mercoledì 18 giugno 2008

La virgola, Un occhio attento alle cose italiane …Parlamentari e non …

Il “no” irlandese al Trattato Europeo
L’antieuropeismo del centrodestra fomenta l’euroscetticismo
Occorre rilanciare il processo di integrazione europea


L’apertura delle urne del referendum sul Trattato di Lisbona (la nuova versione della Costituzione Europea) tenutosi in Irlanda lo scorso 12 giugno ha confermato ciò che molti preannunciavano: ancora una volta un popolo europeo, chiamato a ratificare con il proprio voto referendario l’adesione alla carta fondamentale dell’Unione, ha detto no.
Anche se con una percentuale molto bassa di consensi: i “no” sono stati poco più della metà (53,4%) su un elettorato già scarso (53,1% dei votanti). Insomma, solo lo 0,25% della popolazione totale dell’Ue. Una percentuale così bassa non può ostacolare il processo costituente europeo, hanno detto in molti, tra cui il nostro Presidente della Repubblica Napolitano.
L’esito referendario ha consentito alla Lega Nord, che ha brindato al “no” irlandese vantando le origini celtiche comuni con la Padania, di confermare le proprie posizioni politiche profondamente antieuropeiste. Il Governo Berlusconi non ha saputo esprimere con sufficiente chiarezza le proprie posizioni sull’intero processo di integrazione europea, a partire proprio dalla carta costituzionale europea, e, ciò che più preoccupa, non ha saputo rispondere con argomentazioni politiche serie al rischio di un crescente euroscetticismo. Di fronte alle posizioni della Lega Nord, in sostanza, il resto del governo Berlusconi non ha saputo dire con chiarezza da che parte sta: se con l’Europa o con gli strenui difensori delle “piccole patrie”.
Tuttavia, al di là del rammarico per questo nuovo stop, è giunta l’ora di porsi seriamente una domanda di fondo: come mai tanti popoli europei sono diventati così euroscettici?
Il referendum irlandese non è il primo a rifiutare il Trattato: nel 2005 già la Francia e l’Olanda avevano bocciato tramite il voto democratico dei propri cittadini il precedente trattato costituzionale e qualche timore si annida anche sulle prossime ratifiche dell’attuale Carta nei paesi dell’Est.
Ciò che emerge è che il progetto europeo non appassiona più come ancora alla fine degli anni novanta, quando l’Italia del primo governo Prodi risanò i suoi conti e centrò l’obiettivo della moneta unica. Forse è proprio a quest’ultimo argomento che bisogna guardare per comprendere la disaffezione verso il “sogno europeo”: l’Europa in questi anni si è fatta percepire soltanto come burocratica e monetaria, attenta soltanto a unire il proprio mercato comune piuttosto che integrare i propri popoli e tutelarne i diritti sociali. L’Unione Europea rappresenta un’opportunità di crescita politica ed economica ma anche democratica: sarebbe opportuno crederci sempre, anche recependone le direttive e dimostrando serietà rispetto ai rischi di attivazione delle procedure d’infrazione. Il Governo, su questi temi, deve ancora dimostrarci il proprio europeismo.

Confermati dal Governo i tagli ai capitoli degli italiani all’estero

Il no dei Deputati del PD e IDV in Commissione affari esteri della Camera non è bastato a fermare il parere positivo che arriva dalla III Commissione sulla conversione del decreto ICI.
Le criticità sollevate nella discussione avvenuta in Commissione hanno portato unicamente al possibile recupero – peraltro internamente al bilancio degli Esteri e quindi suscettibile di ulteriori tagli ai capitoli per le comunità italiane nel mondo – per le iniziative legate alla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ed all’Accademia delle Scienze del Terzo mondo.
E sulla mancata estensione dell’esonero dall’ICI per gli italiani all’estero assistiamo al classico scarica-barile con un semplice passaggio di responsabilità al dicastero interessato: economia e finanze. Francamente il nostro no era necessario. Non sono possibili, sui tagli, aperture di credito da parte dell’opposizione. Per due ragioni. Il provvedimento sull’ICI, nella sua interezza, non contribuisce certamente a ridurre il divario tra le classi sociali e di reddito ed alimenta una percezione antifederalista di tipo fiscale, quando l’elemento forte del federalismo deve partire proprio dalla territorialità dell’imposizione fiscale e dalla sua rispondenza ai bisogni del cittadino in termini di servizi. Il provvedimento esclude dall’esonero ICI, in maniera fortemente discriminatoria, i cittadini italiani residenti all’estero, facendo pagare a questi – in termini di servizi, personale dei consolati, finanziamento a progetti di assistenza sociale o di promozione culturale e linguistica – un prezzo molto alto, pari a circa 20milioni di euro. Tutto ciò senza aver predisposto un vero piano di razionalizzazione, senza aver fissato delle priorità e, soprattutto, in assenza di un vero piano di riforme. A poco servono le dichiarazioni-appello affinché in vista della prossima finanziaria vi possa essere un’azione di recupero. Anzi, si tratta di un segnale che accresce le nostre preoccupazioni. Credo che il Governo, nel tentativo di dare risposte senza avere gli strumenti analitici per farlo, abbia sostanzialmente confermato che i tagli sono il risultato di una scelta premeditata che colpisce pesantemente le comunità italiane nel mondo. E ciò è avvenuto con il pieno sostegno dei deputati di maggioranza, anche quelli eletti all’estero.

On. Marco FEDI
Segretario III Commissione Affari Esteri e Comunitari
Camera dei Deputati
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