgie e Comites stessi, e neanche da parte dell’amministrazione degli Esteri.
Il secondo ordine di motivazioni è politico. Sappiamo che le proroghe indeboliscono qualsiasi livello di rappresentanza politica. Ne indeboliscono l’autorevolezza e la capacità di azione e reazione. Non solo. Le proroghe non sono mai brevi. L’esperienza ci insegna il contrario. I Comitati degli italiani all’estero vanno rinnovati alla scadenza naturale. Analogo discorso per il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE).
E la riforma del CGIE? Credo si possa iniziare a lavorarci consapevoli che il necessario incastro tra la riforma di un organismo di rappresentanza come il Consiglio e la riforma costituzionale che dovrebbe ridisegnare la rappresentanza parlamentare, sia nella qualità che – ahimè – nella quantità, richiederà comunque tempi lunghi. Una ragione in più per rinnovare alla scadenza prevista.

martedì 16 settembre 2008

Intervento alla Conferenza dei giovani italo-australiani

Di seguito pubblico la traduzione del mio intervento alla Conferenza dei giovani italo-australiani tenutasi sulla Gold Coast il 5 settembre scorso.
Avevo preparato una presentazione in PowerPoint del mio luogo di lavoro – Montecitorio – la sua composizione, alcuni dati statistici su di esso, perché ci sono due camere di rappresentanza nel Parlamento italiano e una breve storia elettorale: ora ho tuttavia intenzione di ignorare questa presentazione – se qualcuno è interessato può chiederla e gliela invierà via e-mail. Voglio invece utilizzare i dieci minuti che gli organizzatori mi hanno concesso – e sono veramente loro grato per l’invito e per questa opportunità – per aprire una discussione franca con voi, la generazione più giovane. Dieci minuti di politica non adulterata.
L’Italia è un paese strano e complicato: ma noi l’amiamo. Spesso sento dire, non solo da giovani ma anche da Italo-Australiani più anziani: perché siamo scocciati da questa relazione, come uscire da essa? Noi viviamo le nostre vite, a mezzo mondo di distanza, e non abbiamo molto in comune con i mali dell’Italia: un complesso e difficoltoso fare i conti con burocrazia, nepotismo, mancanza di opportunità per i giovani e le loro famiglie, e ogni giorno l’abitudine di vita, di ognuno, a qualsiasi livello, di dire “non è importante cosa tu conosci, ma chi tu conosci”.
Sono convinto che l’Italia può cambiare. Sono convinto che l’Italia può essere un posto migliore per gli Italiani, non importa dove essi vivano, e per coloro che hanno un legame con l’Italia, anche se hanno un passaporto differente da quello italiano.
Dico questo perché sono un parlamentare, perché credo che la politica possa migliorare il nostro modo di vivere, che possa anche fornire chiavi per migliorare le relazioni, come quelle tra l’Italia e le sue comunità all’estero. Il mio primo messaggio che vi rivolgo è che non dovreste distanziarvi dalla politica e dai processi politici: la politica può essere bipartisan ma c’è un momento nel quale le scelte vanno compiute ed è allora che i partiti politici giocano ancora un ruolo vitale. Lasciatemi dire che un vero processo politico dentro un partito politico può ottenere un cambiamento permanente che prende in considerazione gli interessi generali di una comunità, non gli interessi particolari che sono spesso determinati o dominati da forze non democratiche.
Il secondo messaggio è che noi siamo quel che siamo e quelli che siamo, e dobbiamo essere tutti orgogliosi di ciò che abbiamo ottenuto in Australia e in Italia. Le generazioni precedenti hanno spianato la strada contribuendo all’economia italiana durante la crescita del dopoguerra e costruendo il loro nuovo paese, l’Australia. Oggi noi spesso siamo di fronte a una coscienza di essere Italiani che è positiva e che ha permeato tutti i nostri percorsi di vita, fino al punto che potrebbe apparire eccessiva, qualche volta anche troppo alla moda e un po’ pretenziosa, tra gli aussies, gli italofobi e qualche volta anche gli Italiani. Corriamo il rischio di perdere di vista ciò che conta: una cultura che è ricca perché è contaminata da storie e da contatti con altre culture, tradizioni, religioni e genti, contaminata da altre in senso alto. E ciò accade perché sono orgoglioso di essere Italiano.
Così, quando l’Italia non rispetta la propria storia, quando non vediamo noi stessi e il nostro passato nel presente di qualcun altro, quando dimentichiamo che una nazione migrante è oggi una destinazione per l’immigrazione e non abbiamo la forza politica per sviluppare azioni e politiche multiculturali positive – quando l’Italia mostra al mondo il suo peggio, è esattamente allora, io credo, che l’Italia ha maggiormente bisogno di noi! L’Italia ha bisogno del nostro contributo. L’Italia ha bisogno di noi, l’Italia ha bisogno di voi.
E noi possiamo fare la differenza. La differenza inizia con noi: non facciamo favori a nessuno, non crediamo che la politica è sempre corrotta, crediamo che gli Italiani all’estero e le comunità italiane nel mondo abbiano un ruolo da giocare e che questo ruolo sia un vantaggio per l’Italia.
Abbiamo cambiato la Costituzione italiana per ottenere questa unica opportunità. Abbiamo cambiato tre articoli: stabilire le circoscrizioni estere e assegnare loro 12 deputati e 6 senatori.
Non dovremmo rinunciare a questa opportunità. Sembra un’eternità: 25 anni della mia vita sono passati, molto veloci, e sembra che abbiamo avuto da sempre questa opportunità ma in realtà sono solo due anni. Troppo presto per rinunciarci e troppo presto per non lottare per essa: e in Parlamento abbiamo dovuto e dovremo sostenere con forza la rappresentanza delle comunità italiane all’estero, con i Comites, il Cgie e i parlamentari. Avete un’opportunità con questa conferenza e con la conferenza mondiale in Italia per affermare il vostro bagaglio per il futuro: un futuro con la politica. Può essere locale, nazionale, statale o internazionale, ma la politica è uno strumento di partecipazione prezioso, oggi più che mai.
La vostra identità è una complessa realtà intrecciata: cercare di descriverla dicendo Italo-Australiani o “oriundi italiani” è una profonda limitazione perché racconta del luogo di origine, o dei posti dove si è vissuto ma non riflette neanche lontanamente la propria essenza.
Non c’è conflitto tra Italiani, Italo-Australiani o oriundi. Possiamo definirci come ci piace, possiamo essere ciò che noi vogliamo, possiamo costruire relazioni con l’Italia, l’Europa e il resto del mondo.
Il compito di parlare a un’Italia che ci auguriamo favorisca migliori relazioni, con la quale abbiamo bisogno di legami più forti – quando studiamo, lavoriamo, nella nostra vita sociale, culturale e politica – questo compito è appena iniziato. Questa conferenza, il viaggio in Italia alla fine dell’anno, saranno momenti importanti: sta a ognuno fare sì che non vadano perduti e diventino parte di un’esperienza collettiva di questa e delle future generazioni. Grazie.

