Abbiamo rivolto alcune domande all’on. Marco Fedi, deputato Ds eletto tra le fila de l’Unione nella circoscrizione estero, sugli argomenti più attuali dell’agenda politica italiana.
In quale piazza di Roma si trovava sabato 12 maggio? Era al Family Day organizzato dalle organizzazioni cattoliche o alla manifestazione dell’Orgoglio laico?
Ero tra San Giovanni e Piazza Navona, ma non per indecisione bensì per scelta. Ho pensato subito che, se è vero che le famiglie non sono contro le unioni di fatto ed i laici non sono contro le famiglie – cosa di cui sono convinto anch’io – la manifestazione avrebbero dovuto organizzarla insieme. Oppure ad un certo punto si sarebbero potuti incontrare a metà strada, magari a Piazza Venezia. Invece no! Non solo non c’è stato incontro, ma lo scontro a distanza di piazza – tra le personalità che hanno monopolizzato la rappresentanza ed anche i temi delle due manifestazioni – ha avuto la meglio anche sulle ragioni “vere” delle due manifestazioni. Hanno avuto il sopravvento le nuove ideologie. L’ideologia della paura: tutto è in caduta libera, quindi dobbiamo saldamente agganciarsi a tutto ciò che di sano e solido è nelle nostre società.
E allora, aldilà delle ideologie, come stanno veramente le cose?
Il problema è che sono oggi le persone a non avere solidi momenti sociali, oltre alla famiglia. La precarietà del lavoro, le difficoltà di bilancio, le preoccupazioni per i figli. Dobbiamo ripartire dalle persone per costruire famiglie solide. Una famiglia forte e solida, come una società forte e solida, dovrebbe valutare positivamente il riconoscimento di diritti e doveri a chi scegli liberamente, e senza causare danno ad altri, la convivenza. Non il matrimonio, ma la convivenza!
Quindi lei è un fautore dei Di. Co., il disegno di legge del governo volto al riconoscimento giuridico di alcuni diritti e doveri delle persone conviventi, ritenuto dalla Chiesa un attacco alla famiglia tradizionale e invece da molti laici una minima conquista di civiltà?
Voglio fare una premessa. Sono spaventato all’idea che in Italia ci possa essere qualcuno che pensa che rafforzare la sfera dei diritti individuali possa indebolire quelli collettivi. E mi turba anche il fatto che in Italia sia sempre necessario ricordare che lo Stato è laico. E invece qualcuno, ogni giorno, con la propria azione, con le cose che vengono dette e fatte, soprattutto all’interno del mondo politico, necessita a questa ovvia considerazione di tornare a galla.
Si spieghi meglio.
Il centro-destra sta strumentalizzando tutta la discussione in un modo scandaloso. La risposta del centro-sinistra deve essere aperta al dialogo, ma al tempo stesso impegnata a far approvare il progetto di legge sui Di.Co. che ritengo base indispensabile per continuare sulla strada dell’estensione delle tutele.
Restiamo nel campo della “lotta” sui valori e sui diritti. Recentemente l’Italia è stata profondamente scossa dalla vicenda di Piergiorgio Welby, un malato di una gravissima forma di distrofia muscolare che, dopo una lunga battaglia mediatica, ha infine ottenuto da un medico l’interruzione delle cure che lo mantenevano in vita. Il caso Welby ha riaperto il dibattito sui temi dell’eutanasia e del testamento biologico. Qual è la sua posizione?
Le storie umane di persone che soffrono e che desiderano porre fine alla propria esistenza debbono sempre scuotere le nostre coscienze. La vicenda politica italiana è stata costruita sulla logica del “ritardo”, del “rinvio” e della distanza frapposta tra la politica ed i temi che implicano scelte etiche e morali. Non è stato un bene per il Paese. Sono convinto che il ruolo della politica è assicurare che i cittadini vengano sempre tutelati nelle loro scelte, che le scelte siano supportate da servizi, che i servizi siano regolati da leggi. È necessario quindi che la politica non rimanga passiva davanti al dramma di chi – già oggi, in molteplici forme – chiede l’eutanasia passiva volontaria o quella assistita.
E in senso pratico come si traduce?
