Nella riunione del 20 giugno 2007 della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, nell’ambito di un’indagine conoscitiva sulla politica estera dell’Unione Europea, è stato ascoltato l’Ambasciatore d’Italia in Turchia Carlo Marsili. Di seguito l’intervento dell’On. Fedi e la replica ai quesiti da lui posti dell’Ambasciatore Marsili.
Marco Fedi:
Signor presidente, ringrazio l’Ambasciatore Marsili per la completezza della sua relazione, e vorrei ringraziare tutti gli ambasciatori attualmente impegnati in una sorta di negoziato permanente in diverse parti del mondo, quindi anche la Farnesina, per l’impegno e l’azione internazionale del nostro Paese improntata ad un senso di responsabilità che non ha eguali, in un’azione coerente e multilaterale di impegno internazionale verso la democrazia, la stabilità e la cooperazione.
È stato ricordato come l’ingresso della Turchia nell’Unione europea sia stato appoggiato con convinzione dal nostro Governo e da quelli precedenti e come questa continuità nella politica estera in rapporto all’ingresso della Turchia nell’Unione europea si riveli importante. Contemporaneamente, occorre perseguire una logica forte, in cui Italia e l’Europa si pongano la questione della crescita democratica di ogni Paese, particolarmente dei Paesi che si accingono ad entrare nell’Unione europea, ma anche di quelli che già ne fanno parte.
Occorre dunque sostenere la tesi che si cresce insieme, laddove le grandi questioni del nostro tempo, quali la piena libertà di espressione e l’abolizione della pena di morte, riguardano tutti i Paesi, perché riguardano l’umanità. La questione curda, le relazioni con Cipro e con l’Armenia sono elementi di criticità rispetto ai quali il nostro Paese e l’Unione europea debbono porsi come sostegno e supporto verso una soluzione di stabilità, di dialogo e di crescita per tutta l’area geopolitica. Vorrei chiederle, dunque, quale sia il dibattito politico in corso, in vista delle elezioni anticipate, fissate per il 22 luglio, e quali le iniziative in grado di legare ancor più profondamente, non solo a livello di interscambio economico e commerciale, ma anche culturalmente, l’Italia e la Turchia, individuando percorsi per superare gli elementi di incertezza che sembrano prevalere nell’opinione pubblica dei Paesi europei che ancora considerano una minaccia l’ingresso della Turchia nella casa comune europea.
La ripresa del cammino verso la Costituzione europea ha bisogno anche di superare queste preoccupazioni e queste paure, e ritengo che tale profilo culturale, politico e sociale della nuova Europa meriti questa attenzione da parte del nostro Paese.
Signor presidente, ringrazio l’Ambasciatore Marsili per la completezza della sua relazione, e vorrei ringraziare tutti gli ambasciatori attualmente impegnati in una sorta di negoziato permanente in diverse parti del mondo, quindi anche la Farnesina, per l’impegno e l’azione internazionale del nostro Paese improntata ad un senso di responsabilità che non ha eguali, in un’azione coerente e multilaterale di impegno internazionale verso la democrazia, la stabilità e la cooperazione.
È stato ricordato come l’ingresso della Turchia nell’Unione europea sia stato appoggiato con convinzione dal nostro Governo e da quelli precedenti e come questa continuità nella politica estera in rapporto all’ingresso della Turchia nell’Unione europea si riveli importante. Contemporaneamente, occorre perseguire una logica forte, in cui Italia e l’Europa si pongano la questione della crescita democratica di ogni Paese, particolarmente dei Paesi che si accingono ad entrare nell’Unione europea, ma anche di quelli che già ne fanno parte.
