Cittadinanza, riforma della 153/71, rete consolare, diritti sindacali, informazione. Queste le riforme che le comunità italiane all’estero attendono da troppo tempo. Per questo, è ora di accelerare i tempi. È quanto confermato da Marco Fedi, deputato dei Ds eletto in Australia, in questa intervista rilasciata a Frank Barbaro e pubblicata su Nuovo Paese, periodico da lui stesso diretto ad Adelaide.
Dopo un anno di attività parlamentare quali obiettivi sono stati raggiunti per gli italiani all’estero? In che misura, anche a proposito della riforma della 153/71, il Governo sta rispondendo alle attese delle comunità italiane all’estero e, soprattutto, sta rispondendo alle esigenze più generali del Paese?
Alla prima parte della domanda rispondo dicendo che abbiamo costruito alcuni percorsi di riforma, altri sono in costruzione. Cittadinanza, riforma della 153/71, rete consolare, diritti sindacali, informazione. Occorre accelerare i tempi. Ricordo che all’estero i nostri candidati hanno presentato delle proposte che non erano unicamente la conferma del programma politico che l’Unione presentava in Italia ma impegnavano il centrosinistra rispetto ad obiettivi da perseguire a favore delle comunità italiane nel mondo. Abbiamo svolto e stiamo svolgendo una coerente azione di sensibilizzazione per la ripresa delle iniziative bilaterali di tutela dei cittadini italiani nel mondo, di presentazione di richieste specifiche su aspetti nuovi come le detrazioni per carichi di famiglia o la certificazione sostitutiva al permesso di soggiorno breve, di monitoraggio degli effetti delle nuove normative e, contemporaneamente, di collegamento tra i grandi temi dell’umanità e la vita delle comunità italiane nel mondo ed il Parlamento italiano. Non mi sembra poco vista la limitatezza delle risorse di cui disponiamo. Sulla riforma della 153/71 il Governo ha fatto benissimo a promuovere un’ulteriore azione di approfondimento. La sostanza è che la promozione dell’insegnamento della lingua italiana nel mondo ha superato, nei fatti, i vincoli normativi ed è oggi uno strumento di arricchimento delle realtà culturali e sociali locali, di forte presenza della nostra lungua e della nostra cultura in quei Paesi – basti pensare all’Australia dove l’italiano è la lingua più diffusa dopo l’inglese, anche nelle scuole – ed è parte del sistema Italia all’estero, sia quando fa capo agli Istituti di Cultura che quando è affidata agli enti gestori. La riforma deve tener conto della molteplicità di realtà e soggetti, della necessità assoluta – che non può essere mascherata da false soluzioni – di superare l’assistenzialismo e puntare alla integrazione curriculare ed alla massima apertura e diffusione a livello scolastico ed universitario oltre che a moderni progetti di collegamento, formazione ed aggiornamento. Programmazione degli interventi in base ad un Piano Paese, sicurezza degli interventi e dei finanziamenti a fronte di una provata capacità tecnico-organizzativa degli enti. Le Direzioni Generali del Ministero degli Affari Esteri debbono armonizzare la propria azione e, ad esempio, la formazione, l’insegnamento diretto ed i progetti di rilevanza nazionale ed internazionale possono essere affidati, a livello ministeriale, ad un esame comune. Però acceleriamo il passo: ricordo che a Montecatini il CGIE approfondì e predispose successivamente un testo di riforma. Si tratta ora di trarre frutto da queste esperienze importanti. Sulle questioni generali credo si debba partire da una considerazione di fondo. Non ho mai avuto dubbi sulla necessità che la rappresentanza parlamentare dovesse superare una visione limitata del proprio ruolo e della propria azione. In aula ho fatto due interventi, entrambi su materie generali come la legge di bilancio e la fiducia a Prodi. E sono perfettamente cosciente che abbiamo davanti problemi di grande portata. Credo sia necessario mostrare sui grandi temi etici e sulle grandi scelte sociali lo stesso coraggio che abbiamo mostrato per quanto concerne le scelte economiche, la lotta all’evasione fiscale e le liberalizzazioni. Sulle riforme istituzionali e sulle modifiche alle regole elettorali il sistema politico è chiamato a rinnovare se stesso e credo che si debba partire proprio da questo impegno che deve trasparire dal lavoro della maggioranza e dell’opposizione. Anche qui occorre avere coraggio ed affrontare i nodi che riguardano le grandi trasformazioni che vengono proposte: a partire dalla collocazione istituzionale della rappresentanza eletta all’estero fino alle modifiche regolamentari o normative.
Recentemente, anche a seguito di tue dichiarazioni, traspare una visione diversa dell’esperienza parlamentare tra voi eletti all’estero. In che misura esistono divergenze tra voi?
Se il riferimento è a proposito dell’intervista con il Senatore Nino Randazzo apparsa su Il Globo di lunedì 4 giugno titolata "Randazzo attacca Fedi" e relativa ad una mia precedente intervista, desidero segnalare che, a scanso di equivoci o cattive interpretazioni, nella mia intervista ho anch’io espresso valutazioni positive sulla persona della Signora Amanda Vanstone, che assumerà il ruolo di Ambasciatore australiano a Roma, per le sue provate capacità ed esperienza, sostenendo però una tesi, che ovviamente è solo mia, e cioè che non prediligo le nomine politiche perchè i politici vanno eletti, ed è per questa ragione che rispondono agli elettori, i diplomatici sono nominati ed è per questa ragione che rispondono ai Governi. Tutto qui. Sulla questione della mia possibile departita dal gruppo de l’Ulivo confermo che le ragioni sono complesse. Anche ad un occhio miope o ad un orecchio distratto non sfuggirà il senso delle mie affermazioni. Credo si debba parlare chiaramente. Sono propenso ad affrontare i problemi e non a fare inutili polemiche tra noi. La stima reciproca ed il lavoro comune che abbiamo davanti lo impongono. Dobbiamo in questo momento dimostrare – in ogni passaggio – quindi anche a partire dal DPEF – che intendiamo far partire un programma condiviso di riforme. Ho sostenuto un anno fa che l’assenza di riferimenti agli italiani all’estero nel documento di programmazione economico-finanziaria non costituisse necessariamente un problema se, a partire dalla finanziaria, il Governo avesse dimostrato di avere le idee chiare sui percorsi di riforma. Sostengo ora la necessità di essere presenti in ogni passaggio strategico e di essere puntuali con le nostre richieste e di non perdere più tempo. Il lavoro che ciascuno di noi svolge è patrimonio di tutti. Non solo del centro-sinistra o del centro-destra ma di un’esperienza collettiva, di un’esperienza parlamentare che ancora deve dare i suoi frutti migliori. Non ho mai pensato di venir meno al mio mandato parlamentare ma di assolverlo, invece, pienamente. Come con il Cgie, d’altronde, le mie dimissioni hanno rappresentato una ragione in più per essere vicino a questo organismo di rappresentanza e per continuare a migliorare l’azione del Governo e delle Istituzioni".
6 giugno 2007
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