Nella mattinata di venerdì 29 giugno l'On. Fedi incontrerà la Società italiana di Assistenza per poi pranzare, presso il Circolo Italiano Tunisi, insieme ai rappresentanti delle associazioni italiane in Tunisia e ad alcune personalità istituzionali, culturali e imprenditoriali operanti nel Paese nordafricano. Nel pomeriggio l’On. Fedi incontrerà i docenti di lingua italiana e presenzierà alla premiazione degli studenti di italiano presso l’associazione Dante Alighieri. Al termine della manifestazione, sarà ospite dell’Ambasciatore d’Italia, S. E. Arturo Olivieri. Sabato 30 giugno l’On. Fedi visiterà la comunità meno abbiente di Radès, sempre nella capitale, e nel pomeriggio proseguirà nei suoi incontri con i connazionali italiani presenti in Tunisia. Infine, lunedì 2 luglio l’On. Fedi concluderà il suo soggiorno con un incontro presso la Camera di Commercio di Tunisi.
giovedì 28 giugno 2007
Considerazioni su anagrafe elettorale degli italiani all'estero, Partito Democratico e DPEF
In partenza per un breve soggiorno in Tunisia, dove incontrerà i connazionali italiani residenti nel Paese nordafricano, l’On. Marco Fedi, eletto nella circoscrizione estero, esprime alcune considerazioni in merito alla polemica, scoppiata in questi ultimi giorni, sulla discrepanza tra i dati AIRE e quelli dell’anagrafe consolare ai fini della composizione degli elenchi elettorali degli italiani all’estero. “È una questione nota a chi si è occupato di italiani all’estero negli ultimi anni”, dichiara il deputato eletto nelle file dell’Unione. “È anche noto che questo incrocio di dati porta eventualmente a cancellazioni indebite. D’altro canto è rischioso lasciare negli elenchi nominativi di persone decedute, oppure recapiti postali sbagliati per il voto per corrispondenza. Noi eletti all’estero – continua - siamo consapevoli delle difficoltà oggettive di tale situazione: la legge elettorale è materia del Viminale, i Comuni hanno competenza per l’aggiornamento dell’AIRE, e il Ministero degli Esteri è la parte di Pubblica Amministrazione che ha contatto diretto con elettori. Pertanto – prosegue Fedi – o si pensa a un intenso lavoro di riforma per riformare profondamente tutta la materia, creando un’apposita agenzia elettorale o affidando la gestione di questa partita elettorale interamente al MAE, oppure si deve rimettere in campo una soluzione già proposta in sede di discussione sulla legge che regola il voto all’estero, la 459/2001: quella di realizzare un apposito elenco elettorale per chi intenda avvalersi dell’opportunità di votare per corrispondenza per i candidati residenti fuori dall’Italia, mantenendo al contempo inalterata la possibilità di optare per il rientro in Italia per esercitare il proprio diritto di voto. Ma bisogna essere consapevoli – avverte il parlamentare – che anche questa seconda ipotesi riguardante l’elenco degli elettori avrà dei costi, dato che occorrerà ripetere l’operazione di informazione e comunicazione presso le nostre comunità che già sostenemmo allorquando entrò in vigore la legge ordinaria”. L’On. Fedi fa quindi una previsione: “Ho paura che in mancanza di una riforma vera, che non sia soltanto ritocchi tecnici sui tempi o sulle operazioni di scrutinio, ma che riguardi anche la collocazione dell’elenco degli elettori e la sua gestione, oppure di una riforma della legge elettorale che introduca l’elenco degli elettori nel quale ci si iscrive volontariamente, in assenza di una di queste due ipotesi, siamo destinati a continuare a lavorare nell’attuale condizione. Una situazione questa, con sistemi informatici non ancora completamente compatibili, e le risorse e il personale della rete consolare insufficienti, nella quale si deve continuare a fare del nostro meglio in condizioni difficili per tutti. Ciò non significa, come trapela da qualche dichiarazione, togliere legittimità alla rappresentanza politica parlamentare emersa dal voto del 9-10 aprile 2006 o dalle future consultazioni politiche”, sottolinea il deputato dell’Ulivo.
Quindi l’On. Fedi passa ad affrontare un’altra questione di attualità politica, la nascita del Partito Democratico, nell’ottica degli italiani all’estero. “Sulla costruzione del PD all’estero credo che i percorsi debbano essere analoghi a quelli che avvengono in Italia. In particolare, il prossimo 14 ottobre anche gli italiani all’estero dovranno poter esercitare il loro voto diretto per il segretario e per le liste di candidati, aperte e presentabili da chiunque, e iscriversi al PD. Inoltre, nel manifesto politico del PD ci dovrà essere un riferimento chiaro al grande patrimonio rappresentato dalle comunità italiane nel mondo, a partire dal quale il nuovo partito dovrà elaborare delle solide proposte di contenuto”.
In conclusione, il deputato diessino avanza alcune considerazioni in merito all’iniziativa degli eletti all’estero riguardo alle politiche economiche del Governo. “Noi parlamentari eletti all’estero tra le file dell’Unione – spiega Fedi – abbiamo presentato all’esecutivo una proposta da inserire nel DPEF. In questo testo si parte delle esigenze della rete consolare, sia per quanto concerne personale e risorse, che in vista di un esame approfondito di ipotesi di riforma. Nella nostra proposta si affronta poi il tema della riforma della legge sulla cittadinanza, in merito al quale chiediamo la ripresa dell’iter parlamentare. A tal proposito, il Governo deve fare chiarezza sui costi da addebitare al provvedimento attualmente fermo in Commissione Affari Costituzionali della Camera”. Il parlamentare di maggioranza insiste: “Ritengo che sia necessaria la massima trasparenza su questo punto. Da un lato, per far avanzare quel provvedimento che ricordo, tra i tanti positivi passi avanti, riapre anche i termini per il riacquisto della cittadinanza italiana, e dall’altro, per prevedere risorse in Finanziaria al fine di sanare le situazioni pregresse, soprattutto in America Latina”. Inoltre, prosegue l’On. Fedi, “sulle questioni previdenziali abbiamo auspicato la ripresa del cammino di tante convenzioni bilaterali sia di sicurezza sociale che contro le doppie imposizioni fiscali, la riorganizzazione dell’Ufficio Rapporti e Convenzioni internazionali dell’INPS, un rapporto più forte con i patronati, la ulteriore accelerazione del processo di informatizzazione, la proposta di sanatoria degli indebiti pensionistici Inps e l’assegno di solidarietà”. Non manca un accenno ai diritti dei lavoratori, in merito al quale “crediamo – dice il deputato eletto all’estero – che debba essere superata l’attuale situazione che esclude circa 1200 lavoratori del Ministero degli Esteri dalla partecipazione alla elezione delle rappresentanze sindacali, e a ciò uniamo l’impegno per una riforma delle attuali condizioni di lavoro”. Riguardo al tema della scuola, e in particolare sulla questione dell’insegnamento di lingua e cultura italiane all’estero, nel testo proposto per il DPEF è ribadita “la necessità di una riforma che tenga conto delle diverse realtà esistenti. È utile – chiarisce Fedi - partire dai Piano-Paese per arrivare a una proposta complessiva che risponda al bisogno di modernità di questo settore”. “Credo – conclude il parlamentare – che su tutti questi temi sarebbe importante un confronto con i sindacati, con le forze sociali in generale e con le amministrazioni dello Stato, per poi passare a una ulteriore riflessione tra i parlamentari eletti all’estero in vista delle proposte da presentare per la Finanziaria”.
Quindi l’On. Fedi passa ad affrontare un’altra questione di attualità politica, la nascita del Partito Democratico, nell’ottica degli italiani all’estero. “Sulla costruzione del PD all’estero credo che i percorsi debbano essere analoghi a quelli che avvengono in Italia. In particolare, il prossimo 14 ottobre anche gli italiani all’estero dovranno poter esercitare il loro voto diretto per il segretario e per le liste di candidati, aperte e presentabili da chiunque, e iscriversi al PD. Inoltre, nel manifesto politico del PD ci dovrà essere un riferimento chiaro al grande patrimonio rappresentato dalle comunità italiane nel mondo, a partire dal quale il nuovo partito dovrà elaborare delle solide proposte di contenuto”.
In conclusione, il deputato diessino avanza alcune considerazioni in merito all’iniziativa degli eletti all’estero riguardo alle politiche economiche del Governo. “Noi parlamentari eletti all’estero tra le file dell’Unione – spiega Fedi – abbiamo presentato all’esecutivo una proposta da inserire nel DPEF. In questo testo si parte delle esigenze della rete consolare, sia per quanto concerne personale e risorse, che in vista di un esame approfondito di ipotesi di riforma. Nella nostra proposta si affronta poi il tema della riforma della legge sulla cittadinanza, in merito al quale chiediamo la ripresa dell’iter parlamentare. A tal proposito, il Governo deve fare chiarezza sui costi da addebitare al provvedimento attualmente fermo in Commissione Affari Costituzionali della Camera”. Il parlamentare di maggioranza insiste: “Ritengo che sia necessaria la massima trasparenza su questo punto. Da un lato, per far avanzare quel provvedimento che ricordo, tra i tanti positivi passi avanti, riapre anche i termini per il riacquisto della cittadinanza italiana, e dall’altro, per prevedere risorse in Finanziaria al fine di sanare le situazioni pregresse, soprattutto in America Latina”. Inoltre, prosegue l’On. Fedi, “sulle questioni previdenziali abbiamo auspicato la ripresa del cammino di tante convenzioni bilaterali sia di sicurezza sociale che contro le doppie imposizioni fiscali, la riorganizzazione dell’Ufficio Rapporti e Convenzioni internazionali dell’INPS, un rapporto più forte con i patronati, la ulteriore accelerazione del processo di informatizzazione, la proposta di sanatoria degli indebiti pensionistici Inps e l’assegno di solidarietà”. Non manca un accenno ai diritti dei lavoratori, in merito al quale “crediamo – dice il deputato eletto all’estero – che debba essere superata l’attuale situazione che esclude circa 1200 lavoratori del Ministero degli Esteri dalla partecipazione alla elezione delle rappresentanze sindacali, e a ciò uniamo l’impegno per una riforma delle attuali condizioni di lavoro”. Riguardo al tema della scuola, e in particolare sulla questione dell’insegnamento di lingua e cultura italiane all’estero, nel testo proposto per il DPEF è ribadita “la necessità di una riforma che tenga conto delle diverse realtà esistenti. È utile – chiarisce Fedi - partire dai Piano-Paese per arrivare a una proposta complessiva che risponda al bisogno di modernità di questo settore”. “Credo – conclude il parlamentare – che su tutti questi temi sarebbe importante un confronto con i sindacati, con le forze sociali in generale e con le amministrazioni dello Stato, per poi passare a una ulteriore riflessione tra i parlamentari eletti all’estero in vista delle proposte da presentare per la Finanziaria”.
28 giugno 2007
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martedì 26 giugno 2007
Sulla situazione attuale della Turchia e sulla sua richiesta di ingresso nell'Unione Europea
Nella riunione del 20 giugno 2007 della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, nell’ambito di un’indagine conoscitiva sulla politica estera dell’Unione Europea, è stato ascoltato l’Ambasciatore d’Italia in Turchia Carlo Marsili. Di seguito l’intervento dell’On. Fedi e la replica ai quesiti da lui posti dell’Ambasciatore Marsili.
Marco Fedi:
Signor presidente, ringrazio l’Ambasciatore Marsili per la completezza della sua relazione, e vorrei ringraziare tutti gli ambasciatori attualmente impegnati in una sorta di negoziato permanente in diverse parti del mondo, quindi anche la Farnesina, per l’impegno e l’azione internazionale del nostro Paese improntata ad un senso di responsabilità che non ha eguali, in un’azione coerente e multilaterale di impegno internazionale verso la democrazia, la stabilità e la cooperazione.
È stato ricordato come l’ingresso della Turchia nell’Unione europea sia stato appoggiato con convinzione dal nostro Governo e da quelli precedenti e come questa continuità nella politica estera in rapporto all’ingresso della Turchia nell’Unione europea si riveli importante. Contemporaneamente, occorre perseguire una logica forte, in cui Italia e l’Europa si pongano la questione della crescita democratica di ogni Paese, particolarmente dei Paesi che si accingono ad entrare nell’Unione europea, ma anche di quelli che già ne fanno parte.
Occorre dunque sostenere la tesi che si cresce insieme, laddove le grandi questioni del nostro tempo, quali la piena libertà di espressione e l’abolizione della pena di morte, riguardano tutti i Paesi, perché riguardano l’umanità. La questione curda, le relazioni con Cipro e con l’Armenia sono elementi di criticità rispetto ai quali il nostro Paese e l’Unione europea debbono porsi come sostegno e supporto verso una soluzione di stabilità, di dialogo e di crescita per tutta l’area geopolitica. Vorrei chiederle, dunque, quale sia il dibattito politico in corso, in vista delle elezioni anticipate, fissate per il 22 luglio, e quali le iniziative in grado di legare ancor più profondamente, non solo a livello di interscambio economico e commerciale, ma anche culturalmente, l’Italia e la Turchia, individuando percorsi per superare gli elementi di incertezza che sembrano prevalere nell’opinione pubblica dei Paesi europei che ancora considerano una minaccia l’ingresso della Turchia nella casa comune europea.
La ripresa del cammino verso la Costituzione europea ha bisogno anche di superare queste preoccupazioni e queste paure, e ritengo che tale profilo culturale, politico e sociale della nuova Europa meriti questa attenzione da parte del nostro Paese.
Signor presidente, ringrazio l’Ambasciatore Marsili per la completezza della sua relazione, e vorrei ringraziare tutti gli ambasciatori attualmente impegnati in una sorta di negoziato permanente in diverse parti del mondo, quindi anche la Farnesina, per l’impegno e l’azione internazionale del nostro Paese improntata ad un senso di responsabilità che non ha eguali, in un’azione coerente e multilaterale di impegno internazionale verso la democrazia, la stabilità e la cooperazione.
È stato ricordato come l’ingresso della Turchia nell’Unione europea sia stato appoggiato con convinzione dal nostro Governo e da quelli precedenti e come questa continuità nella politica estera in rapporto all’ingresso della Turchia nell’Unione europea si riveli importante. Contemporaneamente, occorre perseguire una logica forte, in cui Italia e l’Europa si pongano la questione della crescita democratica di ogni Paese, particolarmente dei Paesi che si accingono ad entrare nell’Unione europea, ma anche di quelli che già ne fanno parte.