Occorre dunque sostenere la tesi che si cresce insieme, laddove le grandi questioni del nostro tempo, quali la piena libertà di espressione e l’abolizione della pena di morte, riguardano tutti i Paesi, perché riguardano l’umanità. La questione curda, le relazioni con Cipro e con l’Armenia sono elementi di criticità rispetto ai quali il nostro Paese e l’Unione europea debbono porsi come sostegno e supporto verso una soluzione di stabilità, di dialogo e di crescita per tutta l’area geopolitica. Vorrei chiederle, dunque, quale sia il dibattito politico in corso, in vista delle elezioni anticipate, fissate per il 22 luglio, e quali le iniziative in grado di legare ancor più profondamente, non solo a livello di interscambio economico e commerciale, ma anche culturalmente, l’Italia e la Turchia, individuando percorsi per superare gli elementi di incertezza che sembrano prevalere nell’opinione pubblica dei Paesi europei che ancora considerano una minaccia l’ingresso della Turchia nella casa comune europea.
La ripresa del cammino verso la Costituzione europea ha bisogno anche di superare queste preoccupazioni e queste paure, e ritengo che tale profilo culturale, politico e sociale della nuova Europa meriti questa attenzione da parte del nostro Paese.
Carlo Marsili:
Per quanto riguarda il quesito posto dall’onorevole Fedi sulle relazioni con l’Armenia e la questione curda, mi preme sottolineare che in questo momento non esistono rapporti diplomatici tra Turchia e Armenia. Gli unici contatti sono costituiti dai voli che collegano Istanbul e Yerevan due o tre volte a settimana, garantiti da una compagnia privata turca.
Il problema con l’Armenia è legato alla questione del riconoscimento del cosiddetto «genocidio armeno» da parte della Turchia. La Turchia non accetta di riconoscerlo, in quanto sostiene che i massacri avvenuti nel 1915 non possono assumere la connotazione di genocidio, perché secondo i turchi non fu dato ordine dall’autorità centrale, quindi dal sultano, di sterminare gli armeni in quanto tali. In più, era in atto la guerra, gli armeni si erano alleati con i russi e in questi massacri ci sono state parecchie perdite tra coloro che combattevano contro gli armeni, prevalentemente curdi. Ritengono, quindi, che non si possa parlare di genocidio e hanno proposto l’istituzione di una commissione di storici sotto l’egida delle Nazioni Unite, per approfondire il problema consentendo l’apertura degli archivi, anche militari, sia dell’Impero ottomano sia successivi. L’Armenia non accetta questo, in quanto sostiene che il genocidio è un dato di fatto che non necessita di verifiche da parte di storici o di accademici.
Nessuno dei due Paesi si è mosso per un tentativo di compromesso, per cui le relazioni tra gli stessi sono bloccate.
L’Armenia, inoltre, non ha ufficialmente riconosciuto il trattato in base al quale il confine tra l’ex Repubblica sovietica, l’Armenia e la Turchia è un confine di Stato, in quanto avanza rivendicazioni sul monte Ararat, che invece è incluso nella provincia di Kars, in Turchia. Anche questo rappresenta un punto delicato, che non ha trovato in questo momento un’adeguata risposta.
Ritengo che le relazioni tra i due Paesi siano destinate a progredire, perché l’Armenia è in una situazione molto difficile, in quanto non ha nessuno sbocco sull’esterno, se non attraverso la Turchia. Dovrà quindi essere individuata una soluzione di compromesso.
Per quanto riguarda la questione del PKK, c’è stata un’allarmante ripresa di attentati terroristici in Turchia in questi ultimi mesi, per cui quasi ogni giorno i convogli militari turchi nelle province orientali sono vittime di mine con numerose perdite, tanto che i militari turchi hanno manifestato l’intenzione di colpire i santuari che si trovano nella provincia del Kurdistan iracheno, da cui provengono gli attacchi, anche se ci sono forze rivoltose anche all’interno della Turchia.
Il Governo finora si è dichiarato contrario, e quindi non si è verificato questo sconfinamento, che peraltro non si può escludere perché, se la situazione dovesse rimanere invariata, è possibile che la Turchia decida di entrare in territorio iracheno, colpire questi santuari e ritirarsi. Questa è una possibilità più volte manifestata. Truppe turche si trovano già nell’Iraq del nord, ma si tratta di circa sette-ottocento uomini con il ruolo di osservatori e di controllori, che non svolgono azioni militari.
