Caro
Ferretti,
il riferimento ai tacchini di partito, nella discussione che ha fatto
seguito alla approvazione del decreto di rinvio di Comites e Cgie, mi era
sfuggito. Segnalatomi il pezzo, un amico, evidentemente lettore de L’Italiano,
mi ha chiesto ragione dei fatti. Provvedo ad inviarvi la mia, personalissima,
lettura dei fatti.
Premesso che sul tema ho espresso ampiamente le mie opinioni, proprio in
una lunga intervista pubblicata da L’Italiano, e quindi non torno sulle ragioni
del sì convinto ad un doveroso rinvio legato a ragioni di ordine economico,
contingenti, e valutate in sede di Commissione Esteri ed in aula.
Torno, invece, sulla questione del nostro atteggiamento nei lavori
parlamentari, di commissione e d’aula. Credo che il dovere di un parlamentare
sia impegnarsi in ciò in cui crede, farlo da parlamentare, quindi cercando di
modificare i provvedimenti ed intervenendo in Commissione ed in aula per dire
ciò che pensa ed assumersi responsabilità politiche conseguenti.
Alcuni di noi l’hanno fatto con coerenza, presentando emendamenti,
motivando le nostre obiezioni alla scelta del Governo di inserire nel decreto di
rinvio anche aspetti di riforma, o almeno aspetti che condizioneranno
la riforma.
Altri gruppi hanno scelto di non presentare emendamenti, di non
motivare le loro ragioni intervenendo in aula ma di chiedere semplicemente il
voto, o peggio come ha fatto l’On. Picchi , la commistione tra elezione Comites e
voto politico.
Ve lo immaginate se avessimo approvato un emendamento che obbligava il
Governo a mettere insieme in un “election day” all’estero rinnovo Comites e voto
politico? Immaginate il lavoro per raccordare due elezioni svolte con regole
diverse che di analogo hanno solo l’uso della corrispondenza? Immaginate il caos
politico che una tale approvazione avrebbe comportato in un momento
delicatissimo in cui dovremmo invece riordinare i meccanismi del voto politico
per renderli più sicuri? Naturalmente è facile fare una proposta demagogica e
cavalcarla, senza conseguenze. Analogo discorso per la richiesta del voto.
Coloro i quali erano davvero convinti che l’unica direzione possibile fosse
procedere con il voto, avrebbero dovuto, in Parlamento, proporre emendamenti per
recuperare, attraverso tagli ad altri settori, i tredici o quattordici milioni
di euro mancanti.
Perché non è stato fatto? Alcuni di noi hanno cercato una soluzione. La
cercano ancora oggi con la spending
review. Non è facile e non sarà facile ottenere una radicale inversione di
tendenze.
Capisco che in politica, come in altre sfere della vita civile, oggi si
senta il bisogno di avere degli eroi. E gli eroi, nella politica, sarebbero una
vera autentica novità. Ma mi creda, direttore, prima degli eroi avremmo bisogno,
molto più semplicemente e modestamente, di persone che facciano bene il proprio
lavoro.
Quando questa prima parte è assolta, si è fatto il proprio dovere, il
passo successivo è verificare quale coerente atteggiamento assumere. Io trarrò
le conseguenze – a tempo debito – rispetto al ruolo dei parlamentari eletti
all’estero e alle scelte del nostro Paese, ma mi lasci dire che fino a quel
momento l’attività parlamentare per la quale sono stato eletto, che è cosa
diversa dal perpetuare la stridente demagogia di questi giorni, è l’unica
consolazione alternativa all’eroismo e forse l’unico atto di vero impegno che
rimane a futura memoria. Oltre alle nostre idee.
La saluto con deferente stima.
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