La risposta della politica, è vero, da sola, non è sufficiente. Lo Stato deve garantire che tutti vengano ascoltati rispetto alle questioni morali ed etiche che l’eutanasia ed il testamento biologico pongono all’attenzione della società. Ascoltare, per poi liberamente scegliere, ed avere lo Stato che rispetta la scelta del libero cittadino e fornisce gli strumenti per “facilitarla”, quando questa scelta non pone a rischio i diritti di altri o ne indebolisce i doveri. Non basta avere un sistema che a volte “chiude un occhio” sulle responsabilità mediche o sulle singole responsabilità dei cittadini, quando questi praticano forme di “morte assistita”. La politica deve avere il coraggio di affrontare un dibattito complesso che ci porti – come sta avvenendo in molti Paesi – a trovare soluzioni che garantiscano il pieno rispetto della vita ed il pieno rispetto delle scelte di chi soffre.
Cambiamo argomento. Vista l’instabilità della maggioranza al Senato, costantemente in bilico con uno scarso margine di seggi di vantaggio, è quasi unanime il parere circa la necessità di riformare la legge elettorale vigente. Le opinioni si fanno contrastanti quando si tratta poi di delineare un modello. Immagino che anche lei avrà una proposta. Quale?
Personalmente ritengo che la riforma elettorale sia necessaria per una serie di ragioni. È vero, il risultato elettorale al Senato ha comportato una situazione complessa. Credo però che le ragioni della riforma risiedano nella necessità di dare rispondenza ad una questione prioritaria: garantire alla coalizione che vince le elezioni, anche se con margini risicati, la possibilità di governare sulla base di un programma condiviso dalla coalizione e votato dagli elettori che hanno anche indicato chi dovrà assicurare la guida del paese, della coalizione e l’attuazione del programma, cioè il Presidente del Consiglio. Il sistema bicamerale perfetto rende più lunghi i tempi della politica. Una riforma costituzionale in grado di dare visibilità istituzionale alle Regioni, trasformando il Senato in una sorta di house of review, in grado di indicare modifiche, miglioramenti ed anche di respingere provvedimenti, sulla base di considerazioni territoriali e regionali. Un sistema elettorale proporzionale per il Senato ed un sistema maggioritario per la Camera dei Deputati, dove si forma la maggioranza che sostiene il Governo.
Nel frattempo, un comitato bipartisan sta raccogliendo le firme per indire un referendum allo scopo di instaurare un sistema maggioritario orientato al bipartitismo. Al contrario, molte forze politiche credono che occorra partorire la riforma trovando un ampio accordo in Parlamento, magari attorno a un sistema proporzionale, con premio di maggioranza alla coalizione vincente e voto di preferenza sui candidati. Lei che strada preferisce?
La storia ci dimostra che, nonostante i tanti referendum di natura elettorale, abbiamo fatto passi indietro nelle leggi elettorali adottate, soprattutto in questa ultima, voluta e votata dal centro-destra, ed ora da tutti abbandonata. Se la storia ci insegna qualcosa, varrebbe la pena non creare ancora confusione tra i cittadini chiamandoli ad esprimersi rispetto ad una serie di quesiti per i quali – tutti – conosciamo già la risposta. Sarebbe utile lavorare, davvero in modo convinto e generoso, per fare una riforma condivisa dalla maggioranza delle forze politiche ed in linea con i principi generali che sono stati affermati da referendum precedenti. In ogni caso orientando l’azione verso il bisogno di chiarezza per i cittadini. Un sistema elettorale semplice, ma efficace e chiaro. Credo che l’operazione trasparenza debba partire proprio dai partiti: primarie per le candidature, liste di coalizione sempre e dovunque con una forte presenza di donne e giovani, condivisione piena dei programmi, scelta del candidato premier. Il sistema elettorale deve riflettere questi aspetti.
Dalle ultime elezioni votano anche gli italiani all’estero, però con un sistema diverso da quello adottato per i residenti nel territorio nazionale. Anche per il loro voto vanno cambiate le regole?
Per gli italiani all’estero sono convinto che sia necessario modificare il regolamento della 459/2001 ed apportare alcuni cambiamenti ai meccanismi elettorali. Innanzitutto occorrerebbe maggiore attenzione all’individuazione dell’elettore, il quale potrebbe firmare un tagliando con codice a barre riportato sull’esterno del plico, poi staccato per le verifiche sull’iscrizione ai ruoli elettorali. Lo scrutinio potrebbe avvenire in quattro località, una per ogni ripartizione elettorale della circoscrizione estero. Si possono poi introdurre alcuni altri ritocchi alla legge, ove necessario, per consentire una migliore tempistica. In ogni caso, potremmo pensare a modifiche più complesse: dall’elenco degli elettori con iscrizione volontaria, fino al sistema di voto per corrispondenza, passando per l’estensione del diritto in loco del voto a chiunque si trovi temporaneamente all’estero. Dovremmo però essere consapevoli che occorre, in questo caso, raggiungere intese ampie e partire con una discussione molto più serrata.