Occorre dunque sostenere la tesi che si cresce insieme, laddove le grandi questioni del nostro tempo, quali la piena libertà di espressione e l’abolizione della pena di morte, riguardano tutti i Paesi, perché riguardano l’umanità. La questione curda, le relazioni con Cipro e con l’Armenia sono elementi di criticità rispetto ai quali il nostro Paese e l’Unione europea debbono porsi come sostegno e supporto verso una soluzione di stabilità, di dialogo e di crescita per tutta l’area geopolitica. Vorrei chiederle, dunque, quale sia il dibattito politico in corso, in vista delle elezioni anticipate, fissate per il 22 luglio, e quali le iniziative in grado di legare ancor più profondamente, non solo a livello di interscambio economico e commerciale, ma anche culturalmente, l’Italia e la Turchia, individuando percorsi per superare gli elementi di incertezza che sembrano prevalere nell’opinione pubblica dei Paesi europei che ancora considerano una minaccia l’ingresso della Turchia nella casa comune europea.
La ripresa del cammino verso la Costituzione europea ha bisogno anche di superare queste preoccupazioni e queste paure, e ritengo che tale profilo culturale, politico e sociale della nuova Europa meriti questa attenzione da parte del nostro Paese.
Carlo Marsili:
Per quanto riguarda il quesito posto dall’onorevole Fedi sulle relazioni con l’Armenia e la questione curda, mi preme sottolineare che in questo momento non esistono rapporti diplomatici tra Turchia e Armenia. Gli unici contatti sono costituiti dai voli che collegano Istanbul e Yerevan due o tre volte a settimana, garantiti da una compagnia privata turca.
Il problema con l’Armenia è legato alla questione del riconoscimento del cosiddetto «genocidio armeno» da parte della Turchia. La Turchia non accetta di riconoscerlo, in quanto sostiene che i massacri avvenuti nel 1915 non possono assumere la connotazione di genocidio, perché secondo i turchi non fu dato ordine dall’autorità centrale, quindi dal sultano, di sterminare gli armeni in quanto tali. In più, era in atto la guerra, gli armeni si erano alleati con i russi e in questi massacri ci sono state parecchie perdite tra coloro che combattevano contro gli armeni, prevalentemente curdi. Ritengono, quindi, che non si possa parlare di genocidio e hanno proposto l’istituzione di una commissione di storici sotto l’egida delle Nazioni Unite, per approfondire il problema consentendo l’apertura degli archivi, anche militari, sia dell’Impero ottomano sia successivi. L’Armenia non accetta questo, in quanto sostiene che il genocidio è un dato di fatto che non necessita di verifiche da parte di storici o di accademici.
Nessuno dei due Paesi si è mosso per un tentativo di compromesso, per cui le relazioni tra gli stessi sono bloccate.
L’Armenia, inoltre, non ha ufficialmente riconosciuto il trattato in base al quale il confine tra l’ex Repubblica sovietica, l’Armenia e la Turchia è un confine di Stato, in quanto avanza rivendicazioni sul monte Ararat, che invece è incluso nella provincia di Kars, in Turchia. Anche questo rappresenta un punto delicato, che non ha trovato in questo momento un’adeguata risposta.
Ritengo che le relazioni tra i due Paesi siano destinate a progredire, perché l’Armenia è in una situazione molto difficile, in quanto non ha nessuno sbocco sull’esterno, se non attraverso la Turchia. Dovrà quindi essere individuata una soluzione di compromesso.
Per quanto riguarda la questione del PKK, c’è stata un’allarmante ripresa di attentati terroristici in Turchia in questi ultimi mesi, per cui quasi ogni giorno i convogli militari turchi nelle province orientali sono vittime di mine con numerose perdite, tanto che i militari turchi hanno manifestato l’intenzione di colpire i santuari che si trovano nella provincia del Kurdistan iracheno, da cui provengono gli attacchi, anche se ci sono forze rivoltose anche all’interno della Turchia.
Il Governo finora si è dichiarato contrario, e quindi non si è verificato questo sconfinamento, che peraltro non si può escludere perché, se la situazione dovesse rimanere invariata, è possibile che la Turchia decida di entrare in territorio iracheno, colpire questi santuari e ritirarsi. Questa è una possibilità più volte manifestata. Truppe turche si trovano già nell’Iraq del nord, ma si tratta di circa sette-ottocento uomini con il ruolo di osservatori e di controllori, che non svolgono azioni militari.
Per quanto riguarda gli osservatori del Consiglio europeo per le elezioni del 22 luglio, ritengo che il Governo turco non ne sia entusiasta e si limiti a prenderne atto. Non so quanti saranno, quali saranno esattamente le loro funzioni, dove verranno dislocati, perché non abbiamo un’informativa precisa in proposito. Ritengo comunque che la presenza di osservatori non abbia un’influenza decisiva.
Per quanto riguarda il quesito posto dall’onorevole Fedi sulle relazioni con l’Armenia e la questione curda, mi preme sottolineare che in questo momento non esistono rapporti diplomatici tra Turchia e Armenia. Gli unici contatti sono costituiti dai voli che collegano Istanbul e Yerevan due o tre volte a settimana, garantiti da una compagnia privata turca.
Il problema con l’Armenia è legato alla questione del riconoscimento del cosiddetto «genocidio armeno» da parte della Turchia. La Turchia non accetta di riconoscerlo, in quanto sostiene che i massacri avvenuti nel 1915 non possono assumere la connotazione di genocidio, perché secondo i turchi non fu dato ordine dall’autorità centrale, quindi dal sultano, di sterminare gli armeni in quanto tali. In più, era in atto la guerra, gli armeni si erano alleati con i russi e in questi massacri ci sono state parecchie perdite tra coloro che combattevano contro gli armeni, prevalentemente curdi. Ritengono, quindi, che non si possa parlare di genocidio e hanno proposto l’istituzione di una commissione di storici sotto l’egida delle Nazioni Unite, per approfondire il problema consentendo l’apertura degli archivi, anche militari, sia dell’Impero ottomano sia successivi. L’Armenia non accetta questo, in quanto sostiene che il genocidio è un dato di fatto che non necessita di verifiche da parte di storici o di accademici.
Nessuno dei due Paesi si è mosso per un tentativo di compromesso, per cui le relazioni tra gli stessi sono bloccate.
L’Armenia, inoltre, non ha ufficialmente riconosciuto il trattato in base al quale il confine tra l’ex Repubblica sovietica, l’Armenia e la Turchia è un confine di Stato, in quanto avanza rivendicazioni sul monte Ararat, che invece è incluso nella provincia di Kars, in Turchia. Anche questo rappresenta un punto delicato, che non ha trovato in questo momento un’adeguata risposta.
Ritengo che le relazioni tra i due Paesi siano destinate a progredire, perché l’Armenia è in una situazione molto difficile, in quanto non ha nessuno sbocco sull’esterno, se non attraverso la Turchia. Dovrà quindi essere individuata una soluzione di compromesso.
Per quanto riguarda la questione del PKK, c’è stata un’allarmante ripresa di attentati terroristici in Turchia in questi ultimi mesi, per cui quasi ogni giorno i convogli militari turchi nelle province orientali sono vittime di mine con numerose perdite, tanto che i militari turchi hanno manifestato l’intenzione di colpire i santuari che si trovano nella provincia del Kurdistan iracheno, da cui provengono gli attacchi, anche se ci sono forze rivoltose anche all’interno della Turchia.
Il Governo finora si è dichiarato contrario, e quindi non si è verificato questo sconfinamento, che peraltro non si può escludere perché, se la situazione dovesse rimanere invariata, è possibile che la Turchia decida di entrare in territorio iracheno, colpire questi santuari e ritirarsi. Questa è una possibilità più volte manifestata. Truppe turche si trovano già nell’Iraq del nord, ma si tratta di circa sette-ottocento uomini con il ruolo di osservatori e di controllori, che non svolgono azioni militari.
Per quanto riguarda gli osservatori del Consiglio europeo per le elezioni del 22 luglio, ritengo che il Governo turco non ne sia entusiasta e si limiti a prenderne atto. Non so quanti saranno, quali saranno esattamente le loro funzioni, dove verranno dislocati, perché non abbiamo un’informativa precisa in proposito. Ritengo comunque che la presenza di osservatori non abbia un’influenza decisiva.
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Sulla moratoria della pena di morte
Nella riunione del 14 giugno 2007 della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, Marco Fedi è intervenuto nella discussione sulla proposta italiana di moratoria universale della pena di morte.
Al centro del dibattito la risoluzione, che ha per primo firmatario il deputato Sergio D’Elia (Rnp), la quale ribadisce il mandato al Governo italiano “a procedere con la massima urgenza e senza altri rinvii alla presentazione della Risoluzione pro moratoria all'Assemblea generale attualmente in corso, non essendo accettabile che, dopo un decennio di ostracismi, si impedisca ancora una volta (sotto forma di «rinvio») alle Nazioni Unite, dove è indiscutibilmente maggioritaria la posizione pro moratoria, di votarla e così manifestarla”. Alcuni deputati, tra cui lo stesso D’Elia e Mantovani (Prc), hanno insistito per procedere subito nel presentare la risoluzione, anche senza aver ottenuto il formale via libera di tutti i Paesi Ue.
Nel suo intervento, dopo aver segnalato il suo apprezzamento per il percorso finora seguito dal Governo italiano, l’on. Fedi ha sottolineato invece come il consenso dei ventisette Stati membri dell'Unione europea rappresenterebbe un ulteriore successo, in gradi di consolidare la proposta italiana in sede di Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il deputato dell’Ulivo si è dichiarato comunque favorevole alla risoluzione in esame in Commissione, e ha auspicato la sua unanime approvazione, che costituirebbe un significativo segnale. A tal fine l’on. Fedi ha invitato il primo firmatario a valutare l'ipotesi prospettata di uno slittamento del voto. Successivamente, ha fatto notare al deputato Rivolta (Forza Italia) come il sostegno europeo sia comunque decisivo per accrescere le possibilità di approvazione della proposta italiana in seno all'Assemblea generale dell'ONU. A tale proposito l’on. Fedi ha ricordato come altri atti di indirizzo già, peraltro, impegnino il Governo ad andare avanti in ogni caso. Da cofirmatario della risoluzione, egli ha concluso facendo tuttavia presente come sarebbe opportuno un supplemento di riflessione, ove da parte europea venisse la proposta di un rinvio al mese di settembre.
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Risolto il problema della documentazione per il riconoscimento della cittadinanza jure sanguinis
La segreteria dei deputati Marco Fedi e Gino Bucchino comunica che, con Circolare n. 32 del 13 giugno 2007, il Ministero dell’Interno, dando seguito ad un ordine del giorno accolto dal Governo nella seduta del 16 maggio, ha stabilito che la ricevuta della dichiarazione di presenza, che ha sostituito il permesso di soggiorno, costituisce titolo utile ai fini dell’iscrizione anagrafica di coloro i quali intendono avviare in Italia la procedura per il riconoscimento della cittadinanza “jure sanguinis” in relazione a quanto disposto con la circolare del Ministero dell’Interno n. 29/2002.
La soppressione del permesso di soggiorno per visite, affari, turismo e studio non pregiudicherà quindi la possibilità dei discendenti di cittadini italiani di avviare in Italia, come previsto dalla precedente normativa, la procedura per il riconoscimento della cittadinanza “jure sanguinis”, così come disposto dalla circolare n. 29/2002 del Ministero dell’Interno.
Come si ricorderà la Legge n. 68 del 28 maggio 2007, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del 1° giugno 2007, recante “Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio”, all’art. 1 prevede che per soggiorni inferiori a tre mesi non è più richiesto agli stranieri il permesso di soggiorno ma è invece necessaria una dichiarazione di presenza.
Gli stranieri che non provengono da Paesi dall’area di Shengen formulano tale dichiarazione di presenza all’Autorità di frontiera al momento dell’ingresso; mentre gli stranieri che provengono dall’area di Shengen dichiarano la propria presenza al Questore, entro otto giorni dall’ingresso.
Quindi dal 2 giugno 2007 non è più richiesto agli stranieri che entrano in Italia il permesso di soggiorno se si intende rimanere al massimo tre mesi per visite, affari, turismo e studio. Ciò ovviamente non significa che si possono varcare liberamente le frontiere dell’Italia: rimane comunque indispensabile un visto di ingresso (a meno che l’Italia non abbia stipulato accordi bilaterali con il Paese di origine dello straniero).
Tale importante e positiva novità che rende più semplice gli spostamenti delle persone nell’ambito dell’Unione Europea ed in Italia, aveva però creato dei dubbi interpretativi sui diritti di coloro i quali fino ad ora, grazie alla circolare del Ministero dell’Interno K.28.1 del 8.04.1991 (che prendendo atto dei ritardi delle rappresentanze diplomatiche italiane all’estero nel definire la pratiche di riconoscimento della cittadinanza “jure sanguinis” e della necessità di garantire la parità di trattamento dei soggetti interessati e di evitare agli stessi ulteriori disagi, velocizzando la procedura), potevano usufruire di un iter “agile” tramite l’ingresso in Italia con visto turistico, seguito dal rilascio del permesso di soggiorno e dall’iscrizione all’anagrafe e quindi dall’istanza per la cittadinanza e permesso per attesa cittadinanza.
Fino ad oggi, quindi, i soggetti che volevano vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana, trasferendosi in Italia, dovevano:
- richiedere il permesso di soggiorno;
- richiedere l’iscrizione in anagrafe esibendo il permesso di soggiorno;
- soltanto dopo aver ottenuto l’iscrizione in anagrafe potevano presentare istanza al Sindaco del Comune di residenza per ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana.Di norma le Questure rilasciavano, in questi casi, un permesso di soggiorno di 90 giorni per motivi di turismo.
Con l’abolizione del permesso di soggiorno per turismo, necessario per ottenere il riconoscimento della cittadinanza, tale procedura sembrava non più percorribile perché senza permesso gli uffici comunali non possono procedere all’iscrizione anagrafica e dunque, in base alla normativa vigente, alla trattazione della richiesta di riconoscimento della cittadinanza “jure sanguinis”.
Su sollecitazione degli interventi del CGIE ed del lavoro dei Parlamentari eletti all’estero – che avevano presentato un apposito ordine del giorno, n. 9/2427/1 nella seduta n. 158 di mercoledì 16 maggio – il Ministero dell’Interno ha emanato la Circolare n. 32 del 13 giugno 2007, che stabilisce che la ricevuta della dichiarazione di presenza, che ha sostituito il permesso di soggiorno, costituisce titolo utile ai fini dell’iscrizione anagrafica di coloro i quali intendono avviare in Italia la procedura per il riconoscimento della cittadinanza “jure sanguinis” in relazione a quanto disposto con la circolare del Ministero dell’Interno n. 29/2002.
Tale dichiarazione deve essere considerata come l’adempimento che consente agli stranieri di soggiornare regolarmente in Italia per un periodo di tre mesi o per il minor periodo eventualmente stabilito nel visto d’ingresso.
La soppressione del permesso di soggiorno per visite, affari, turismo e studio non pregiudicherà quindi la possibilità dei discendenti di cittadini italiani di avviare in Italia, come previsto dalla precedente normativa, la procedura per il riconoscimento della cittadinanza “jure sanguinis”, così come disposto dalla circolare n. 29/2002 del Ministero dell’Interno.