mercoledì 10 settembre 2008

La virgola



I giovani: no ad enfasi ideologiche e assistenzialismo

Non vi è occasione, incontro, momento pubblico o privato, in cui non si percepisca in maniera evidente e netta come la comunità italiana senta profondamente il legame con l’Italia: spesso si è trattato anche di un rapporto di odio-amore. Le difficoltà di dialogo con la burocrazia italiana, le opportunità mancate, i ritardi nelle scelte strategiche per chi studia, lavora, ricerca e costruisce innovazione. I giovani vivono ad un livello diverso le difficoltà dei loro genitori: non si tratta di un problema di pensione o di cittadinanza o di usucapione ma, nel caso dei giovani, di visti, permessi di soggiorno, riconoscimenti di cittadinanza, informazioni. In alcuni casi i figli oggi si battono ancora per i diritti dei genitori. Eppure sono ancora oggi consapevoli che l’Italia può farcela a migliorare, ad uscire da questa situazione di stagnazione “morale”, “etica”, “civica” e politica. Lo hanno detto con la Conferenza dei giovani italo-australiani tenutasi sulla Gold Coast il 5 settembre scorso. Il contributo è di intelligenza, innovazione, proposta. Sono pronti a lavorare con le istituzioni italiane per avere maggiori scambi, per rafforzare le opportunità formative e di interscambio lavorativo, per fare anche “business” con l’Italia. Chiedono serietà, semplificazione amministrativa, passaggi rapidi e soprattutto trasparenza.
Interessante registrare che le nuove generazioni non esprimono giudizi negativi sull’associazionismo tradizionale. “It’s not our thing” – non è la soluzione per noi. Sono d’accordo. Non credo si sia trattato di fallimento da parte delle Associazioni tradizionali nel coinvolgere le nuove generazioni. Si è trattato di inevitabili percorsi storici. I tentativi di aggregazione sono falliti perché si proponevano modelli vecchi e superati. Anche per i trentenni, quarantenni o cinquantenni. Perché è difficile aggregare tutti, figuriamoci i più giovani che cambiano lavoro, abitazione, corso di studi o paese con molta facilità e velocità. Ecco perché – ad esempio tra i giovani italo-australiani intervenuti alla conferenza sulla Gold Coast – vi è la convinzione che la prima cosa è costruire una rete tra i giovani, comunicare, lavorare insieme, anche a distanza, e poi avanzare proposte. Funzionerà. L’associazionismo tradizionale ha ancora un ruolo, anche se in crisi profonda. Per uscire dalla crisi deve anch’esso re-inventarsi. La mia impressione della conferenza è stata assolutamente positiva. Non solo perché circa ottanta giovani provenienti da tutta Australia si sono ritrovati sulla Gold Coast dedicando un fine settimana – a loro spese – al tema del rapporto con l’Italia, non solo perché hanno deciso di organizzare questo incontro prima ancora che venisse predisposto il decreto per l’organizzazione della Conferenza mondiale dei giovani ed hanno preso la decisione di andare avanti con o senza questo appuntamento di fine anno, non solo per la determinazione e far vivere il network dei giovani oltre la Conferenza, ma soprattutto per le idee e le proposte emerse dai lavori. Non vi è traccia di assistenzialismo ma si richiama l’Italia ai propri doveri, alla proprie responsabilità, alla necessità di avviare un rapporto concreto con le nuove generazioni. Ho anche percepito interesse per la partecipazione politica. Un segnale che la rappresentanza degli italiani all’estero nel Parlamento italiano potrà continuare anche con le nuove generazioni.
Libertà e democrazia… ancora oggi contro ogni oppressione e dittatura