In quale piazza di Roma si trovava sabato 12 maggio? Era al Family Day organizzato dalle organizzazioni cattoliche o alla manifestazione dell’Orgoglio laico?
Ero tra San Giovanni e Piazza Navona, ma non per indecisione bensì per scelta. Ho pensato subito che, se è vero che le famiglie non sono contro le unioni di fatto ed i laici non sono contro le famiglie – cosa di cui sono convinto anch’io – la manifestazione avrebbero dovuto organizzarla insieme. Oppure ad un certo punto si sarebbero potuti incontrare a metà strada, magari a Piazza Venezia. Invece no! Non solo non c’è stato incontro, ma lo scontro a distanza di piazza – tra le personalità che hanno monopolizzato la rappresentanza ed anche i temi delle due manifestazioni – ha avuto la meglio anche sulle ragioni “vere” delle due manifestazioni. Hanno avuto il sopravvento le nuove ideologie. L’ideologia della paura: tutto è in caduta libera, quindi dobbiamo saldamente agganciarsi a tutto ciò che di sano e solido è nelle nostre società.
E allora, aldilà delle ideologie, come stanno veramente le cose?
Il problema è che sono oggi le persone a non avere solidi momenti sociali, oltre alla famiglia. La precarietà del lavoro, le difficoltà di bilancio, le preoccupazioni per i figli. Dobbiamo ripartire dalle persone per costruire famiglie solide. Una famiglia forte e solida, come una società forte e solida, dovrebbe valutare positivamente il riconoscimento di diritti e doveri a chi scegli liberamente, e senza causare danno ad altri, la convivenza. Non il matrimonio, ma la convivenza!
Quindi lei è un fautore dei Di. Co., il disegno di legge del governo volto al riconoscimento giuridico di alcuni diritti e doveri delle persone conviventi, ritenuto dalla Chiesa un attacco alla famiglia tradizionale e invece da molti laici una minima conquista di civiltà?
Voglio fare una premessa. Sono spaventato all’idea che in Italia ci possa essere qualcuno che pensa che rafforzare la sfera dei diritti individuali possa indebolire quelli collettivi. E mi turba anche il fatto che in Italia sia sempre necessario ricordare che lo Stato è laico. E invece qualcuno, ogni giorno, con la propria azione, con le cose che vengono dette e fatte, soprattutto all’interno del mondo politico, necessita a questa ovvia considerazione di tornare a galla.
Si spieghi meglio.
Il centro-destra sta strumentalizzando tutta la discussione in un modo scandaloso. La risposta del centro-sinistra deve essere aperta al dialogo, ma al tempo stesso impegnata a far approvare il progetto di legge sui Di.Co. che ritengo base indispensabile per continuare sulla strada dell’estensione delle tutele.
Restiamo nel campo della “lotta” sui valori e sui diritti. Recentemente l’Italia è stata profondamente scossa dalla vicenda di Piergiorgio Welby, un malato di una gravissima forma di distrofia muscolare che, dopo una lunga battaglia mediatica, ha infine ottenuto da un medico l’interruzione delle cure che lo mantenevano in vita. Il caso Welby ha riaperto il dibattito sui temi dell’eutanasia e del testamento biologico. Qual è la sua posizione?
Le storie umane di persone che soffrono e che desiderano porre fine alla propria esistenza debbono sempre scuotere le nostre coscienze. La vicenda politica italiana è stata costruita sulla logica del “ritardo”, del “rinvio” e della distanza frapposta tra la politica ed i temi che implicano scelte etiche e morali. Non è stato un bene per il Paese. Sono convinto che il ruolo della politica è assicurare che i cittadini vengano sempre tutelati nelle loro scelte, che le scelte siano supportate da servizi, che i servizi siano regolati da leggi. È necessario quindi che la politica non rimanga passiva davanti al dramma di chi – già oggi, in molteplici forme – chiede l’eutanasia passiva volontaria o quella assistita.
E in senso pratico come si traduce?
La risposta della politica, è vero, da sola, non è sufficiente. Lo Stato deve garantire che tutti vengano ascoltati rispetto alle questioni morali ed etiche che l’eutanasia ed il testamento biologico pongono all’attenzione della società. Ascoltare, per poi liberamente scegliere, ed avere lo Stato che rispetta la scelta del libero cittadino e fornisce gli strumenti per “facilitarla”, quando questa scelta non pone a rischio i diritti di altri o ne indebolisce i doveri. Non basta avere un sistema che a volte “chiude un occhio” sulle responsabilità mediche o sulle singole responsabilità dei cittadini, quando questi praticano forme di “morte assistita”. La politica deve avere il coraggio di affrontare un dibattito complesso che ci porti – come sta avvenendo in molti Paesi – a trovare soluzioni che garantiscano il pieno rispetto della vita ed il pieno rispetto delle scelte di chi soffre.