Come si ricorderà la Legge n. 68 del 28 maggio 2007, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del 1° giugno 2007, recante “Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio”, all’art. 1 prevede che per soggiorni inferiori a tre mesi non è più richiesto agli stranieri il permesso di soggiorno ma è invece necessaria una dichiarazione di presenza.
Gli stranieri che non provengono da Paesi dall’area di Shengen formulano tale dichiarazione di presenza all’Autorità di frontiera al momento dell’ingresso; mentre gli stranieri che provengono dall’area di Shengen dichiarano la propria presenza al Questore, entro otto giorni dall’ingresso.
Quindi dal 2 giugno 2007 non è più richiesto agli stranieri che entrano in Italia il permesso di soggiorno se si intende rimanere al massimo tre mesi per visite, affari, turismo e studio. Ciò ovviamente non significa che si possono varcare liberamente le frontiere dell’Italia: rimane comunque indispensabile un visto di ingresso (a meno che l’Italia non abbia stipulato accordi bilaterali con il Paese di origine dello straniero).
Tale importante e positiva novità che rende più semplice gli spostamenti delle persone nell’ambito dell’Unione Europea ed in Italia, aveva però creato dei dubbi interpretativi sui diritti di coloro i quali fino ad ora, grazie alla circolare del Ministero dell’Interno K.28.1 del 8.04.1991 (che prendendo atto dei ritardi delle rappresentanze diplomatiche italiane all’estero nel definire la pratiche di riconoscimento della cittadinanza “jure sanguinis” e della necessità di garantire la parità di trattamento dei soggetti interessati e di evitare agli stessi ulteriori disagi, velocizzando la procedura), potevano usufruire di un iter “agile” tramite l’ingresso in Italia con visto turistico, seguito dal rilascio del permesso di soggiorno e dall’iscrizione all’anagrafe e quindi dall’istanza per la cittadinanza e permesso per attesa cittadinanza.
Fino ad oggi, quindi, i soggetti che volevano vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana, trasferendosi in Italia, dovevano:
- richiedere il permesso di soggiorno;
- richiedere l’iscrizione in anagrafe esibendo il permesso di soggiorno;
- soltanto dopo aver ottenuto l’iscrizione in anagrafe potevano presentare istanza al Sindaco del Comune di residenza per ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana.Di norma le Questure rilasciavano, in questi casi, un permesso di soggiorno di 90 giorni per motivi di turismo.
Con l’abolizione del permesso di soggiorno per turismo, necessario per ottenere il riconoscimento della cittadinanza, tale procedura sembrava non più percorribile perché senza permesso gli uffici comunali non possono procedere all’iscrizione anagrafica e dunque, in base alla normativa vigente, alla trattazione della richiesta di riconoscimento della cittadinanza “jure sanguinis”.
Su sollecitazione degli interventi del CGIE ed del lavoro dei Parlamentari eletti all’estero – che avevano presentato un apposito ordine del giorno, n. 9/2427/1 nella seduta n. 158 di mercoledì 16 maggio – il Ministero dell’Interno ha emanato la Circolare n. 32 del 13 giugno 2007, che stabilisce che la ricevuta della dichiarazione di presenza, che ha sostituito il permesso di soggiorno, costituisce titolo utile ai fini dell’iscrizione anagrafica di coloro i quali intendono avviare in Italia la procedura per il riconoscimento della cittadinanza “jure sanguinis” in relazione a quanto disposto con la circolare del Ministero dell’Interno n. 29/2002.
Tale dichiarazione deve essere considerata come l’adempimento che consente agli stranieri di soggiornare regolarmente in Italia per un periodo di tre mesi o per il minor periodo eventualmente stabilito nel visto d’ingresso.
25 giugno 2007
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giovedì 21 giugno 2007
Positivo il primo incontro tra Inps e parlamentari eletti all'estero
“È molto positivo il fatto che finalmente i vertici dell’Inps e noi parlamentari eletti all’estero ci siamo incontrati”, afferma l’On. Marco Fedi. “Nel faccia a faccia dello scorso venerdì 15 giugno, al quale hanno preso parte anche i colleghi parlamentari Edoardo Pollastri e Mariza Bafile, sono emerse diverse valutazioni su una serie di questioni”, continua Fedi.
“In primis, si è discusso del nuove modalità di pagamento delle pensioni all’estero, che hanno causato non pochi disagi ai nostri connazionali fuori dall’Italia, al centro delle numerose prese di posizioni di questi ultimi giorni. Si è quindi parlato del lavoro svolto dall’Istituto, sia per quanto concerne le nuove procedure informatiche che per quanto riguarda il rapporto con i patronati”. Punti, questi ultimi, sui quali il deputato eletto nelle file dell’Unione esprime il suo consenso. “Informatizzazione e progetti collegati al patronato – sottolinea Fedi - come anche la nuove procedure di rilevazione dei redditi, sono decisivi passi avanti nel rapporto tra i cittadini italiani all’estero e Pubblica amministrazione”.
Non manca però qualche distinguo nelle parole del deputato di maggioranza: “Intendiamo sottolineare che da tutti i soggetti deve essere compiuto uno sforzo per coordinare più adeguatamente le iniziative messe in atto e per comunicare meglio i contenuti di quest’ultime. Solo così è possibile limitare al minimo i disservizi agli utenti in fasi, come questa, di cambiamenti strutturali. In tal senso – continua Fedi - abbiamo valutato positivamente la presa d’atto di alcune inefficienze da parte dei massimi vertici dell’Inps e l’impegno a rettificare ciò che richiede degli interventi migliorativi. Infatti, pur essendo consapevoli che ci si è trovati ad operare un cambiamento di ampia rilevanza, rimane il rammarico per il fatto di non aver lavorato prima insieme, in modo da poter evitare tanti di questi problemi”.
Il parlamentare annuncia poi che “per il futuro, tuttavia, a partire da questa riunione avremo appuntamenti regolari con i dirigenti dell’Istituto di previdenza, e faremo lo stesso con i patronati. Valuteremo nei prossimi incontri anche l’opportunità di fissare veri e propri momenti di approfondimento circa tutti i temi che riguardano la previdenza degli italiani all’estero”.
Riguardo invece all’attività parlamentare, Fedi conferma: “Seguiremo da vicino la discussione sulla riforma delle pensioni, e saranno al centro del nostro interesse anche la ripresa dell’esame di importanti provvedimenti di ratifica delle convenzioni bilaterali e, a partire del prossimo Dpef, la dotazione di maggiori risorse all’Inps per quanto riguarda l’ufficio Rapporti e relazioni internazionali”. Infine, riguardo alle sospensioni di prestazioni previdenziali legate al reddito per i pensionati che non hanno restituito la dichiarazione dei redditi negli anni scorsi, il deputato eletto all’estero ritiene che “si debba procedere sulla strada intrapresa, valutando anche la possibilità di sospendere tutte le pensioni in oggetto. Tra l’altro è tra queste che probabilmente si celano gli italiani all’estero ultracentenari, sui quali si è fatto polemica di recente”.
19 giugno 2007
“In primis, si è discusso del nuove modalità di pagamento delle pensioni all’estero, che hanno causato non pochi disagi ai nostri connazionali fuori dall’Italia, al centro delle numerose prese di posizioni di questi ultimi giorni. Si è quindi parlato del lavoro svolto dall’Istituto, sia per quanto concerne le nuove procedure informatiche che per quanto riguarda il rapporto con i patronati”. Punti, questi ultimi, sui quali il deputato eletto nelle file dell’Unione esprime il suo consenso. “Informatizzazione e progetti collegati al patronato – sottolinea Fedi - come anche la nuove procedure di rilevazione dei redditi, sono decisivi passi avanti nel rapporto tra i cittadini italiani all’estero e Pubblica amministrazione”.
Non manca però qualche distinguo nelle parole del deputato di maggioranza: “Intendiamo sottolineare che da tutti i soggetti deve essere compiuto uno sforzo per coordinare più adeguatamente le iniziative messe in atto e per comunicare meglio i contenuti di quest’ultime. Solo così è possibile limitare al minimo i disservizi agli utenti in fasi, come questa, di cambiamenti strutturali. In tal senso – continua Fedi - abbiamo valutato positivamente la presa d’atto di alcune inefficienze da parte dei massimi vertici dell’Inps e l’impegno a rettificare ciò che richiede degli interventi migliorativi. Infatti, pur essendo consapevoli che ci si è trovati ad operare un cambiamento di ampia rilevanza, rimane il rammarico per il fatto di non aver lavorato prima insieme, in modo da poter evitare tanti di questi problemi”.
Il parlamentare annuncia poi che “per il futuro, tuttavia, a partire da questa riunione avremo appuntamenti regolari con i dirigenti dell’Istituto di previdenza, e faremo lo stesso con i patronati. Valuteremo nei prossimi incontri anche l’opportunità di fissare veri e propri momenti di approfondimento circa tutti i temi che riguardano la previdenza degli italiani all’estero”.
Riguardo invece all’attività parlamentare, Fedi conferma: “Seguiremo da vicino la discussione sulla riforma delle pensioni, e saranno al centro del nostro interesse anche la ripresa dell’esame di importanti provvedimenti di ratifica delle convenzioni bilaterali e, a partire del prossimo Dpef, la dotazione di maggiori risorse all’Inps per quanto riguarda l’ufficio Rapporti e relazioni internazionali”. Infine, riguardo alle sospensioni di prestazioni previdenziali legate al reddito per i pensionati che non hanno restituito la dichiarazione dei redditi negli anni scorsi, il deputato eletto all’estero ritiene che “si debba procedere sulla strada intrapresa, valutando anche la possibilità di sospendere tutte le pensioni in oggetto. Tra l’altro è tra queste che probabilmente si celano gli italiani all’estero ultracentenari, sui quali si è fatto polemica di recente”.
"Bisogna accelerare sulle riforme per gli italiani all'estero"
Cittadinanza, riforma della 153/71, rete consolare, diritti sindacali, informazione. Queste le riforme che le comunità italiane all’estero attendono da troppo tempo. Per questo, è ora di accelerare i tempi. È quanto confermato da Marco Fedi, deputato dei Ds eletto in Australia, in questa intervista rilasciata a Frank Barbaro e pubblicata su Nuovo Paese, periodico da lui stesso diretto ad Adelaide.
Dopo un anno di attività parlamentare quali obiettivi sono stati raggiunti per gli italiani all’estero? In che misura, anche a proposito della riforma della 153/71, il Governo sta rispondendo alle attese delle comunità italiane all’estero e, soprattutto, sta rispondendo alle esigenze più generali del Paese?
Alla prima parte della domanda rispondo dicendo che abbiamo costruito alcuni percorsi di riforma, altri sono in costruzione. Cittadinanza, riforma della 153/71, rete consolare, diritti sindacali, informazione. Occorre accelerare i tempi. Ricordo che all’estero i nostri candidati hanno presentato delle proposte che non erano unicamente la conferma del programma politico che l’Unione presentava in Italia ma impegnavano il centrosinistra rispetto ad obiettivi da perseguire a favore delle comunità italiane nel mondo. Abbiamo svolto e stiamo svolgendo una coerente azione di sensibilizzazione per la ripresa delle iniziative bilaterali di tutela dei cittadini italiani nel mondo, di presentazione di richieste specifiche su aspetti nuovi come le detrazioni per carichi di famiglia o la certificazione sostitutiva al permesso di soggiorno breve, di monitoraggio degli effetti delle nuove normative e, contemporaneamente, di collegamento tra i grandi temi dell’umanità e la vita delle comunità italiane nel mondo ed il Parlamento italiano. Non mi sembra poco vista la limitatezza delle risorse di cui disponiamo. Sulla riforma della 153/71 il Governo ha fatto benissimo a promuovere un’ulteriore azione di approfondimento. La sostanza è che la promozione dell’insegnamento della lingua italiana nel mondo ha superato, nei fatti, i vincoli normativi ed è oggi uno strumento di arricchimento delle realtà culturali e sociali locali, di forte presenza della nostra lungua e della nostra cultura in quei Paesi – basti pensare all’Australia dove l’italiano è la lingua più diffusa dopo l’inglese, anche nelle scuole – ed è parte del sistema Italia all’estero, sia quando fa capo agli Istituti di Cultura che quando è affidata agli enti gestori. La riforma deve tener conto della molteplicità di realtà e soggetti, della necessità assoluta – che non può essere mascherata da false soluzioni – di superare l’assistenzialismo e puntare alla integrazione curriculare ed alla massima apertura e diffusione a livello scolastico ed universitario oltre che a moderni progetti di collegamento, formazione ed aggiornamento. Programmazione degli interventi in base ad un Piano Paese, sicurezza degli interventi e dei finanziamenti a fronte di una provata capacità tecnico-organizzativa degli enti. Le Direzioni Generali del Ministero degli Affari Esteri debbono armonizzare la propria azione e, ad esempio, la formazione, l’insegnamento diretto ed i progetti di rilevanza nazionale ed internazionale possono essere affidati, a livello ministeriale, ad un esame comune. Però acceleriamo il passo: ricordo che a Montecatini il CGIE approfondì e predispose successivamente un testo di riforma. Si tratta ora di trarre frutto da queste esperienze importanti. Sulle questioni generali credo si debba partire da una considerazione di fondo. Non ho mai avuto dubbi sulla necessità che la rappresentanza parlamentare dovesse superare una visione limitata del proprio ruolo e della propria azione. In aula ho fatto due interventi, entrambi su materie generali come la legge di bilancio e la fiducia a Prodi. E sono perfettamente cosciente che abbiamo davanti problemi di grande portata. Credo sia necessario mostrare sui grandi temi etici e sulle grandi scelte sociali lo stesso coraggio che abbiamo mostrato per quanto concerne le scelte economiche, la lotta all’evasione fiscale e le liberalizzazioni. Sulle riforme istituzionali e sulle modifiche alle regole elettorali il sistema politico è chiamato a rinnovare se stesso e credo che si debba partire proprio da questo impegno che deve trasparire dal lavoro della maggioranza e dell’opposizione. Anche qui occorre avere coraggio ed affrontare i nodi che riguardano le grandi trasformazioni che vengono proposte: a partire dalla collocazione istituzionale della rappresentanza eletta all’estero fino alle modifiche regolamentari o normative.
Recentemente, anche a seguito di tue dichiarazioni, traspare una visione diversa dell’esperienza parlamentare tra voi eletti all’estero. In che misura esistono divergenze tra voi?
