mercoledì 17 dicembre 2008

La virgola


Sconfitta in Abruzzo, passi indietro sulla scuola e piano auto

La sconfitta alle regionali in Abruzzo era annunciata. Ma le sue proporzioni per il Pd sono drammatiche, è inutile negarlo. Siamo rimasti fermi alla soglia del 20%, crollando di 13 punti, mentre Di Pietro – abile nello sfruttare il clima attuale – è balzato al 15%.
Dopo che un nostro esponente, l’ex presidente della Regione Del Turco, era stato coinvolto in uno scandalo di grandi proporzioni (e ora si dice “felice” della vittoria della destra), altre vicende giudiziarie avevano riguardato nell’ultima settimana esponenti del Pd in Campania e a Firenze. Il giorno stesso dello scrutinio abruzzese, il sindaco di Pescara e un altro deputato del Pd sono stati arrestati. Il giorno successivo è stata la volta di due assessori del Pd a Napoli, con il coinvolgimento nelle indagini di due parlamentari, uno di Alleanza Nazionale e l’altro del Pd.
La questione morale esiste. Noi democratici dobbiamo affrontarla con severità e decisione, intervenendo severamente sulle gestioni locali del partito, spesso troppo autonome dal progetto nazionale. Bisogna farlo urgentemente, prima che in troppi rimangano delusi dal Pd, oggi nell’occhio del ciclone. Occorre essere garantisti ed allo stesso tempo fermi nel sostenere l’azione della giustizia.
Nonostante ciò, rimaniamo convinti che i giudici debbano fare il loro lavoro. In questo – non dimentichiamolo mai – siamo differenti da Berlusconi e dalla sua maggioranza.
La scorsa settimana, infatti, il premier ha annunciato di voler cambiare la Costituzione italiana, ed è stato subito stoppato dal presidente Napolitano. In particolare, Berlusconi punta a riscrivere la parte sulla giustizia, riducendo e indebolendo i contropoteri che – come ovunque in Occidente – bilanciano l’esecutivo e il legislativo.
Ancor più paradossale è il fatto che il premier fa la voce grossa e irride le minoranze, ma poi ne ricerca il consenso in Parlamento per approvare queste “riforme”, le uniche non necessarie, anzi dannose, per il Paese.
Lo stesso atteggiamento mistificatorio da parte del governo si riscontra sulla riforma Gelmini dell’istruzione, tutta incentrata sui tagli (8 miliardi di euro in tre anni, 87mila insegnanti e 45 addetti in esubero). La maggioranza l’ha approvata con grossi cambiamenti in meglio: ha reso non obbligatori il maestro unico alle scuole primarie (un passo indietro enorme dal punto di vista didattico) e l’abbandono del tempo pieno, necessario alle famiglie che lavorano. Tutto ciò grazie alle mobilitazioni che nel Paese si sono sollevate in questi mesi. Ebbene, Berlusconi ha avuto il coraggio di dire che non è cambiato nulla…
Va bene che dare l’impressione di essere vincenti aiuta a vincere. Ma certi eccessi vanno chiamati con il loro nome: menzogne.
Infine, il piano-auto. Nel panorama di recessione che riguarda il mondo intero e che si fa sentire particolarmente in un Paese che poco ha investito in innovazione come l’Italia (la Confindustria stessa stima per il 2009 ben 600.000 posti di lavoro persi), un settore che è entrato in una profonda crisi è quello della produzione automobilistica.
Di fronte a un governo inadeguato a dare risposte all’altezza degli altri Paesi europei e degli Usa, Veltroni, ha spiegato che se gli altri Paesi interverranno si "altererà la concorrenza e l'Italia pagherà di più". Per questo, ha detto, "se lo faranno gli altri invito a mettere in campo, anche noi, incentivi al settore delle auto". Su questo il leader del Pd si è detto ancora una volta disponibile a dialogare.
Il timore è sempre lo stesso. Mentre l’opposizione si mostra responsabile per il bene del Paese, il governo Berlusconi e la sua maggioranza vogliono “la botte piena e la moglie ubriaca”: l’appoggio parlamentare del Pd e al contempo il solo merito delle soluzioni messe in campo. Urlare contro l’opposizione salvo poi cercarne il sostegno nelle aule parlamentari. Il dialogo deve prevedere l’ascolto, caro Berlusconi, altrimenti è solamente impartire ordini, istruzioni per l’uso, direttive: la maggioranza è abituata a questi strumenti ma sono poco utili se si vuole un aperto confronto con l’opposizione.

martedì 16 dicembre 2008

Confermate tutte le critiche alla finanziaria 2009… con qualche peggioramento!