A chi giova confondere le parti e cambiare la storia – si chiedeva alcuni anni fa l’amico Giuseppe Morsanutto, dirigente dell’ANPI di Melbourne, durante una manifestazione per le celebrazioni del 25 aprile. Come si può pensare di porre sullo stesso piano chi ha lottato per libertà e democrazia e chi invece ha combattuto con le forze che sostenevano dittatura ed oppressione. Il fascismo ed il nazismo hanno pesato sulla storia del nostro Paese: non si tratta di fare confronti tra fascismo e comunismo o le grandi filosofie del ventesimo secolo. Fascismo e nazismo hanno portato lutti e dolore nei villaggi, nelle città e nelle famiglie. Chi ha scelto di combatterli lo ha fatto per liberare l’Italia ed il popolo italiano. Chi ha scelto di difenderli ha preso una strada che portava ad affermare l’esatto opposto: ha combattuto per la dittatura, per il nazismo ed il fascismo, per le leggi razziali e lo sterminio degli ebrei. Se non si intendeva porre tutti sullo stesso piano a che scopo ricordare, insieme, vittime e carnefici? Come ha fatto il Ministro della difesa La Russa. A che scopo ricordare le cose positive fatte dal fascismo prima che si completasse nel “male assoluto”? Come ha fatto il sindaco di Roma Alemanno. Credo sia superfluo ricordare il ruolo di garante della Costituzione che svolge il Capo dello Stato, il Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano. Dobbiamo ringraziarlo per il lavoro che sta svolgendo in un momento in cui davvero rischiamo di perdere di vista le poche cose che ci uniscono e sulle quali non dovremmo avere più dubbi. Tanti cittadini italiani in questi giorni, in Italia ed all’estero, ce lo stanno dicendo.

venerdì 5 settembre 2008

La virgola, Un occhio attento alle cose italiane... Parlamentari e non

Ricordare, celebrare ed ancora oggi “lottare”