Se il riferimento è a proposito dell’intervista con il Senatore Nino Randazzo apparsa su Il Globo di lunedì 4 giugno titolata "Randazzo attacca Fedi" e relativa ad una mia precedente intervista, desidero segnalare che, a scanso di equivoci o cattive interpretazioni, nella mia intervista ho anch’io espresso valutazioni positive sulla persona della Signora Amanda Vanstone, che assumerà il ruolo di Ambasciatore australiano a Roma, per le sue provate capacità ed esperienza, sostenendo però una tesi, che ovviamente è solo mia, e cioè che non prediligo le nomine politiche perchè i politici vanno eletti, ed è per questa ragione che rispondono agli elettori, i diplomatici sono nominati ed è per questa ragione che rispondono ai Governi. Tutto qui. Sulla questione della mia possibile departita dal gruppo de l’Ulivo confermo che le ragioni sono complesse. Anche ad un occhio miope o ad un orecchio distratto non sfuggirà il senso delle mie affermazioni. Credo si debba parlare chiaramente. Sono propenso ad affrontare i problemi e non a fare inutili polemiche tra noi. La stima reciproca ed il lavoro comune che abbiamo davanti lo impongono. Dobbiamo in questo momento dimostrare – in ogni passaggio – quindi anche a partire dal DPEF – che intendiamo far partire un programma condiviso di riforme. Ho sostenuto un anno fa che l’assenza di riferimenti agli italiani all’estero nel documento di programmazione economico-finanziaria non costituisse necessariamente un problema se, a partire dalla finanziaria, il Governo avesse dimostrato di avere le idee chiare sui percorsi di riforma. Sostengo ora la necessità di essere presenti in ogni passaggio strategico e di essere puntuali con le nostre richieste e di non perdere più tempo. Il lavoro che ciascuno di noi svolge è patrimonio di tutti. Non solo del centro-sinistra o del centro-destra ma di un’esperienza collettiva, di un’esperienza parlamentare che ancora deve dare i suoi frutti migliori. Non ho mai pensato di venir meno al mio mandato parlamentare ma di assolverlo, invece, pienamente. Come con il Cgie, d’altronde, le mie dimissioni hanno rappresentato una ragione in più per essere vicino a questo organismo di rappresentanza e per continuare a migliorare l’azione del Governo e delle Istituzioni".
6 giugno 2007
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"Se entro luglio non ci sono novità per gli italiani all'estero, sono pronto a lasciare l'Ulivo"
"Se entro luglio non ci saranno passi avanti sostanziali sul fronte del riconoscimento del patrimonio rappresentato dagli italiani all’estero, a partire dal Documento di programmazione economico-finanziaria fino ad un concreto piano di riforme, se sul fronte parlamentare non si partirà con la costituzione dei Comitati per le questioni degli italiani all’estero presso Camera e Senato e, non certo ultima in importanza, non vi saranno segnali positivi sulla riforma della cittadinanza, lascerò l’Ulivo. Credo che, a partire dal DPEF, il Governo debba indicare il percorso che intende adottare per rafforzare il legame con le comunità italiane nel mondo".
Intervistato da Paul Scutti per Il Globo, uno dei due quotidiani italiani d’Australia, Marco Fedi, deputato dell’Ulivo eletto all’estero esprime così la delusione per il rinvio di alcune proposte di legge di interesse per i connazionali all’estero.
"Riconoscerne il valore strategico, attraverso una politica tesa a rafforzare la rete diplomatico-consolare, a migliorare il livello di tutela dei cittadini italiani per quanto concerne la sanità, il fisco e la sicurezza sociale, in particolare rilanciando la politica delle Convenzioni bilaterali e garantendo il pluralismo e la qualità dell’informazione radiotelevisiva e su carta stampata per le comunità italiane all’estero. Oltre a promuovere tutte le iniziative atte a diffondere all’estero la lingua e la cultura italiane ed a promuovere lo studio e l’analisi dell’emigrazione, delle sue radici storiche e dei suoi sviluppi in termini di identità e di livelli d’integrazione. Un segnale importante va infine dato per gli interventi tesi a stimolare l'imprenditoria italiana a cogliere le opportunità di joint ventures e comunque a migliorare il livello di investimenti e di esportazioni verso l’estero creando, nel contempo, opportunità per le imprese straniere che intendano investire e/o esportare in Italia".
L’on. Marco Fedi non usa mezzi termini per esprimere il suo disagio dopo l’ultimo rinvio al progetto di legge che dovrebbe consentire il riacquisto della cittadinanza italiana per coloro che vi rinunciarono per acquisire quella australiana. La proposta sarebbe dovuta arrivare alla Camera dei Deputati alla fine di maggio, ma le resistenze del centrodestra, sommate a quelle di Udeur e Italia dei Valori, hanno imposto un rinvio.
"La speranza è che si possa arrivare ad un testo condiviso che la Camera approvi entro luglio. A quel punto, il Senato potrebbe dare il via libera prima della fine dell’anno”, spiega Fedi.Gli ultimi mesi del 2007 saranno però occupati dalla discussione della legge Finanziaria. Ci sarà spazio al Senato, soprattutto alla luce della risicata maggioranza governativa, anche per la riforma della cittadinanza? "Il rischio esiste – ammette Fedi –. In tal caso, la legge slitterebbe a febbraio, il che significa che per giugno 2008 gli italiani all’estero potranno presentare domanda per riacquistare la cittadinanza". Questa la tempistica, sempre che la maggioranza riesca a trovare l’accordo al suo interno e a superare il difficile passaggio parlamentare. “Si tratta di una riforma delicata perché non riguarda solo gli italiani emigrati all’estero, ma stabilisce i criteri per diventare cittadini anche per gli stranieri che risiedono in Italia. L’opinione pubblica è molto sensibile a tutto ciò che riguarda l’immigrazione, pertanto non sorprende che alcuni settori del centrosinistra abbiano espresso riserve sulla riforma – osserva Fedi –. Sulla cittadinanza si gioca una partita complessa, che, come quella sui Di.Co., deve essere vinta. La riduzione da 10 a 5 anni per diventare cittadini italiani è sacrosanta. Si tratta ovviamente di persone che vivono regolarmente in Italia, lavorando e contribuendo, non solo sotto il profilo economico ma anche quello sociale e culturale, impegnate a far crescere il nostro Paese. Non si aggiunge nulla in termini di costi anche se su questi aspetti, come spesso avviene, si fa tanta demagogia. Per quanto riguarda la nostra comunità all’estero, devo dire che c’è molta disinformazione in giro su quali sono i termini del problema. Prima che intervenissimo presso il governo, molti parlamentari addirittura pensavano che permettere agli italiani all’estero di riacquistare la cittadinanza avrebbe significato dover pagare più pensioni, cosa del tutto falsa ovviamente".
Fedi risponde anche alle critiche di chi considera un errore aver inserito il riacquisto della cittadinanza nella più ampia riforma che stabilirà come le regole generali per diventare un cittadino italiano: "In realtà non potevamo fare diversamente, altrimenti il problema sarebbe stato discusso – nella migliore delle ipotesi – solo a fine legislatura. Già con la scorsa Finanziaria avevamo provato a far passare delle norme estranee alla legge di bilancio, nella peggior tradizione parlamentare, ma non c’erano margini di manovra sufficienti. Accorpando il riacquisto della cittadinanza alle tematiche dell’immigrazione si conferisce la necessaria visibilità ed importanza al problema che interessa tanti italiani all’estero. Abbiamo deciso di scommettere su questa strategia sperando che ci porti al risultato che tutti si auspicano".
E se così non fosse, addio Ulivo?
"Esatto – conferma Fedi –. Se la maggioranza non porterà a casa la riforma e se non vi saranno segnali positivi sul fronte delle riforme, allora non avrò altra scelta se non quella di dare un segnale politico. Continuerò a lavorare all’interno del centrosinistra, ma diventerò una spina nel fianco per il governo. Ho un dovere nei confronti di chi mi ha votato e ho intenzione di rispettarlo fino in fondo".
Le difficoltà di navigare nell’agitata politica italiana spingono Fedi a riflettere sul "clima di contrapposizione ideologica che avvolge il Paese, addirittura quando ormai non vi sono nemmeno più ideologie su cui scontrarsi".
Ha ragione Massimo D’Alema allora, quando mette in guardia sulla crescente disaffezione degli italiani nei confronti della politica?
"La sfiducia della popolazione è alimentata da tanti fattori. Ad esempio, quando si parla dei costi eccessivi della politica, credo che si faccia molta retorica. Il problema non sono i costi, ma i risultati. La classe dirigente dovrebbe essere più trasparente ed efficiente, quindi ha ragione il presidente Napolitano quando esorta il Parlamento a lavorare meglio e di più. Faccio un esempio: per poter svolgere bene il compito affidatogli dagli elettori, un parlamentare deve avere un ufficio elettorale, del personale e poter gestire la rappresentanza. Nei paesi civili questi costi sono riconosciuti e pagati dalle istituzioni. In Italia il sistema del forfetario ha portato a delle storture e, come per gli assistenti parlamentari, a situazioni di vera e propria illegalità. Il sistema politico deve rinnovare se stesso: anche se molti non credono che ciò sia possibile, io credo si debba partire proprio da questa necessità. Occorre avere il coraggio di cambiare. Analogo discorso per le regole, a partire dalla riforma elettorale: occorre fissare le regole insieme, maggioranza ed opposizione. Allora la proposta Chiti è il risultato di un primo confronto tra le forze politiche, non è la volontà perversa di una parte della maggioranza. La legge elettorale è stata cambiata a colpi di maggioranza dal centro-destra, il centro-sinistra ha preso un impegno per quanto concerne il metodo e lo sta rispettando".
"La nascita del Partito democratico – continua Fedi – deve essere vista come un’occasione unica per avvicinare i cittadini alla politica, per renderli davvero partecipi. Per questo motivo ad ottobre, quando ci saranno le primarie, tutti coloro che lo vorranno potranno contribuire fattivamente alla creazione di questo nuovo soggetto politico".
Prima di allora, un altro appuntamento attende Fedi: a luglio, Amanda Vanstone arriverà a Roma per assumere le vesti di nuovo ambasciatore australiano in Italia.
"Mi auguro di poter lavorare proficuamente con la signora Vanstone, anche se non posso fare a meno di notare che ritengo un errore le nomine politiche in diplomazia. Ma a volte anche un ambasciatore di estrazione politica può essere un vantaggio e la Vanstone, con i suoi 20 anni da parlamentare e i tanti incarichi di governo ricoperti, ha sicuramente esperienza da vendere".
28 maggio 2007
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Non più richiesto il permesso di soggiorno per periodi inferiori a tre mesi
È stata approvata dal Parlamento italiano il 16 maggio la proposta di legge recante “Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio”.
La nuova legge, che entrerà in vigore dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, prevede che per l’ingresso in Italia per visite, affari, turismo e studio non è più richiesto il permesso di soggiorno qualora la durata del soggiorno stesso sia non superiore a tre mesi.
Il visto di ingresso è rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello Stato di origine o di stabile residenza dello straniero. Per soggiorni non superiori a tre mesi sono equiparati ai visti rilasciati dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane quelli emessi, sulla base di specifici accordi, dalle autorità diplomatiche e consolari di altri Stati. Contestualmente al rilascio del visto di ingresso, l’autorità diplomatica o consolare italiana consegna allo straniero una comunicazione scritta in lingua a lui comprensibile o, in mancanza, in inglese, francese, spagnolo o arabo, che illustri i diritti e i doveri dello straniero relativi all'ingresso ed al soggiorno in Italia. Qualora non sussistano i requisiti previsti dalla normativa in vigore per procedere al rilascio del visto, l'autorità diplomatica o consolare comunica il diniego allo straniero in lingua a lui comprensibile, o, in mancanza, in inglese, francese, spagnolo o arabo. Il termine di durata per cui è consentito il soggiorno è quello indicato nel visto di ingresso, se richiesto.
Al momento dell’ingresso o, in caso di provenienza da Paesi dell’area di Schengen, entro otto giorni dall’ingresso, lo straniero dichiara la sua presenza, rispettivamente all’autorità di frontiera o al questore della provincia in cui si trova, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministero dell’Interno. In caso di inosservanza di tali obblighi lo straniero deve essere espulso. La medesima sanzione si applica nel caso in cui lo straniero sia trattenuto nel territorio dello Stato italiano oltre i tre mesi o il tempo minore eventualmente indicato nel visto di ingresso.
Ai fini dell’iscrizione nei registri anagrafici dei comuni, per scopi legati al riconoscimento della cittadinanza italiana, abbiamo chiesto, attraverso un apposito ordine del giorno, che il Governo si impegni a predisporre un’apposita circolare tesa ad introdurre soluzioni alternative al rilascio del permesso di soggiorno breve.
La nuova legge, che entrerà in vigore dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, prevede che per l’ingresso in Italia per visite, affari, turismo e studio non è più richiesto il permesso di soggiorno qualora la durata del soggiorno stesso sia non superiore a tre mesi.
Il visto di ingresso è rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello Stato di origine o di stabile residenza dello straniero. Per soggiorni non superiori a tre mesi sono equiparati ai visti rilasciati dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane quelli emessi, sulla base di specifici accordi, dalle autorità diplomatiche e consolari di altri Stati. Contestualmente al rilascio del visto di ingresso, l’autorità diplomatica o consolare italiana consegna allo straniero una comunicazione scritta in lingua a lui comprensibile o, in mancanza, in inglese, francese, spagnolo o arabo, che illustri i diritti e i doveri dello straniero relativi all'ingresso ed al soggiorno in Italia. Qualora non sussistano i requisiti previsti dalla normativa in vigore per procedere al rilascio del visto, l'autorità diplomatica o consolare comunica il diniego allo straniero in lingua a lui comprensibile, o, in mancanza, in inglese, francese, spagnolo o arabo. Il termine di durata per cui è consentito il soggiorno è quello indicato nel visto di ingresso, se richiesto.
Al momento dell’ingresso o, in caso di provenienza da Paesi dell’area di Schengen, entro otto giorni dall’ingresso, lo straniero dichiara la sua presenza, rispettivamente all’autorità di frontiera o al questore della provincia in cui si trova, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministero dell’Interno. In caso di inosservanza di tali obblighi lo straniero deve essere espulso. La medesima sanzione si applica nel caso in cui lo straniero sia trattenuto nel territorio dello Stato italiano oltre i tre mesi o il tempo minore eventualmente indicato nel visto di ingresso.
Ai fini dell’iscrizione nei registri anagrafici dei comuni, per scopi legati al riconoscimento della cittadinanza italiana, abbiamo chiesto, attraverso un apposito ordine del giorno, che il Governo si impegni a predisporre un’apposita circolare tesa ad introdurre soluzioni alternative al rilascio del permesso di soggiorno breve.
Il permesso di soggiorno CE per cittadini extracomunitari soggiornanti di lungo periodo
Novità importanti sono state inoltre introdotte in riferimento a diritti e doveri dei lavoratori stranieri immigrati in Italia. E’ stato infatti stabilito dal Decreto Legislativo n. 3 dell'8 gennaio 2007 che la carta di soggiorno assume la denominazione di "permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo". Il termine di soggiorno regolare in Italia necessario per poter richiedere tale titolo di soggiorno è ridotto da sei anni a cinque anni. E’ soppresso il requisito della titolarità di un permesso di soggiorno per un motivo che consenta un numero indeterminato di rinnovi, quindi è solo necessario possedere, al momento della richiesta, un permesso di soggiorno di lunga durata in corso di validità.