Per quanto riguarda gli osservatori del Consiglio europeo per le elezioni del 22 luglio, ritengo che il Governo turco non ne sia entusiasta e si limiti a prenderne atto. Non so quanti saranno, quali saranno esattamente le loro funzioni, dove verranno dislocati, perché non abbiamo un’informativa precisa in proposito. Ritengo comunque che la presenza di osservatori non abbia un’influenza decisiva.
Per quanto riguarda il quesito posto dall’onorevole Fedi sulle relazioni con l’Armenia e la questione curda, mi preme sottolineare che in questo momento non esistono rapporti diplomatici tra Turchia e Armenia. Gli unici contatti sono costituiti dai voli che collegano Istanbul e Yerevan due o tre volte a settimana, garantiti da una compagnia privata turca.
Il problema con l’Armenia è legato alla questione del riconoscimento del cosiddetto «genocidio armeno» da parte della Turchia. La Turchia non accetta di riconoscerlo, in quanto sostiene che i massacri avvenuti nel 1915 non possono assumere la connotazione di genocidio, perché secondo i turchi non fu dato ordine dall’autorità centrale, quindi dal sultano, di sterminare gli armeni in quanto tali. In più, era in atto la guerra, gli armeni si erano alleati con i russi e in questi massacri ci sono state parecchie perdite tra coloro che combattevano contro gli armeni, prevalentemente curdi. Ritengono, quindi, che non si possa parlare di genocidio e hanno proposto l’istituzione di una commissione di storici sotto l’egida delle Nazioni Unite, per approfondire il problema consentendo l’apertura degli archivi, anche militari, sia dell’Impero ottomano sia successivi. L’Armenia non accetta questo, in quanto sostiene che il genocidio è un dato di fatto che non necessita di verifiche da parte di storici o di accademici.
Nessuno dei due Paesi si è mosso per un tentativo di compromesso, per cui le relazioni tra gli stessi sono bloccate.
L’Armenia, inoltre, non ha ufficialmente riconosciuto il trattato in base al quale il confine tra l’ex Repubblica sovietica, l’Armenia e la Turchia è un confine di Stato, in quanto avanza rivendicazioni sul monte Ararat, che invece è incluso nella provincia di Kars, in Turchia. Anche questo rappresenta un punto delicato, che non ha trovato in questo momento un’adeguata risposta.
Ritengo che le relazioni tra i due Paesi siano destinate a progredire, perché l’Armenia è in una situazione molto difficile, in quanto non ha nessuno sbocco sull’esterno, se non attraverso la Turchia. Dovrà quindi essere individuata una soluzione di compromesso.
Per quanto riguarda la questione del PKK, c’è stata un’allarmante ripresa di attentati terroristici in Turchia in questi ultimi mesi, per cui quasi ogni giorno i convogli militari turchi nelle province orientali sono vittime di mine con numerose perdite, tanto che i militari turchi hanno manifestato l’intenzione di colpire i santuari che si trovano nella provincia del Kurdistan iracheno, da cui provengono gli attacchi, anche se ci sono forze rivoltose anche all’interno della Turchia.
Il Governo finora si è dichiarato contrario, e quindi non si è verificato questo sconfinamento, che peraltro non si può escludere perché, se la situazione dovesse rimanere invariata, è possibile che la Turchia decida di entrare in territorio iracheno, colpire questi santuari e ritirarsi. Questa è una possibilità più volte manifestata. Truppe turche si trovano già nell’Iraq del nord, ma si tratta di circa sette-ottocento uomini con il ruolo di osservatori e di controllori, che non svolgono azioni militari.
Per quanto riguarda gli osservatori del Consiglio europeo per le elezioni del 22 luglio, ritengo che il Governo turco non ne sia entusiasta e si limiti a prenderne atto. Non so quanti saranno, quali saranno esattamente le loro funzioni, dove verranno dislocati, perché non abbiamo un’informativa precisa in proposito. Ritengo comunque che la presenza di osservatori non abbia un’influenza decisiva.
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