Giuseppe Di Vittorio ricordato in Australia. Dopo Melbourne è stata la volta di Sydney. Sabato 30 agosto, presso l’Associazione napoletana, si è tenuta una serata organizzata dalla Fondazione Di Vittorio e patrocinata da Insieme Australia.
“Ricordare, celebrare ed ancora oggi “lottare”: questo in sintesi il significato di questa manifestazione” – ha ricordato l’on. Marco Fedi portando il suo saluto ai convenuti.
Ricordare il sindacalista ed uomo politico, Giuseppe Di Vittorio, nato a Cerignola l’11 agosto 1892 e deceduto a Lecco il 3 novembre del 1957. Socialista poi iscritto al Pci, antifascista, prende parte alla guerra civile spagnola e poi milita nelle brigate Garibaldi durante la lotta partigiana e di liberazione. Segretario generale della CGIL, nel 1945 è eletto all’assemblea costituente con il partito comunista italiano.
Celebrare la sua vita e le sue idee, la sua capacità d’essere, prima da sindacalista e poi da Parlamentare, sempre, in ogni caso, vicino alla gente. Celebrare la passione politica che porta ai cambiamenti, alle grandi trasformazioni, al miglioramento delle condizioni di vita di tutti ma soprattutto all’affermazione di principi d’eguaglianza, giustizia sociale, solidarietà. E le similitudini tra Garibaldi e Di Vittorio sono tante, a cominciare dalla loro popolarità che continua ancora oggi. Opportuno allora parlarne in un’unica iniziativa. Senza retorica. Ricordando che attaccare i simboli dell’unità nazionale significa attaccare il patrimonio comune - di storia, di cultura, di politica – che è alla base della nostra Costituzione.
E Lottare, ancora oggi, per i diritti delle persone.
A partire da quella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948, che oggi ci impegna a fare in modo che: ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.
Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.
Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.

Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un'esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, ad altri mezzi di protezione sociale.

Ogni individuo ha il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

Le iniziative su Garibaldi e Di Vittorio cadono nell’anno del sessantesimo anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e della Costituzione della Repubblica italiana. Particolarmente rilevante, inoltre, il fatto che le manifestazioni si svolgano in Australia, un paese alla ricerca di un futuro repubblicano.

Non solo. Le iniziative cadono in un momento in cui il tema del lavoro è più che mai in primo piano, sia presso l’opinione pubblica sia nel mondo politico.
Una giusta attenzione al tema del lavoro, nonostante le nostre società tendano a rendere precari diritti fondamentali, non solo il diritto al lavoro, ma anche a costruire una famiglia o un futuro. Fino alle nuove precarietà nei rapporti tra cittadino e Stato e nei rapporti tra i componenti le nostre complesse società multietniche.
“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini, il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”: è il primo articolo della Costituzione italiana, ed è fortemente carico di questo impegno morale e politico. Oggi dobbiamo porre con forza l’accento anche sulla tutela del lavoro e sulla sicurezza di chi lavora.
La parola lavoro appare nel testo della Costituzione italiana almeno 20 volte: oltre agli articoli 1 e 4 che concernono il principio base del diritto al lavoro e la necessità di rendere effettiva questo diritto, la parola lavoro appare all’art.35 sulla tutela del lavoro in tutte le sue forme, alla tutela del lavoro a livello internazionale, alla libertà di emigrazione ed a tutelare il lavoro italiano all’estero. La retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro, appare all’articolo 36.
La parità di genere per quanto riguarda il lavoro, affermata all’articolo 37 e le condizioni che garantiscano l’adempimento del ruolo famigliare, il limite di età per il lavoro salariato ed allo stesso tempo la tutela del lavoro minorile in termini di regole.
La tutela degli inabili al lavoro, prevista all’articolo 38, con il diritto ad un posto di lavoro sicuro, le rappresentanza sindacali, la contrattazione ed il salario, previsti all’articolo 39, il diritto di sciopero previsto all’articolo 40 e la collaborazione aziendale tra lavoratori e proprietà, prevista al 46.
Il 51 prevede la possibilità, per chi lavora, di accedere a cariche elettive senza compromettere il posto di lavoro, l’art.99 che istituisce il CNEL, consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, l’art.117 che definisce le materie di legislazione concorrente, tra Stato e Regioni, anche in materia di lavoro, ed infine l’articolo 120 che vieta ogni limitazione al diritto al lavoro in ogni parte del territorio dello Stato.
L’uomo Di Vittorio, il sindacalista Di Vittorio, il Parlamentare Di Vittorio – ha contribuito a costruire questo grande momento politico nazionale ed internazionale, la Costituzione Repubblicana, la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dalle Nazioni Unite – in entrambe il lavoro è elemento fondamentale per la costruzione della persona umana e di una società a dimensione umana.
Con il nostro lavoro diamo anche noi un piccolo contributo alla costruzione di società migliori, aperte e democratiche, giuste, solidali. In cui sia possibile mantenere un forte senso di appartenenza, in cui sia possibile riferirsi ad una storia patrimonio condiviso, a simboli, patrimonio comune, in cui sia possibile parlare di unità, senza chiusure nazionalistiche ma con aperture culturali e sociali che le sfide della modernità ci pongono.

On. Marco Fedi
Camera dei Deputati
Segretario III Commissione Affari Esteri e Comunitari
Piazza San Claudio 166 - 00187 Roma
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