Rimangono invariati i requisiti relativi al reddito, all'alloggio, alle possibilità di chiedere il rilascio del titolo per sé e per i propri familiari. Rimane invariata anche la durata indeterminata del titolo di soggiorno.
Il nuovo permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo non può essere rilasciato al cittadino titolare di permesso di soggiorno per studio e formazione professionale, protezione temporanea, motivi umanitari, asilo politico e permesso di soggiorno di breve durata. Non può inoltre essere rilasciato al cittadino straniero considerato pericoloso per la sicurezza dello stato e l'ordine pubblico.
Il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo può essere revocato per i seguenti motivi: se è stato acquisito in maniera fraudolenta; se lo straniero risulta pericoloso per la sicurezza dello stato e l'ordine pubblico; nei casi per i quali l'art. 9 del T.U. preveda l'espulsione; per assenza del cittadino straniero dall'Unione Europea per un periodo di 12 mesi consecutivi; per acquisizione del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo in altro stato membro dell'Unione Europea.
Rimangono invariati i requisiti relativi al reddito, all'alloggio, alle possibilità di chiedere il rilascio del titolo per sé e per i propri familiari. Rimane invariata anche la durata indeterminata del titolo di soggiorno.
Il nuovo permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo non può essere rilasciato al cittadino titolare di permesso di soggiorno per studio e formazione professionale, protezione temporanea, motivi umanitari, asilo politico e permesso di soggiorno di breve durata. Non può inoltre essere rilasciato al cittadino straniero considerato pericoloso per la sicurezza dello stato e l'ordine pubblico.
Il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo può essere revocato per i seguenti motivi: se è stato acquisito in maniera fraudolenta; se lo straniero risulta pericoloso per la sicurezza dello stato e l'ordine pubblico; nei casi per i quali l'art. 9 del T.U. preveda l'espulsione; per assenza del cittadino straniero dall'Unione Europea per un periodo di 12 mesi consecutivi; per acquisizione del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo in altro stato membro dell'Unione Europea.
Le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini della Unione Europea e dei loro familiari
Con la recente entrata in vigore (11 aprile 2007) del Decreto legislativo n. 30, del 6 febbraio 2007, recante “Attuazione della Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo”, anche lo Stato italiano dà attuazione alla normativa comunitaria che introduce nuove regole relative al diritto dei cittadini dell’Unione Europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
La direttiva recepita ora anche dall'Italia raccoglie e semplifica in un unico testo il complesso corpus legislativo esistente nella UE nel settore del diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell’Unione negli altri Paesi membri, e praticamente disciplina:
a) le modalità d'esercizio del diritto di libera circolazione di soggiorno dei cittadini della UE e dei loro familiari (attenzione: per familiare si intende anche il partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata dallo Stato del cittadino dell’Unione);
b) il diritto di soggiorno permanente;
c) le eventuali restrizioni ai diritti sopra menzionati.
In seguito all'entrata in vigore della nuova Direttiva, i cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio nazionale di un altro Paese per un periodo non superiore a tre mesi SENZA ALCUNA CONDIZIONE E FORMALITÀ, salvo il possesso di un documento di identità valido per l'espatrio secondo la legislazione dello Stato di cui hanno la cittadinanza.
Invece per i periodi di soggiorno superiori ai tre mesi è stata abolita la carta di soggiorno ed introdotta l'iscrizione anagrafica presso il Comune dove si ha intenzione di stabilirsi. L'iscrizione anagrafica viene subordinata non solo all'accertamento della dimora abituale del richiedente, ma anche alla verifica della sussistenza delle condizioni previste dal decreto legislativo per l'esercizio del diritto di soggiorno in Italia.
Praticamente il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi viene riconosciuto quando il richiedente:
a) è lavoratore subordinato od autonomo in Italia; oppure b) dispone per sé stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti per la permanenza in Italia in modo da non rappresentare un onere a carico dell' assistenza sociale dello Stato di accoglienza durante il periodo di soggiorno, e di una assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale (Attenzione: per la quantificazione delle risorse economiche sufficienti si deve utilizzare il parametro dell'importo dell'assegno sociale, consistente per l'anno 2007 in euro 5.061,68 annue; tale importo viene considerato sufficiente per il soggiorno del richiedente e di un familiare);
c) è iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi come attività principale un corso di studi o di formazione professionale e dispone di risorse economiche sufficienti e di una assicurazione sanitaria;
d) è familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell'Unione che ha il diritto di soggiornare.
Il cittadino dell’Unione che ha soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale ha diritto al soggiorno permanente senza particolari condizioni. Il diritto di soggiorno permanente si perde a seguito di assenza dal territorio nazionale di durata superiore a due anni consecutivi.
Il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere limitato solo per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza.
La direttiva recepita ora anche dall'Italia raccoglie e semplifica in un unico testo il complesso corpus legislativo esistente nella UE nel settore del diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell’Unione negli altri Paesi membri, e praticamente disciplina:
a) le modalità d'esercizio del diritto di libera circolazione di soggiorno dei cittadini della UE e dei loro familiari (attenzione: per familiare si intende anche il partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata dallo Stato del cittadino dell’Unione);
b) il diritto di soggiorno permanente;
c) le eventuali restrizioni ai diritti sopra menzionati.
In seguito all'entrata in vigore della nuova Direttiva, i cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio nazionale di un altro Paese per un periodo non superiore a tre mesi SENZA ALCUNA CONDIZIONE E FORMALITÀ, salvo il possesso di un documento di identità valido per l'espatrio secondo la legislazione dello Stato di cui hanno la cittadinanza.
Invece per i periodi di soggiorno superiori ai tre mesi è stata abolita la carta di soggiorno ed introdotta l'iscrizione anagrafica presso il Comune dove si ha intenzione di stabilirsi. L'iscrizione anagrafica viene subordinata non solo all'accertamento della dimora abituale del richiedente, ma anche alla verifica della sussistenza delle condizioni previste dal decreto legislativo per l'esercizio del diritto di soggiorno in Italia.
Praticamente il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi viene riconosciuto quando il richiedente:
a) è lavoratore subordinato od autonomo in Italia; oppure b) dispone per sé stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti per la permanenza in Italia in modo da non rappresentare un onere a carico dell' assistenza sociale dello Stato di accoglienza durante il periodo di soggiorno, e di una assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale (Attenzione: per la quantificazione delle risorse economiche sufficienti si deve utilizzare il parametro dell'importo dell'assegno sociale, consistente per l'anno 2007 in euro 5.061,68 annue; tale importo viene considerato sufficiente per il soggiorno del richiedente e di un familiare);
c) è iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi come attività principale un corso di studi o di formazione professionale e dispone di risorse economiche sufficienti e di una assicurazione sanitaria;
d) è familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell'Unione che ha il diritto di soggiornare.
Il cittadino dell’Unione che ha soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale ha diritto al soggiorno permanente senza particolari condizioni. Il diritto di soggiorno permanente si perde a seguito di assenza dal territorio nazionale di durata superiore a due anni consecutivi.
Il diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere limitato solo per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza.
L'Italia cresce grazie alle nuove norme sulla presenza degli stranieri
“L’Italia cresce, si adegua agli standard più avanzati, sviluppa una nuova concezione dell’immigrazione e dell’integrazione”. È una visione ottimista quella proposta dall’On. Marco Fedi, eletto per l’Unione nella ripartizione Asia, Africa, Oceania e Antartide, in Australia per una serie di incontri con le comunità italiane e per le manifestazioni legate all’anniversario della Repubblica italiana. “Si va dalle nuove norme sulla circolazione in Italia dei cittadini comunitari ed extra-comunitari – spiega infatti il deputato – alla legge delega al governo per la modifica della disciplina dell'immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero, passando per le modifiche alla legge sulla cittadinanza”. Un’azione di ampio spettro, che costituisce “un fatto assolutamente positivo, rispetto al quale dobbiamo assumere un atteggiamento costruttivo, informando le comunità su questi importanti traguardi per il nostro Paese”. Proprio con questo spirito, l’On. Fedi ha sottolineato nei suoi incontri con i connazionali come, “grazie al recepimento da parte dell’Italia di alcune direttive comunitarie, siano state introdotte nell’ordinamento legislativo italiano importanti novità in relazione ai meccanismi ed alle disposizioni che disciplinano il diritto alla circolazione nei Paesi comunitari di cittadini comunitari ed extracomunitari”.
Nelle varie occasioni di dialogo con le comunità italiane in Australia, il parlamentare eletto nelle file dell’Unione si è diffuso nella spiegazione delle nuove norme riguardanti: le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini della Unione Europea e dei loro familiari; il permesso di soggiorno CE per cittadini extracomunitari soggiornanti di lungo periodo; e i soggiorni di breve durata per turismo, affari e studio.
Nelle varie occasioni di dialogo con le comunità italiane in Australia, il parlamentare eletto nelle file dell’Unione si è diffuso nella spiegazione delle nuove norme riguardanti: le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini della Unione Europea e dei loro familiari; il permesso di soggiorno CE per cittadini extracomunitari soggiornanti di lungo periodo; e i soggiorni di breve durata per turismo, affari e studio.
23 maggio 2007
L'abolizione del permesso di soggiorno breve migliorerà i collegamenti extra Ue
“Tra i privilegi di cui non intendo avvalermi in qualità di parlamentare, c’è quello di poter dire sciocchezze in Aula. Purtroppo ieri ne ho sentite dire molte dai colleghi di centro-destra”. L’on. Marco Fedi, deputato dell’Ulivo eletto nella circoscrizione estero, rigetta al mittente le polemiche dell’opposizione sull’abolizione del premesso di soggiorno breve per gli stranieri, approvata ieri a Montecitorio. “Già è ingiustificato – continua Fedi – il collegamento strumentale tra criminalità e immigrazione. Non si può poi accettare l’idea che l’eliminazione del permesso di soggiorno breve sia automaticamente responsabile del presunto aumento della presenza di clandestini, e tanto meno della criminalità. Del resto, rimane comunque in vigore tutta la normale disciplina dei visti di ingresso”.
“Tra l’altro – spiega il deputato eletto nelle fila dell’Unione - se avessimo mantenuto il permesso saremmo andati incontro alle sanzioni dell’Unione Europea. La sua abolizione è da giudicare un fatto positivo perché consentirà di aumentare le opportunità di scambio, di relazione e di collegamento con le realtà extra-europee”.
Durante la seduta parlamentare di ieri è stato inoltre accolto dal Governo, nella persona del sottosegretario agli Interni Marcella Lucidi, un ordine del giorno proprio su tale materia di cui l’on. Fedi è primo firmatario. Nel testo, presentato insieme agli altri deputati dell’Ulivo eletti nella circoscrizione estero Mariza Bafile, Ricardo Merlo, Gianni Farina, Arnold Cassola, e Franco Narducci, si “impegna il Governo a valutare l’opportunità di adottare iniziative volte a consentire la possibilità di rilascio di un permesso di soggiorno di durata annuale, rinnovabile, per consentire il completamento della pratica di cittadinanza italiana jure sanguinis ai discendenti di cittadini italiani”. Infatti, alcuni di questi ultimi, si sono visti recentemente rifiutare dai rispettivi Consolati la legalizzazione della documentazione locale necessaria per l'iter delle domande di riconoscimento della cittadinanza italiana presso i Comuni italiani. Per sanare tale situazione, l’ordine del giorno di cui l’on. Fedi è primo firmatario impegna inoltre il Governo “a valutare la possibilità di mantenere, in ogni caso, una procedura di rilascio di apposita autorizzazione per l’iscrizione nei registri anagrafici dei Comuni al fine di attivare la procedura di riconoscimento jure sanguinis della cittadinanza italiana, come previsto dalla circolare Ciclosi, n. 28, del 22 dicembre 2002”.
“Tra l’altro – spiega il deputato eletto nelle fila dell’Unione - se avessimo mantenuto il permesso saremmo andati incontro alle sanzioni dell’Unione Europea. La sua abolizione è da giudicare un fatto positivo perché consentirà di aumentare le opportunità di scambio, di relazione e di collegamento con le realtà extra-europee”.
Durante la seduta parlamentare di ieri è stato inoltre accolto dal Governo, nella persona del sottosegretario agli Interni Marcella Lucidi, un ordine del giorno proprio su tale materia di cui l’on. Fedi è primo firmatario. Nel testo, presentato insieme agli altri deputati dell’Ulivo eletti nella circoscrizione estero Mariza Bafile, Ricardo Merlo, Gianni Farina, Arnold Cassola, e Franco Narducci, si “impegna il Governo a valutare l’opportunità di adottare iniziative volte a consentire la possibilità di rilascio di un permesso di soggiorno di durata annuale, rinnovabile, per consentire il completamento della pratica di cittadinanza italiana jure sanguinis ai discendenti di cittadini italiani”. Infatti, alcuni di questi ultimi, si sono visti recentemente rifiutare dai rispettivi Consolati la legalizzazione della documentazione locale necessaria per l'iter delle domande di riconoscimento della cittadinanza italiana presso i Comuni italiani. Per sanare tale situazione, l’ordine del giorno di cui l’on. Fedi è primo firmatario impegna inoltre il Governo “a valutare la possibilità di mantenere, in ogni caso, una procedura di rilascio di apposita autorizzazione per l’iscrizione nei registri anagrafici dei Comuni al fine di attivare la procedura di riconoscimento jure sanguinis della cittadinanza italiana, come previsto dalla circolare Ciclosi, n. 28, del 22 dicembre 2002”.
17 maggio 2007
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"L'Italia deve reagire all'ideologia della paura"
Abbiamo rivolto alcune domande all’on. Marco Fedi, deputato Ds eletto tra le fila de l’Unione nella circoscrizione estero, sugli argomenti più attuali dell’agenda politica italiana.
In quale piazza di Roma si trovava sabato 12 maggio? Era al Family Day organizzato dalle organizzazioni cattoliche o alla manifestazione dell’Orgoglio laico?
Ero tra San Giovanni e Piazza Navona, ma non per indecisione bensì per scelta. Ho pensato subito che, se è vero che le famiglie non sono contro le unioni di fatto ed i laici non sono contro le famiglie – cosa di cui sono convinto anch’io – la manifestazione avrebbero dovuto organizzarla insieme. Oppure ad un certo punto si sarebbero potuti incontrare a metà strada, magari a Piazza Venezia. Invece no! Non solo non c’è stato incontro, ma lo scontro a distanza di piazza – tra le personalità che hanno monopolizzato la rappresentanza ed anche i temi delle due manifestazioni – ha avuto la meglio anche sulle ragioni “vere” delle due manifestazioni. Hanno avuto il sopravvento le nuove ideologie. L’ideologia della paura: tutto è in caduta libera, quindi dobbiamo saldamente agganciarsi a tutto ciò che di sano e solido è nelle nostre società.
