Marco Fedi, deputato PD eletto in Australia, è
stato uno dei protagonisti dell’acceso dibattito che si è consumato nei giorni
scorsi nell’Aula della Commissione Affari esteri della Camera dei Deputati e
che ha visto, al centro delle polemiche, le procedure di rinnovo dei Comitati
degli italiani all’estero (COMITES) e del Consiglio generale degli italiani
all’estero (CGIE) che avrebbero dovuto svolgersi nel marzo 2009 e che sono
state rinviate prima al 2010, poi al 2012 e attualmente al 2014.
On Fedi, in
una sua intervista ha definito la nuova proroga di COMITES e CGIE “una pessima
controriforma”. Può spiegarne il motivo?
Su Comites e Cgie sono state dette molte
inesattezze. Il paragone con i Comuni, ad esempio, è una sciocchezza, non solo
per il semplice fatto che i Comuni sono previsti dalla Costituzione, come i
parlamentari della circoscrizione estero, ma perché i Comites hanno
compiti e funzioni che non necessariamente richiedono un esercizio democratico
imponente e costoso come il voto per corrispondenza. Mi spiego. Studiare la
realtà locale, fornire un parere al Console, al Cgie, al Parlamento e al
Governo, è compito di organismi consultivi, che in alcuni Paesi sono nominati.
Denunciare problemi relativi alla qualità dei processi di integrazione e tutelare
gli interessi dei cittadini italiani all’estero, richiede risorse per lo
studio, l’approfondimento, la relazione di documenti. La democrazia elettiva in
che misura ne migliora la qualità? La democrazia elettiva implica le grandi
scelte di fondo, l’indirizzo politico, la destinazione di risorse. Il Comites
non può fare nulla di tutto ciò. Non gestisce denaro pubblico. Poiché siamo
arrivati al punto che il costo di una elezione è pari al totale di 16 anni di
funzionamento dei Comites, che hanno una dotazione di bilancio ridottissima, mi
chiedo: possiamo provare a pensare ad un nuovo metodo di elezione, meno
costoso? La nomina consolare in alcuni Paesi ha funzionato. Ma è possibile
avere altre forme di elezione, anche il voto elettronico, purché si dia comunque
la possibilità di scelta, la opzione. Inoltre riducendo il numero degli
iscritti all’elenco degli elettori, ricordiamo che questa è una delle proposte
che abbiamo fatto come PD, con le modifiche alla 459 del 2001, avremmo già una
riduzione sostanziale dei costi e quindi, tra la riduzione del numero di
iscritti, il voto elettronico per chi opta e il voto per corrispondenza per gli
iscritti che non optano per il voto elettronico, si ridurrebbero di molto i
costi. Il Governo anziché limitarsi, come era suo compito e dovere, al rinvio
per ragioni di cassa – motivazione già sufficiente per un rinvio poiché tra la
dotazione di 7 milioni ed il preventivo di 21 milioni non vi era spazio per
soluzioni contabili – ha ritenuto di inserire nel decreto anche delle “innovazioni”
sul metodo di voto elettronico. Con un limite economico di 2 milioni di euro.
Il Senato ha modificato il decreto inserendo
qualche accorgimento largamente insufficiente ed il recupero di 3.5 milioni di
euro su scuola, assistenza e Comites. La controriforma è proprio qui. Quando in
un decreto di rinvio per ragioni economiche il Governo inserisce anche punti
concernenti il metodo di elezione, in questo caso il voto elettronico, si apre
a modifiche di merito e comunque condiziona pesantemente la discussione di
merito quando andremo ad affrontare la riforma. Un errore politico.
In
Commissione, lo scorso 10 Luglio, ha manifestato forti perplessità sulla
riduzione delle risorse disponibili nei competenti capitoli di bilancio, “tali
da legittimare il sospetto di una loro diversa utilizzazione”. Può essere più
chiaro?