Cambiamo argomento. Vista l’instabilità della maggioranza al Senato, costantemente in bilico con uno scarso margine di seggi di vantaggio, è quasi unanime il parere circa la necessità di riformare la legge elettorale vigente. Le opinioni si fanno contrastanti quando si tratta poi di delineare un modello. Immagino che anche lei avrà una proposta. Quale?
Personalmente ritengo che la riforma elettorale sia necessaria per una serie di ragioni. È vero, il risultato elettorale al Senato ha comportato una situazione complessa. Credo però che le ragioni della riforma risiedano nella necessità di dare rispondenza ad una questione prioritaria: garantire alla coalizione che vince le elezioni, anche se con margini risicati, la possibilità di governare sulla base di un programma condiviso dalla coalizione e votato dagli elettori che hanno anche indicato chi dovrà assicurare la guida del paese, della coalizione e l’attuazione del programma, cioè il Presidente del Consiglio. Il sistema bicamerale perfetto rende più lunghi i tempi della politica. Una riforma costituzionale in grado di dare visibilità istituzionale alle Regioni, trasformando il Senato in una sorta di house of review, in grado di indicare modifiche, miglioramenti ed anche di respingere provvedimenti, sulla base di considerazioni territoriali e regionali. Un sistema elettorale proporzionale per il Senato ed un sistema maggioritario per la Camera dei Deputati, dove si forma la maggioranza che sostiene il Governo.
Nel frattempo, un comitato bipartisan sta raccogliendo le firme per indire un referendum allo scopo di instaurare un sistema maggioritario orientato al bipartitismo. Al contrario, molte forze politiche credono che occorra partorire la riforma trovando un ampio accordo in Parlamento, magari attorno a un sistema proporzionale, con premio di maggioranza alla coalizione vincente e voto di preferenza sui candidati. Lei che strada preferisce?
La storia ci dimostra che, nonostante i tanti referendum di natura elettorale, abbiamo fatto passi indietro nelle leggi elettorali adottate, soprattutto in questa ultima, voluta e votata dal centro-destra, ed ora da tutti abbandonata. Se la storia ci insegna qualcosa, varrebbe la pena non creare ancora confusione tra i cittadini chiamandoli ad esprimersi rispetto ad una serie di quesiti per i quali – tutti – conosciamo già la risposta. Sarebbe utile lavorare, davvero in modo convinto e generoso, per fare una riforma condivisa dalla maggioranza delle forze politiche ed in linea con i principi generali che sono stati affermati da referendum precedenti. In ogni caso orientando l’azione verso il bisogno di chiarezza per i cittadini. Un sistema elettorale semplice, ma efficace e chiaro. Credo che l’operazione trasparenza debba partire proprio dai partiti: primarie per le candidature, liste di coalizione sempre e dovunque con una forte presenza di donne e giovani, condivisione piena dei programmi, scelta del candidato premier. Il sistema elettorale deve riflettere questi aspetti.
Dalle ultime elezioni votano anche gli italiani all’estero, però con un sistema diverso da quello adottato per i residenti nel territorio nazionale. Anche per il loro voto vanno cambiate le regole?
Per gli italiani all’estero sono convinto che sia necessario modificare il regolamento della 459/2001 ed apportare alcuni cambiamenti ai meccanismi elettorali. Innanzitutto occorrerebbe maggiore attenzione all’individuazione dell’elettore, il quale potrebbe firmare un tagliando con codice a barre riportato sull’esterno del plico, poi staccato per le verifiche sull’iscrizione ai ruoli elettorali. Lo scrutinio potrebbe avvenire in quattro località, una per ogni ripartizione elettorale della circoscrizione estero. Si possono poi introdurre alcuni altri ritocchi alla legge, ove necessario, per consentire una migliore tempistica. In ogni caso, potremmo pensare a modifiche più complesse: dall’elenco degli elettori con iscrizione volontaria, fino al sistema di voto per corrispondenza, passando per l’estensione del diritto in loco del voto a chiunque si trovi temporaneamente all’estero. Dovremmo però essere consapevoli che occorre, in questo caso, raggiungere intese ampie e partire con una discussione molto più serrata.
14 maggio 2007
Lorenzo Rossi
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