E allora, aldilà delle ideologie, come stanno veramente le cose?
Il problema è che sono oggi le persone a non avere solidi momenti sociali, oltre alla famiglia. La precarietà del lavoro, le difficoltà di bilancio, le preoccupazioni per i figli. Dobbiamo ripartire dalle persone per costruire famiglie solide. Una famiglia forte e solida, come una società forte e solida, dovrebbe valutare positivamente il riconoscimento di diritti e doveri a chi scegli liberamente, e senza causare danno ad altri, la convivenza. Non il matrimonio, ma la convivenza!
Quindi lei è un fautore dei Di. Co., il disegno di legge del governo volto al riconoscimento giuridico di alcuni diritti e doveri delle persone conviventi, ritenuto dalla Chiesa un attacco alla famiglia tradizionale e invece da molti laici una minima conquista di civiltà?
Voglio fare una premessa. Sono spaventato all’idea che in Italia ci possa essere qualcuno che pensa che rafforzare la sfera dei diritti individuali possa indebolire quelli collettivi. E mi turba anche il fatto che in Italia sia sempre necessario ricordare che lo Stato è laico. E invece qualcuno, ogni giorno, con la propria azione, con le cose che vengono dette e fatte, soprattutto all’interno del mondo politico, necessita a questa ovvia considerazione di tornare a galla.
Si spieghi meglio.
Il centro-destra sta strumentalizzando tutta la discussione in un modo scandaloso. La risposta del centro-sinistra deve essere aperta al dialogo, ma al tempo stesso impegnata a far approvare il progetto di legge sui Di.Co. che ritengo base indispensabile per continuare sulla strada dell’estensione delle tutele.
Restiamo nel campo della “lotta” sui valori e sui diritti. Recentemente l’Italia è stata profondamente scossa dalla vicenda di Piergiorgio Welby, un malato di una gravissima forma di distrofia muscolare che, dopo una lunga battaglia mediatica, ha infine ottenuto da un medico l’interruzione delle cure che lo mantenevano in vita. Il caso Welby ha riaperto il dibattito sui temi dell’eutanasia e del testamento biologico. Qual è la sua posizione?
Le storie umane di persone che soffrono e che desiderano porre fine alla propria esistenza debbono sempre scuotere le nostre coscienze. La vicenda politica italiana è stata costruita sulla logica del “ritardo”, del “rinvio” e della distanza frapposta tra la politica ed i temi che implicano scelte etiche e morali. Non è stato un bene per il Paese. Sono convinto che il ruolo della politica è assicurare che i cittadini vengano sempre tutelati nelle loro scelte, che le scelte siano supportate da servizi, che i servizi siano regolati da leggi. È necessario quindi che la politica non rimanga passiva davanti al dramma di chi – già oggi, in molteplici forme – chiede l’eutanasia passiva volontaria o quella assistita.
E in senso pratico come si traduce?
La risposta della politica, è vero, da sola, non è sufficiente. Lo Stato deve garantire che tutti vengano ascoltati rispetto alle questioni morali ed etiche che l’eutanasia ed il testamento biologico pongono all’attenzione della società. Ascoltare, per poi liberamente scegliere, ed avere lo Stato che rispetta la scelta del libero cittadino e fornisce gli strumenti per “facilitarla”, quando questa scelta non pone a rischio i diritti di altri o ne indebolisce i doveri. Non basta avere un sistema che a volte “chiude un occhio” sulle responsabilità mediche o sulle singole responsabilità dei cittadini, quando questi praticano forme di “morte assistita”. La politica deve avere il coraggio di affrontare un dibattito complesso che ci porti – come sta avvenendo in molti Paesi – a trovare soluzioni che garantiscano il pieno rispetto della vita ed il pieno rispetto delle scelte di chi soffre.
Cambiamo argomento. Vista l’instabilità della maggioranza al Senato, costantemente in bilico con uno scarso margine di seggi di vantaggio, è quasi unanime il parere circa la necessità di riformare la legge elettorale vigente. Le opinioni si fanno contrastanti quando si tratta poi di delineare un modello. Immagino che anche lei avrà una proposta. Quale?
Personalmente ritengo che la riforma elettorale sia necessaria per una serie di ragioni. È vero, il risultato elettorale al Senato ha comportato una situazione complessa. Credo però che le ragioni della riforma risiedano nella necessità di dare rispondenza ad una questione prioritaria: garantire alla coalizione che vince le elezioni, anche se con margini risicati, la possibilità di governare sulla base di un programma condiviso dalla coalizione e votato dagli elettori che hanno anche indicato chi dovrà assicurare la guida del paese, della coalizione e l’attuazione del programma, cioè il Presidente del Consiglio. Il sistema bicamerale perfetto rende più lunghi i tempi della politica. Una riforma costituzionale in grado di dare visibilità istituzionale alle Regioni, trasformando il Senato in una sorta di house of review, in grado di indicare modifiche, miglioramenti ed anche di respingere provvedimenti, sulla base di considerazioni territoriali e regionali. Un sistema elettorale proporzionale per il Senato ed un sistema maggioritario per la Camera dei Deputati, dove si forma la maggioranza che sostiene il Governo.
Nel frattempo, un comitato bipartisan sta raccogliendo le firme per indire un referendum allo scopo di instaurare un sistema maggioritario orientato al bipartitismo. Al contrario, molte forze politiche credono che occorra partorire la riforma trovando un ampio accordo in Parlamento, magari attorno a un sistema proporzionale, con premio di maggioranza alla coalizione vincente e voto di preferenza sui candidati. Lei che strada preferisce?
La storia ci dimostra che, nonostante i tanti referendum di natura elettorale, abbiamo fatto passi indietro nelle leggi elettorali adottate, soprattutto in questa ultima, voluta e votata dal centro-destra, ed ora da tutti abbandonata. Se la storia ci insegna qualcosa, varrebbe la pena non creare ancora confusione tra i cittadini chiamandoli ad esprimersi rispetto ad una serie di quesiti per i quali – tutti – conosciamo già la risposta. Sarebbe utile lavorare, davvero in modo convinto e generoso, per fare una riforma condivisa dalla maggioranza delle forze politiche ed in linea con i principi generali che sono stati affermati da referendum precedenti. In ogni caso orientando l’azione verso il bisogno di chiarezza per i cittadini. Un sistema elettorale semplice, ma efficace e chiaro. Credo che l’operazione trasparenza debba partire proprio dai partiti: primarie per le candidature, liste di coalizione sempre e dovunque con una forte presenza di donne e giovani, condivisione piena dei programmi, scelta del candidato premier. Il sistema elettorale deve riflettere questi aspetti.
Dalle ultime elezioni votano anche gli italiani all’estero, però con un sistema diverso da quello adottato per i residenti nel territorio nazionale. Anche per il loro voto vanno cambiate le regole?
Per gli italiani all’estero sono convinto che sia necessario modificare il regolamento della 459/2001 ed apportare alcuni cambiamenti ai meccanismi elettorali. Innanzitutto occorrerebbe maggiore attenzione all’individuazione dell’elettore, il quale potrebbe firmare un tagliando con codice a barre riportato sull’esterno del plico, poi staccato per le verifiche sull’iscrizione ai ruoli elettorali. Lo scrutinio potrebbe avvenire in quattro località, una per ogni ripartizione elettorale della circoscrizione estero. Si possono poi introdurre alcuni altri ritocchi alla legge, ove necessario, per consentire una migliore tempistica. In ogni caso, potremmo pensare a modifiche più complesse: dall’elenco degli elettori con iscrizione volontaria, fino al sistema di voto per corrispondenza, passando per l’estensione del diritto in loco del voto a chiunque si trovi temporaneamente all’estero. Dovremmo però essere consapevoli che occorre, in questo caso, raggiungere intese ampie e partire con una discussione molto più serrata.
In quale piazza di Roma si trovava sabato 12 maggio? Era al Family Day organizzato dalle organizzazioni cattoliche o alla manifestazione dell’Orgoglio laico?
Ero tra San Giovanni e Piazza Navona, ma non per indecisione bensì per scelta. Ho pensato subito che, se è vero che le famiglie non sono contro le unioni di fatto ed i laici non sono contro le famiglie – cosa di cui sono convinto anch’io – la manifestazione avrebbero dovuto organizzarla insieme. Oppure ad un certo punto si sarebbero potuti incontrare a metà strada, magari a Piazza Venezia. Invece no! Non solo non c’è stato incontro, ma lo scontro a distanza di piazza – tra le personalità che hanno monopolizzato la rappresentanza ed anche i temi delle due manifestazioni – ha avuto la meglio anche sulle ragioni “vere” delle due manifestazioni. Hanno avuto il sopravvento le nuove ideologie. L’ideologia della paura: tutto è in caduta libera, quindi dobbiamo saldamente agganciarsi a tutto ciò che di sano e solido è nelle nostre società.
E allora, aldilà delle ideologie, come stanno veramente le cose?
Il problema è che sono oggi le persone a non avere solidi momenti sociali, oltre alla famiglia. La precarietà del lavoro, le difficoltà di bilancio, le preoccupazioni per i figli. Dobbiamo ripartire dalle persone per costruire famiglie solide. Una famiglia forte e solida, come una società forte e solida, dovrebbe valutare positivamente il riconoscimento di diritti e doveri a chi scegli liberamente, e senza causare danno ad altri, la convivenza. Non il matrimonio, ma la convivenza!
Quindi lei è un fautore dei Di. Co., il disegno di legge del governo volto al riconoscimento giuridico di alcuni diritti e doveri delle persone conviventi, ritenuto dalla Chiesa un attacco alla famiglia tradizionale e invece da molti laici una minima conquista di civiltà?
Voglio fare una premessa. Sono spaventato all’idea che in Italia ci possa essere qualcuno che pensa che rafforzare la sfera dei diritti individuali possa indebolire quelli collettivi. E mi turba anche il fatto che in Italia sia sempre necessario ricordare che lo Stato è laico. E invece qualcuno, ogni giorno, con la propria azione, con le cose che vengono dette e fatte, soprattutto all’interno del mondo politico, necessita a questa ovvia considerazione di tornare a galla.
Si spieghi meglio.
Il centro-destra sta strumentalizzando tutta la discussione in un modo scandaloso. La risposta del centro-sinistra deve essere aperta al dialogo, ma al tempo stesso impegnata a far approvare il progetto di legge sui Di.Co. che ritengo base indispensabile per continuare sulla strada dell’estensione delle tutele.
Restiamo nel campo della “lotta” sui valori e sui diritti. Recentemente l’Italia è stata profondamente scossa dalla vicenda di Piergiorgio Welby, un malato di una gravissima forma di distrofia muscolare che, dopo una lunga battaglia mediatica, ha infine ottenuto da un medico l’interruzione delle cure che lo mantenevano in vita. Il caso Welby ha riaperto il dibattito sui temi dell’eutanasia e del testamento biologico. Qual è la sua posizione?
Le storie umane di persone che soffrono e che desiderano porre fine alla propria esistenza debbono sempre scuotere le nostre coscienze. La vicenda politica italiana è stata costruita sulla logica del “ritardo”, del “rinvio” e della distanza frapposta tra la politica ed i temi che implicano scelte etiche e morali. Non è stato un bene per il Paese. Sono convinto che il ruolo della politica è assicurare che i cittadini vengano sempre tutelati nelle loro scelte, che le scelte siano supportate da servizi, che i servizi siano regolati da leggi. È necessario quindi che la politica non rimanga passiva davanti al dramma di chi – già oggi, in molteplici forme – chiede l’eutanasia passiva volontaria o quella assistita.
E in senso pratico come si traduce?
La risposta della politica, è vero, da sola, non è sufficiente. Lo Stato deve garantire che tutti vengano ascoltati rispetto alle questioni morali ed etiche che l’eutanasia ed il testamento biologico pongono all’attenzione della società. Ascoltare, per poi liberamente scegliere, ed avere lo Stato che rispetta la scelta del libero cittadino e fornisce gli strumenti per “facilitarla”, quando questa scelta non pone a rischio i diritti di altri o ne indebolisce i doveri. Non basta avere un sistema che a volte “chiude un occhio” sulle responsabilità mediche o sulle singole responsabilità dei cittadini, quando questi praticano forme di “morte assistita”. La politica deve avere il coraggio di affrontare un dibattito complesso che ci porti – come sta avvenendo in molti Paesi – a trovare soluzioni che garantiscano il pieno rispetto della vita ed il pieno rispetto delle scelte di chi soffre.
Cambiamo argomento. Vista l’instabilità della maggioranza al Senato, costantemente in bilico con uno scarso margine di seggi di vantaggio, è quasi unanime il parere circa la necessità di riformare la legge elettorale vigente. Le opinioni si fanno contrastanti quando si tratta poi di delineare un modello. Immagino che anche lei avrà una proposta. Quale?
Personalmente ritengo che la riforma elettorale sia necessaria per una serie di ragioni. È vero, il risultato elettorale al Senato ha comportato una situazione complessa. Credo però che le ragioni della riforma risiedano nella necessità di dare rispondenza ad una questione prioritaria: garantire alla coalizione che vince le elezioni, anche se con margini risicati, la possibilità di governare sulla base di un programma condiviso dalla coalizione e votato dagli elettori che hanno anche indicato chi dovrà assicurare la guida del paese, della coalizione e l’attuazione del programma, cioè il Presidente del Consiglio. Il sistema bicamerale perfetto rende più lunghi i tempi della politica. Una riforma costituzionale in grado di dare visibilità istituzionale alle Regioni, trasformando il Senato in una sorta di house of review, in grado di indicare modifiche, miglioramenti ed anche di respingere provvedimenti, sulla base di considerazioni territoriali e regionali. Un sistema elettorale proporzionale per il Senato ed un sistema maggioritario per la Camera dei Deputati, dove si forma la maggioranza che sostiene il Governo.
Nel frattempo, un comitato bipartisan sta raccogliendo le firme per indire un referendum allo scopo di instaurare un sistema maggioritario orientato al bipartitismo. Al contrario, molte forze politiche credono che occorra partorire la riforma trovando un ampio accordo in Parlamento, magari attorno a un sistema proporzionale, con premio di maggioranza alla coalizione vincente e voto di preferenza sui candidati. Lei che strada preferisce?