Il sospetto è appunto che il voto elettronico sia
stato introdotto, male e con scarsissime informazioni, al fine di utilizzare la
dotazione di bilancio di 7 milioni di euro. In altre parole, se vi fosse stato
unicamente un rinvio, la dotazione di spesa doveva essere prevista e trasferita
anche per il 2014. Con l’introduzione del voto elettronico e di un limite di
spesa di 2 milioni di euro, la Farnesina ha potuto utilizzare risorse bloccate.
In che direzione? È parso di capire che inizialmente i conti non tornassero e
poi si è arrivati a 3.5 milioni di euro. Ancora poco, insufficiente, dopo tre
anni di tagli gravissimi. Almeno è un segnale in controtendenza che deve
continuare legandolo alla spending review che la Farnesina, ad esempio,
vorrebbe limitare. Il documento approvato dal Comitato sulla spending review,
ad esempio, faceva delle proposte e raccomandazioni condivisibili delle quali
si vede poca traccia nel provvedimento sulla rimodulazione della spesa
all’esame del Senato.
Il disegno di
legge approvato al Senato il 25 maggio 2011 e trasmesso alla Camera dei Deputati reca
nuove disposizioni relative alla composizione e alle modalità di elezioni.
Quale è la sua considerazione a riguardo? Lei ha inoltre parlato di modello
inglese con la nomina del CGIE…
Ho parlato, a dire il vero, di modello anglosassone
per i Comites. Si tratta infatti di comitati che, avendo compiti consultivi,
nel paesi anglosassoni sono normalmente nominati e non eletti. Ripeto, se le
elezioni non rappresentano un costo proibitivo per l’erario ed anche in
rapporto a compiti e funzioni di questi organismi, la loro elezione diretta è
sempre positiva. Meglio più democrazia che meno democrazia. Ma quando per
eleggerli spendiamo 21 milioni di euro che non abbiamo, siamo poi in condizione
di non poterli far funzionare poiché la dotazione di bilancio negli ultimi anni
è passata da € 3.300.995
a € 1.356.356, mi pongo il problema di ripensare
alle soluzioni fin qui adottate. Con le operazioni di rinnovo spenderemmo 6
volte la dotazione iniziale del 2008 e 16 volte quella del 2012, per
amministrare zero. Il decreto di rinvio non offre una risposta soddisfacente
per la semplice ragione che parla di un regolamento da adottare entro 6 mesi
che dovrà “stabilire le modalità di votazione e scrutinio nei seggi costituiti
presso la sede dell’ufficio consolare o, ove possibile, anche in altri locali
predisposti dal comitato elettorale, tenuto conto del numero degli elettori,
della loro dislocazione e della disponibilità di personale, anche mediante
l’utilizzo di tecnologia informatica” ma che non potrà superare il tetto di
spesa di 2 milioni di euro garantendo sicurezza, personalità e segretezza del
voto. Ora dovremo capire se la norma lascia aperte possibilità del voto al
seggio, se il seggio sarà organizzato con postazioni elettroniche o se tutto
andrà online. In ogni caso, in attesa di capire cosa verrà fuori dai lavori di
concertazione Esteri, Economia e Finanze e Innovazione tecnologica, dobbiamo
tutti augurarci di non risultare cavie di un progetto fallimentare.
Crede che il
ricorso a modalità di votazioni basate esclusivamente sull’impiego di
tecnologie informatiche possa davvero soddisfare la riduzione dei costi e
garantire la partecipazione attiva di tutti gli italiani residenti all’estero
che manifestino un interesse all’esercizio del diritto di voto?
Certamente no. In Commissione Esteri avevamo
proposto un emendamento che andava nella direzione più volte indicata di una
preiscrizione all’elenco degli elettori e l’opzione che preveda il voto
elettronico – quindi chi si iscrive con questa modalità pensa ovviamente di
avere accesso ad una postazione informatica, ad internet e alla banda larga e
alla trasmissione cifrata dei dati – o in alternativa il metodo del voto per
corrispondenza.