La storia ci dimostra che, nonostante i tanti referendum di natura elettorale, abbiamo fatto passi indietro nelle leggi elettorali adottate, soprattutto in questa ultima, voluta e votata dal centro-destra, ed ora da tutti abbandonata. Se la storia ci insegna qualcosa, varrebbe la pena non creare ancora confusione tra i cittadini chiamandoli ad esprimersi rispetto ad una serie di quesiti per i quali – tutti – conosciamo già la risposta. Sarebbe utile lavorare, davvero in modo convinto e generoso, per fare una riforma condivisa dalla maggioranza delle forze politiche ed in linea con i principi generali che sono stati affermati da referendum precedenti. In ogni caso orientando l’azione verso il bisogno di chiarezza per i cittadini. Un sistema elettorale semplice, ma efficace e chiaro. Credo che l’operazione trasparenza debba partire proprio dai partiti: primarie per le candidature, liste di coalizione sempre e dovunque con una forte presenza di donne e giovani, condivisione piena dei programmi, scelta del candidato premier. Il sistema elettorale deve riflettere questi aspetti.
Dalle ultime elezioni votano anche gli italiani all’estero, però con un sistema diverso da quello adottato per i residenti nel territorio nazionale. Anche per il loro voto vanno cambiate le regole?
Per gli italiani all’estero sono convinto che sia necessario modificare il regolamento della 459/2001 ed apportare alcuni cambiamenti ai meccanismi elettorali. Innanzitutto occorrerebbe maggiore attenzione all’individuazione dell’elettore, il quale potrebbe firmare un tagliando con codice a barre riportato sull’esterno del plico, poi staccato per le verifiche sull’iscrizione ai ruoli elettorali. Lo scrutinio potrebbe avvenire in quattro località, una per ogni ripartizione elettorale della circoscrizione estero. Si possono poi introdurre alcuni altri ritocchi alla legge, ove necessario, per consentire una migliore tempistica. In ogni caso, potremmo pensare a modifiche più complesse: dall’elenco degli elettori con iscrizione volontaria, fino al sistema di voto per corrispondenza, passando per l’estensione del diritto in loco del voto a chiunque si trovi temporaneamente all’estero. Dovremmo però essere consapevoli che occorre, in questo caso, raggiungere intese ampie e partire con una discussione molto più serrata.
14 maggio 2007
Lorenzo Rossi
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Il CGIE che ho in mente: con meno Governo e più autonomie locali. E poi, largo ai giovani
“Riforme, innovazione, capacità di collegamento e di fare sistema”. C’è il rilancio del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero al centro dell’intervento dell’On. Marco Fedi, deputato dell’Ulivo eletto nella circoscrizione estero, intervistato da Lorenzo Rossi durante l’assemblea plenaria el CGIE dell’8 maggio 2007. Fedi ha ribadito innanzitutto che il Consiglio stesso “è uno strumento indispensabile di collegamento con le comunità italiane nel mondo, di conoscenza ed approfondimento di un patrimonio di umanità e civiltà che la nostra penisola ha nel mondo”. La rappresentanza parlamentare per gli italiani all’estero (12 deputati e 6 senatori) – ha continuato - da sola non basta ad assolvere ogni compito, pur essendo un momento importante: occorrono, alle sue spalle, “l’approfondimento, l’analisi, la competenza, la voglia di scegliere e di fare” e una classe dirigente adeguata. Fondamentale è il ruolo del CGIE, che va potenziato. Altrimenti – avverte il deputato dell’Ulivo - “il rischio è quello di lasciare dietro di noi solo macerie. Per questa ragione è opportuno che questo CGIE trovi subito, al proprio interno, le ragioni di un lavoro comune, ristabilendo un giusto equilibrio politico. E trovi le ragioni, prima che la direzione, di una necessaria riforma.”
Fedi ha invitato a non scindere in compartimenti stagni l’emigrazione tradizionale dai nuovi movimenti di giovani, ricercatori, scienziati, “come se questi non fossero aspetti della stessa dimensione”. Sarebbe un errore imperdonabile – spiega – proprio perché i figli degli immigrati italiani nati all’estero e i nostri connazionali che oggi si spostano per la prima volta nel mondo trovano un atteggiamento diverso nei loro confronti “grazie ai sacrifici dell’emigrazione, alle radici culturali di tante donne e uomini che hanno costruito il loro futuro in un nuovo Paese, che hanno costruito opportunità per l’Italia”. Il monito lanciato dal deputato diessino è di evitare di “commettere in patria gli stessi errori che hanno allontanato ed ostacolato il processo d’integrazione delle nostre comunità nel mondo: chiusura al nuovo, alle altre identità, alla costruzione di una realtà multiculturale, allontanando il diritto alla partecipazione e alla cittadinanza, scommettendo sul senso di paura, sulle preoccupazioni, evocando tutto ciò che di negativo è possibile evocare”. Perciò, riguardo agli immigrati presenti oggi in Italia, Fedi ha sostenuto che “chi vive in questo grande Paese ed in questa grande Europa – ed ha un regolare permesso di soggiorno – ci raggiunge con lo stesso spirito, con gli stessi sogni e le stesse aspirazioni che avevamo noi quando, in diverse epoche, abbiamo lasciato l’Italia. Vuole quindi apprendere l’Italiano – non è saggio metterlo in dubbio – ed è anche utile che mantenga un legame culturale con la propria terra di origine; vuole partecipare alla vita politica, sociale e culturale; vuole poter diventare un cittadino italiano ed europeo in tempi ragionevoli”. Proprio per questo è imprescindibile “un’ampia e serena discussione” sul tema della cittadinanza, tendendo tuttavia conto “dell’urgenza di intervenire a fronte dei cambiamenti che stanno avvenendo nella società italiana: affiancando al principio dello jus sanguinis quello dello jus soli – ha sottolineato - diamo una risposta normativa ad una direttiva comunitaria ma anche ad un principio di civiltà. Riapriamo i termini per il riacquisto della cittadinanza, saniamo tante situazioni di vera e propria disparità e di ingiustizia, consolidiamo anche il principio rendendolo applicabile non oltre una specifica fascia cronologica”.
Tornando sulla riforma del CGIE, che deve essere “profonda”, Fedi ha lanciato una serie di proposte concrete. In primo luogo essa va legata al rapporto con le autonomie locali, “senza rinunciare alla Conferenza permanente Stato-Regioni-PA-CGIE, ma trasformando questa nel Consiglio”. Occorre inoltre creare “uno spazio alla rappresentanza diretta delle nuove generazioni. Aumentare il numero di componenti eletti, eliminare una rappresentanza Governativa che non ha ragione di essere, ridurre il numero di plenarie dando spazio alle Continentali che devono avere forme di collegamento con i Comites e con le rappresentanze regionali”. Quanto alla Conferenza dei giovani italiani all’estero, essa può essere “un momento per costruire una presenza organizzata e collegata alla riforma del Cgie”.
Non è mancato quindi un accenno alla riforma elettorale, tema al centro del dibattito politico attuale. “Credo – ha spiegato Fedi – che debba attivarsi un tavolo di concertazione tra maggioranza ed opposizione per arrivare, se possibile, ad una proposta seria, condivisa. È mia opinione che la 459/2001 possa essere modifica mantenendo saldi alcuni principi: il voto per corrispondenza (alcune importanti soluzioni tecniche potrebbero renderlo maggiormente rispondente ai criteri di segretezza e personalità), l’anagrafe volontaria oppure una seria operazione di sistemazione, le operazioni di scrutinio”.
Fedi ha concluso il suo intervento rivolgendosi poi sia ai membri del CGIE vicini alla maggioranza dell’Unione, che a quelli legati all’opposizione. Ha invitato questi ultimi ad avanzare le loro valutazioni “a bocce ferme e non mentre la partita è in gioco”. Quindi ha spronato la maggioranza di governo. “Non possiamo rischiare di disperdere questa ricchezza – ha detto - e non è vero che abbiamo superato la fase storica dell’emigrazione: possiamo trasformarla, far nascere nuove forme di collegamento e rapporto con l’Italia. Ma alcune riforme fondamentali vanno fatte, ora, in questa legislatura, insieme, con il contributo costruttivo dell’opposizione”. “La classe dirigente di questo Paese – ha concluso – non può sottrarsi a questo compito e non può deludere le comunità italiane nel mondo”.
Fedi ha invitato a non scindere in compartimenti stagni l’emigrazione tradizionale dai nuovi movimenti di giovani, ricercatori, scienziati, “come se questi non fossero aspetti della stessa dimensione”. Sarebbe un errore imperdonabile – spiega – proprio perché i figli degli immigrati italiani nati all’estero e i nostri connazionali che oggi si spostano per la prima volta nel mondo trovano un atteggiamento diverso nei loro confronti “grazie ai sacrifici dell’emigrazione, alle radici culturali di tante donne e uomini che hanno costruito il loro futuro in un nuovo Paese, che hanno costruito opportunità per l’Italia”. Il monito lanciato dal deputato diessino è di evitare di “commettere in patria gli stessi errori che hanno allontanato ed ostacolato il processo d’integrazione delle nostre comunità nel mondo: chiusura al nuovo, alle altre identità, alla costruzione di una realtà multiculturale, allontanando il diritto alla partecipazione e alla cittadinanza, scommettendo sul senso di paura, sulle preoccupazioni, evocando tutto ciò che di negativo è possibile evocare”. Perciò, riguardo agli immigrati presenti oggi in Italia, Fedi ha sostenuto che “chi vive in questo grande Paese ed in questa grande Europa – ed ha un regolare permesso di soggiorno – ci raggiunge con lo stesso spirito, con gli stessi sogni e le stesse aspirazioni che avevamo noi quando, in diverse epoche, abbiamo lasciato l’Italia. Vuole quindi apprendere l’Italiano – non è saggio metterlo in dubbio – ed è anche utile che mantenga un legame culturale con la propria terra di origine; vuole partecipare alla vita politica, sociale e culturale; vuole poter diventare un cittadino italiano ed europeo in tempi ragionevoli”. Proprio per questo è imprescindibile “un’ampia e serena discussione” sul tema della cittadinanza, tendendo tuttavia conto “dell’urgenza di intervenire a fronte dei cambiamenti che stanno avvenendo nella società italiana: affiancando al principio dello jus sanguinis quello dello jus soli – ha sottolineato - diamo una risposta normativa ad una direttiva comunitaria ma anche ad un principio di civiltà. Riapriamo i termini per il riacquisto della cittadinanza, saniamo tante situazioni di vera e propria disparità e di ingiustizia, consolidiamo anche il principio rendendolo applicabile non oltre una specifica fascia cronologica”.
Tornando sulla riforma del CGIE, che deve essere “profonda”, Fedi ha lanciato una serie di proposte concrete. In primo luogo essa va legata al rapporto con le autonomie locali, “senza rinunciare alla Conferenza permanente Stato-Regioni-PA-CGIE, ma trasformando questa nel Consiglio”. Occorre inoltre creare “uno spazio alla rappresentanza diretta delle nuove generazioni. Aumentare il numero di componenti eletti, eliminare una rappresentanza Governativa che non ha ragione di essere, ridurre il numero di plenarie dando spazio alle Continentali che devono avere forme di collegamento con i Comites e con le rappresentanze regionali”. Quanto alla Conferenza dei giovani italiani all’estero, essa può essere “un momento per costruire una presenza organizzata e collegata alla riforma del Cgie”.
Non è mancato quindi un accenno alla riforma elettorale, tema al centro del dibattito politico attuale. “Credo – ha spiegato Fedi – che debba attivarsi un tavolo di concertazione tra maggioranza ed opposizione per arrivare, se possibile, ad una proposta seria, condivisa. È mia opinione che la 459/2001 possa essere modifica mantenendo saldi alcuni principi: il voto per corrispondenza (alcune importanti soluzioni tecniche potrebbero renderlo maggiormente rispondente ai criteri di segretezza e personalità), l’anagrafe volontaria oppure una seria operazione di sistemazione, le operazioni di scrutinio”.
Fedi ha concluso il suo intervento rivolgendosi poi sia ai membri del CGIE vicini alla maggioranza dell’Unione, che a quelli legati all’opposizione. Ha invitato questi ultimi ad avanzare le loro valutazioni “a bocce ferme e non mentre la partita è in gioco”. Quindi ha spronato la maggioranza di governo. “Non possiamo rischiare di disperdere questa ricchezza – ha detto - e non è vero che abbiamo superato la fase storica dell’emigrazione: possiamo trasformarla, far nascere nuove forme di collegamento e rapporto con l’Italia. Ma alcune riforme fondamentali vanno fatte, ora, in questa legislatura, insieme, con il contributo costruttivo dell’opposizione”. “La classe dirigente di questo Paese – ha concluso – non può sottrarsi a questo compito e non può deludere le comunità italiane nel mondo”.
9 maggio 2007
L'Unità di Consulenza per la Sicurezza Sociale per gli italiani all'estero va ricostuita subito
«Occorre un urgente e concreto intervento del Ministero degli Esteri per ricostituire l’Unità di Consulenza per la Sicurezza Sociale per gli Italiani all’Estero. Solo così si potranno tutelare al meglio interessi e diritti dei nostri connazionali e riqualificare la politica estera italiana in materia di sicurezza sociale».
È questo l’auspicio dell’on. Marco Fedi, firmatario insieme all’on. Gino Bucchino (entrambi deputati dell’Ulivo eletti nella circoscrizioni estere) di un’interrogazione al Ministero degli Affari Esteri nella quale si chiedeva il ripristino dell’Unità di Consulenza presso la Direzione Generale per gli Italiani all’Estero.
Nel 2000, infatti, l’Unità era stata soppressa, facendo venir meno il raccordo ed il coordinamento delle iniziative da parte del Ministero per l’avvio dei negoziati per la stipula ed il rinnovo delle convenzioni bilaterali e multilaterali di sicurezza sociale. Ciò ha provocato un grave nocumento ai diritti socio-previdenziali dei soggetti interessati – pensionati e lavoratori italiani emigrati – e agli interessi politici dell’Italia che si è dimostrata inadempiente con i Paesi che avevano già firmato ed approvato tali accordi (Cile, Canada, Marocco, Filippine, Brasile, tanto per citarne alcuni).
Nella sua risposta, il Vice Ministro degli Esteri Franco Danieli ha concordato sull’assoluta necessità di ripristinare all’interno della DGIEPM una struttura che coordini l’attività del Ministero in materia di sicurezza sociale in regime internazionale. Danieli sostiene tuttavia che l’Unità non è stata definitivamente soppressa ma si è in attesa che venga assegnata una nuova unità di personale in posizione di comando dal Ministero del Lavoro.
«In realtà l’obiettivo, oramai impellente, da perseguire – continua l’on. Fedi - non è quello di distaccare personale dal Ministero del Lavoro al Ministero degli Esteri, ma è quello di ricostituire o costituire ex novo un ufficio strutturato che riprenda le funzioni dell’Unità di Consulenza per la Sicurezza Sociale. Esso – conclude il parlamentare dell’Ulivo - deve avere le risorse ed il personale adeguati (un coordinatore esperto, un tecnico dell’Inps e un funzionario del Ministero del Lavoro) per svolgere il proprio ruolo».
È questo l’auspicio dell’on. Marco Fedi, firmatario insieme all’on. Gino Bucchino (entrambi deputati dell’Ulivo eletti nella circoscrizioni estere) di un’interrogazione al Ministero degli Affari Esteri nella quale si chiedeva il ripristino dell’Unità di Consulenza presso la Direzione Generale per gli Italiani all’Estero.
Nel 2000, infatti, l’Unità era stata soppressa, facendo venir meno il raccordo ed il coordinamento delle iniziative da parte del Ministero per l’avvio dei negoziati per la stipula ed il rinnovo delle convenzioni bilaterali e multilaterali di sicurezza sociale. Ciò ha provocato un grave nocumento ai diritti socio-previdenziali dei soggetti interessati – pensionati e lavoratori italiani emigrati – e agli interessi politici dell’Italia che si è dimostrata inadempiente con i Paesi che avevano già firmato ed approvato tali accordi (Cile, Canada, Marocco, Filippine, Brasile, tanto per citarne alcuni).
Nella sua risposta, il Vice Ministro degli Esteri Franco Danieli ha concordato sull’assoluta necessità di ripristinare all’interno della DGIEPM una struttura che coordini l’attività del Ministero in materia di sicurezza sociale in regime internazionale. Danieli sostiene tuttavia che l’Unità non è stata definitivamente soppressa ma si è in attesa che venga assegnata una nuova unità di personale in posizione di comando dal Ministero del Lavoro.
«In realtà l’obiettivo, oramai impellente, da perseguire – continua l’on. Fedi - non è quello di distaccare personale dal Ministero del Lavoro al Ministero degli Esteri, ma è quello di ricostituire o costituire ex novo un ufficio strutturato che riprenda le funzioni dell’Unità di Consulenza per la Sicurezza Sociale. Esso – conclude il parlamentare dell’Ulivo - deve avere le risorse ed il personale adeguati (un coordinatore esperto, un tecnico dell’Inps e un funzionario del Ministero del Lavoro) per svolgere il proprio ruolo».
3 maggio 2007
I protocolli di intesa per lo scambio di assistenti di lingua vanno estesi anche ai Paesi extra Ue
“E’ auspicabile che i protocolli d’intesa per lo scambio di assistenti di lingua vengano estesi dall’Italia anche ai paesi extraeuropei e, in particolare, sono in favore di un’iniziativa in tal senso con l’Australia”. Questo il commento dell’on. Marco Fedi alla risposta ricevuta dal Ministero della Pubblica Istruzione riguardo all’interrogazione n. 4-02517 presentata l’8 febbraio 2007 allo stesso Ministero e al dicastero degli Affari Esteri, e riguardante le graduatorie per l’assegnazione delle supplenze su posti di assistente di lingua italiana all’estero nelle scuole di ogni ordine e grado, con esclusione dei Paesi extra Unione Europea.
I deputati Marco Fedi, Mariza Bafile, Franco Narducci e Gino Bucchino ritenevano lesivo degli interessi nazionali, ai fini della diffusione di lingua e cultura italiane in tutto il mondo, ed in particolare in quei paesi dove è forte la presenza di comunità italiane, l’esclusione dei Paesi extra-UE dalle graduatorie. Nell’interrogazione si chiedeva quali misure si intendessero adottare per un opportuno riconoscimento, in termini di punteggio ai fini della graduatoria, del periodo passato all'estero come insegnante o supporto all'insegnamento della lingua italiana, e quali riguardo all’estensione di tale possibilità anche ai programmi e progetti in corso in Paesi extra-UE.
Nella sua risposta il Ministero della Pubblica Istruzione fa presente che il servizio di assistente di lingua presso scuole di Paesi comunitari ed esteri «è valutabile nelle graduatorie di reclutamento del personale docente costituito presso ciascun istituto secondo la tabella di valutazione annessa al relativo Regolamento». Riguardo allo scambio di assistenti di lingua, che, in base agli attuali accordi bilaterali, avviene con sette Paesi della Ue, il Ministero della Pubblica Istruzione specifica che «il numero di assistenti di lingua, annualmente ospitati in Italia, è subordinato alla disponibilità finanziaria dell’apposito capitolo di bilancio» che Fedi si augura “possa ricevere un aumento della dotazione di bilancio”. A causa di questo limite, infatti, il numero degli assistenti di lingua che accedono agli scambi risulta essere «ampliamente inferiore alle richieste che pervengono dalle scuole italiane». Nonostante ciò il Ministero informa di essere «orientato ad ampliare il numero di Paesi con i quali scambiare assistenti di lingua e, in particolare, con quelli di lingua inglese e spagnola». Al fine di realizzare questo obiettivo il dicastero guidato da Ministro Fioroni ha già proposto al Ministero degli Affari Esteri, «in occasione del rinnovo di alcuni protocolli esecutivi con Paesi extraeuropei, l’inserimento ex novo dello scambio di assistenti di lingua».
Fedi ha espresso apprezzamento “per l’impegno che la Farnesina sta compiendo nella direzione di un ampliamento degli scambi e delle convenzioni”, aggiungendo che “continueremo a seguire questa materia perché la riteniamo molto importante, un occasione da cogliere sia per l’Italia che per i Paesi extraeuropei”.
I deputati Marco Fedi, Mariza Bafile, Franco Narducci e Gino Bucchino ritenevano lesivo degli interessi nazionali, ai fini della diffusione di lingua e cultura italiane in tutto il mondo, ed in particolare in quei paesi dove è forte la presenza di comunità italiane, l’esclusione dei Paesi extra-UE dalle graduatorie. Nell’interrogazione si chiedeva quali misure si intendessero adottare per un opportuno riconoscimento, in termini di punteggio ai fini della graduatoria, del periodo passato all'estero come insegnante o supporto all'insegnamento della lingua italiana, e quali riguardo all’estensione di tale possibilità anche ai programmi e progetti in corso in Paesi extra-UE.
Nella sua risposta il Ministero della Pubblica Istruzione fa presente che il servizio di assistente di lingua presso scuole di Paesi comunitari ed esteri «è valutabile nelle graduatorie di reclutamento del personale docente costituito presso ciascun istituto secondo la tabella di valutazione annessa al relativo Regolamento». Riguardo allo scambio di assistenti di lingua, che, in base agli attuali accordi bilaterali, avviene con sette Paesi della Ue, il Ministero della Pubblica Istruzione specifica che «il numero di assistenti di lingua, annualmente ospitati in Italia, è subordinato alla disponibilità finanziaria dell’apposito capitolo di bilancio» che Fedi si augura “possa ricevere un aumento della dotazione di bilancio”. A causa di questo limite, infatti, il numero degli assistenti di lingua che accedono agli scambi risulta essere «ampliamente inferiore alle richieste che pervengono dalle scuole italiane». Nonostante ciò il Ministero informa di essere «orientato ad ampliare il numero di Paesi con i quali scambiare assistenti di lingua e, in particolare, con quelli di lingua inglese e spagnola». Al fine di realizzare questo obiettivo il dicastero guidato da Ministro Fioroni ha già proposto al Ministero degli Affari Esteri, «in occasione del rinnovo di alcuni protocolli esecutivi con Paesi extraeuropei, l’inserimento ex novo dello scambio di assistenti di lingua».
Fedi ha espresso apprezzamento “per l’impegno che la Farnesina sta compiendo nella direzione di un ampliamento degli scambi e delle convenzioni”, aggiungendo che “continueremo a seguire questa materia perché la riteniamo molto importante, un occasione da cogliere sia per l’Italia che per i Paesi extraeuropei”.
26 aprile 2007
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I cittadini italiani all'estero vanno tutelati contro la doppia imposizione fiscale
«È indispensabile armonizzare tutto il settore delle Convenzioni bilaterali contro la doppia imposizione fiscale e rendere le Convenzioni stesse rispondenti ai criteri OCSE».
Questo il parere dell’on. Marco Fedi in seguito alla risposta del Ministro del Lavoro Cesare Damiano all’interrogazione n.4-01856 presentata al Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale e al Ministro dell’Economia e delle Finanze. L’interrogazione, relativa al problema delle doppie imposizioni fiscali per i pensionati italiani residenti all’estero, era stata presentata in data 5/12/2006 dai deputati dell’Ulivo eletti nelle circoscrizioni estere Marco Fedi, Gino Bucchino, Gianni Farina e Franco Narducci.
I deputati avevano chiesto che i pensionati residenti all'estero fossero informati adeguatamente in merito ai loro diritti e doveri fiscali e alle procedure previste dalla normativa nazionale e/o dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali. In particolare, i pensionati avrebbero dovuto essere informati circa l’obbligatorietà, pena la doppia imposizione fiscale, di compilare gli specifici formulari per la detassazione delle pensioni, per l'eventuale credito di imposta da richiedere ad uno dei Paesi contraenti e/o per il rimborso di tasse impropriamente pagate. Inoltre, nell’interrogazione si chiedeva che le Convenzioni fossero applicate in maniera propria ed uniforme da parte degli Enti previdenziali italiani, in modo da evitare imposizioni illegittime, da più pensionati segnalate, sia sulle pensioni che, come spesso succede, sugli arretrati di pensione, e che le previsioni di tali Convenzioni relative alla tassazione delle pensioni vengano uniformate sulla base del modello OCSE, in modo tale da omogeneizzare e facilitare l'applicazione delle stesse. Infine, si aggiungeva la richiesta che i cittadini italiani residenti all'estero fossero messi a parte in merito alle implicazioni fiscali che l'eliminazione della «no tax area» ed il passaggio dalla deduzioni alla detrazioni d'imposta avrebbero avuto sui loro rapporti fiscali con lo Stato italiano.
Il Ministro del Lavoro Cesare Damiano ha risposto spiegando che l’INPS, agendo in qualità di sostituto di imposta, aveva inizialmente disposto il blocco della «no tax area» a decorrere dal 1/1/2006 secondo quanto previsto dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006, e da ritenersi efficace a partire dall’inizio del 2006, in base alla circolare dell’Agenzia delle Entrare n. 28/E del 4 agosto 2006. Successivamente l’Istituto, con la rata di pagamento di dicembre 2006, ha ripristinato la «no tax area» ed il rimborso di quanto trattenuto a novembre. L’INPS ha quindi precisato che verranno effettuate verifiche di competenza presso quelle Sedi periferiche che hanno tassato alla fonte le pensioni anche in presenza di richiesta di detassazione. Riguardo alla chiarezza sulle procedure per evitare la doppia imposizione fiscale, il Ministro Damiano ha aggiunto che l’INPS si attiene alle disposizioni impartite dall’Agenzia delle Entrate, alla quale è demandato il compito relativo all’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni. Infine, nella risposta all’interrogazione viene ricordato che l’Istituto ha avviato già nel 2002 una campagna informativa sul tema diretta a Consolati e Patronati, pensionati, Cepa e Ministero degli Affari Esteri.
L’on. Marco Fedi, primo firmatario dell’interrogazione, rilancia l’iniziativa sul tema: «Discuteremo con il Ministro dell’Economia e delle Finanze sull’opportunità di organizzare un momento di riflessione su tutti questi importanti aspetti». «Del resto - continua - le recenti polemiche sulle modalità dei sistemi di pagamento delle pensioni INPS all’estero mostrano quanto sia importante l’informazione. Pertanto, anche sulle Convenzioni bilaterali in materia fiscale – conclude Fedi – occorre avviare un piano di informazione e comunicazione per le comunità italiane all’estero».
Questo il parere dell’on. Marco Fedi in seguito alla risposta del Ministro del Lavoro Cesare Damiano all’interrogazione n.4-01856 presentata al Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale e al Ministro dell’Economia e delle Finanze. L’interrogazione, relativa al problema delle doppie imposizioni fiscali per i pensionati italiani residenti all’estero, era stata presentata in data 5/12/2006 dai deputati dell’Ulivo eletti nelle circoscrizioni estere Marco Fedi, Gino Bucchino, Gianni Farina e Franco Narducci.
I deputati avevano chiesto che i pensionati residenti all'estero fossero informati adeguatamente in merito ai loro diritti e doveri fiscali e alle procedure previste dalla normativa nazionale e/o dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali. In particolare, i pensionati avrebbero dovuto essere informati circa l’obbligatorietà, pena la doppia imposizione fiscale, di compilare gli specifici formulari per la detassazione delle pensioni, per l'eventuale credito di imposta da richiedere ad uno dei Paesi contraenti e/o per il rimborso di tasse impropriamente pagate. Inoltre, nell’interrogazione si chiedeva che le Convenzioni fossero applicate in maniera propria ed uniforme da parte degli Enti previdenziali italiani, in modo da evitare imposizioni illegittime, da più pensionati segnalate, sia sulle pensioni che, come spesso succede, sugli arretrati di pensione, e che le previsioni di tali Convenzioni relative alla tassazione delle pensioni vengano uniformate sulla base del modello OCSE, in modo tale da omogeneizzare e facilitare l'applicazione delle stesse. Infine, si aggiungeva la richiesta che i cittadini italiani residenti all'estero fossero messi a parte in merito alle implicazioni fiscali che l'eliminazione della «no tax area» ed il passaggio dalla deduzioni alla detrazioni d'imposta avrebbero avuto sui loro rapporti fiscali con lo Stato italiano.
Il Ministro del Lavoro Cesare Damiano ha risposto spiegando che l’INPS, agendo in qualità di sostituto di imposta, aveva inizialmente disposto il blocco della «no tax area» a decorrere dal 1/1/2006 secondo quanto previsto dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006, e da ritenersi efficace a partire dall’inizio del 2006, in base alla circolare dell’Agenzia delle Entrare n. 28/E del 4 agosto 2006. Successivamente l’Istituto, con la rata di pagamento di dicembre 2006, ha ripristinato la «no tax area» ed il rimborso di quanto trattenuto a novembre. L’INPS ha quindi precisato che verranno effettuate verifiche di competenza presso quelle Sedi periferiche che hanno tassato alla fonte le pensioni anche in presenza di richiesta di detassazione. Riguardo alla chiarezza sulle procedure per evitare la doppia imposizione fiscale, il Ministro Damiano ha aggiunto che l’INPS si attiene alle disposizioni impartite dall’Agenzia delle Entrate, alla quale è demandato il compito relativo all’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni. Infine, nella risposta all’interrogazione viene ricordato che l’Istituto ha avviato già nel 2002 una campagna informativa sul tema diretta a Consolati e Patronati, pensionati, Cepa e Ministero degli Affari Esteri.
L’on. Marco Fedi, primo firmatario dell’interrogazione, rilancia l’iniziativa sul tema: «Discuteremo con il Ministro dell’Economia e delle Finanze sull’opportunità di organizzare un momento di riflessione su tutti questi importanti aspetti». «Del resto - continua - le recenti polemiche sulle modalità dei sistemi di pagamento delle pensioni INPS all’estero mostrano quanto sia importante l’informazione. Pertanto, anche sulle Convenzioni bilaterali in materia fiscale – conclude Fedi – occorre avviare un piano di informazione e comunicazione per le comunità italiane all’estero».
26 aprile 2007
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