Con questo sistema di voto avremmo una riduzione
dei costi, utilizzeremmo un metodo misto ed avremmo garanzie per tutti. In Italia
le esperienze incentrate su sistemi di elettronici di espressione
del voto sono state numerose. A causa della mancanza di una normativa in
materia, le sperimentazioni di voto elettronico non sono mai state condotte su
larga scala. Il Governo dovrà convincerci della serietà della proposta e della
sua realizzazione pratica, oltre che le garanzie costituzionali legate al voto.
Cosa pensa
dell’ipotesi di ridurre il numero dei parlamentari eletti all’estero,
soprattutto a fronte dell’elevato numero di cittadini residenti all’estero?
Il primo errore politico è di avere accettato di
votare un emendamento che, introducendo il Senato Federale, creava le
condizioni per fermare le modifiche costituzionali concordate tra le forze
politiche che sostengono il Governo Monti. Il secondo errore politico è di aver
accettato, quasi automaticamente, l’idea che il Senato Federale della
Repubblica non sia luogo idoneo ad avere una rappresentanza dalla
circoscrizione estero. Una camera federale, in tutto il mondo, è composta in
maniera paritaria da tutti i soggetti territoriali. Grave errore politico e
strategico non aver pensato che, sia nella qualità e quantità, anche la
Circoscrizione estero poteva avervi un ruolo.
Mi rendo conto delle difficoltà politiche interne
al gruppo del PDL ma solo dirle queste cose in aula poteva riscattare alcuni
aspetti di quel voto.
Terzo errore non aver richiesto che, su un tema
così delicato e complesso, vi fosse un approfondimento proprio legato alla
esistenza, mantenimento o ripensamento o abrogazione della circoscrizione
estero. In altre parole, se qualcuno pensa di abrogare, ridimensionare,
ripensare, lo faccia a viso aperto e discutiamone serenamente. Sparire, o
essere ridimensionati, senza discuterne, è la peggiore delle conclusioni della
nostra esperienza parlamentare.
Sulla riduzione alla Camera, dopo una discussione
che è stata lunga e complessa, e che ha riguardato anche il tema del costo
complessivo della politica, abbiamo raggiunto un accordo non facile e sul quale,
eventualmente, eravamo anche pronti ad una presa di posizione bipartisan.
Meno male che i Senatori che hanno votato a favore
del Senato Federale, e quindi per la conseguente abolizione dei 6 senatori
eletti all’estero, non hanno dichiarato di averlo fatto per far decadere
l’impalcatura complessiva delle riforme e quindi confermare 12 e 6! Sarebbe
stato divertente.
Come giudica
l’atteggiamento che il Governo sta mostrando verso il tema degli italiani
all’estero e delle rispettive rappresentanze?
Ritengo che a fronte di un ampio sostegno
parlamentare, con l’atteggiamento assolutamente costruttivo assunto dalla
rappresentanza eletta all’estero in relazione alle riforme, alcune durissime
per l’impatto che hanno avuto anche per i residenti all’estero, basti citare
pensioni ed IMU, dopo tre anni di tagli continui ai capitoli degli italiani
all’estero attuati dal Governo Berlusconi, il Governo Monti avrebbe potuto
ascoltare di più e fare meglio. Sulla spending
review ci attendiamo risultati concreti. Vorremmo vedere una ripresa della
discussione sulle Convenzioni bilaterali, sul sistema di pagamento delle
pensioni all’estero e sulla verifica dell’esistenza in vita, questioni sulle
quali non vi è problema di costi ma di gestione e coordinamento. Anche il
Parlamento però deve lavorare con maggiore impegno sui temi degli italiani nel
mondo. Non basta sollecitare il Governo a maggiore impegno ed attenzione quando
il Senato della Repubblica vota con zero dibattito e zero confronto un
emendamento che realizza un Senato Federale dal quale risulta escluso un pezzo
significativo della nostra storia d’Italia: l’emigrazione.
Lucia Abballe, L'Italiano