“La finanziaria 2009 è tornata alla Camera, dopo le modifiche apportate dal Senato, ed il mio giudizio negativo, già espresso in prima lettura, è stato confermato in sede consultiva alla Commissione Affari esteri della Camera” – ha dichiarato l’On. Marco Fedi.
“Il testo licenziato dal Senato è ulteriormente peggiorativo per il Ministero degli Affari esteri con una decurtazione delle risorse destinate alla politica estera di 41,5 milioni di euro”. “Si tratta di nuovi tagli che avranno conseguenze molto negative per l’amministrazione degli esteri e su tutta l’attività del Ministero degli esteri, inclusa la nostra politica estera ed internazionale” – ha ribadito l’On. Marco Fedi.
“Non ci riteniamo soddisfatti neanche per il recupero di 8 milioni di euro per la missione italiani nel mondo, da destinare ai capitoli assistenza (6 milioni) e scuola (2 milioni), non solo perché lo riteniamo insignificante rispetto alla dimensione dei tagli apportati (circa 50 milioni di euro) ma perché la dotazione proviene dai capitoli per il rinnovo, alle scadenze di legge, dei Comitati degli italiani all’estero (Com.It.Es.) e del Consiglio degli italiani all’estero (C.G.I.E.), per le cui elezioni il Governo ha annunciato il rinvio”– ha concluso l’On. Marco Fedi.

Ai partecipanti alla Conferenza mondiale dei giovani

Grazie a tutti i giovani, al CGIE ed ai Comites, per aver realizzato questo appuntamento e per l’importante lavoro svolto: è la migliore risposta a chi non riesce a vedere oltre la cortina della demagogia.
Grazie per la vostra bella presenza, per il lavoro impegnativo che avete svolto, per la vostra stupenda presenza in questo Paese che a volte appare stanco ed ingrigito.
Non avete deluso chi crede in voi e nel futuro della nostra presenza nel mondo.
Perché vedete, si può essere presenti nel mondo – come tanti altri Paesi – oppure si può essere “parte del mondo”, integrati in tante realtà, impegnati, come ha ricordato il Presidente Napolitano, ad essere bravi cittadini di quei Paesi, eppur mantenere, contemporaneamente, un forte legame con la comune matrice italiana. Ecco la grande sfida e la grande opportunità.
Valorizzare questa rete, che è ricca e composita, e per questa ragione deve avere maglie salde e non può lasciar fuori nessuno. Deve includere l’emigrazione storica – per la quale dobbiamo ancora lavorare per avere affermati diritti di cittadinanza, dalle prestazioni pensionistiche alle convenzioni bilaterali, dalla cittadinanza ai servizi consolari, aspetti che riguardano anche i giovani. Deve includere le donne e le nuove generazioni e non deve trascurare le nuove mobilità nel mondo, quelle che arricchiscono il nostro Paese nella sua immagine e nella sua capacità di produrre “originalità”, “pensiero” e “cultura”.
La grande intuizione di una classe politica post-emigrazione di massa, fu proprio quella di promuovere l’integrazione nei paesi di residenza ed allo stesso tempo fissare il quadro di un rapporto con l’Italia a livello politico e sociale e culturale. Quella scelta bipartisan fu saggia poiché abbiamo oggi comunità integrate – costruite grazie al lavoro e sacrificio di tante generazioni di italiani – ma anche con il sostegno e contributo delle leggi dello Stato italiano a sostegno delle nostre comunità: per la diffusione di lingua e cultura italiane, per la tutela dei diritti, per i servizi, per la formazione, per riconoscere a tutti i cittadini italiani, sempre, ovunque essi vivano o lavorino, i diritti sanciti dalla nostra costituzione.
Ma è legittimo anche provare tristezza: la tristezza che si legge – ma occorre vederla, leggerla, comprenderla - negli occhi di un emigrato ogni volta che un diritto viene calpestato. E che leggiamo anche negli occhi di figli e nipoti: un segnale eccezionale di rispetto della propria storia. Provare tristezza per un Paese che cambia lentamente, troppo lentamente, e che ancora non ci conosce.
Disegnare una nuova Italia è anche il vostro impegno: non deve sorprendere questo fatto! Avete compreso bene che l’Italia della moratoria sulla pena di morte, l’Italia che si batte per ampliare la democrazia e per difenderla con le missioni di peacekeeping, in altre parole l’Italia che chiede il rispetto – sempre – dei diritti umani e dei diritti civili, è anche la vostra Italia. Quella dei valori condivisi della pace e della solidarietà.
Ma il compito di cambiare l’Italia con le riforme è un compito delle classi dirigenti di questo Paese, della politica. Allora l’impegno vostro e nostro deve essere quello di partecipare a livello politico, a tutti i livelli. Locale, nazionale ed internazionale.
Dal 2006 anche per il Parlamento della Repubblica italiana. Per Comites e Cgie nel 2009, per i referendum, per le elezioni politiche. Facciamo ripartire una grande azione politica per rinnovare – nella politica – questi organismi. Per avere giovani, donne e uomini eletti ed impegnati a fare squadra, a coordinare le attività comunitarie, a conoscere e relazionare sui cambiamenti in atto, sui livelli di integrazione, sulle emarginazioni, su vecchie e nuove povertà.
Credo che uno dei compiti fondamentali di questa conferenza sia quello di far comprendere alle istituzioni che non è più possibile pensare che l’italianità – da sola – possa essere elemento sufficiente a fare rete. Non è sufficiente limitarsi a riconoscere il valore che ci accomuna nell’italianità. Occorre riconoscere e dare visibilità alle tante identità che si modificano e sono parte di un processo: il processo di crescita delle persone!
Tutte queste ricche identità chiedono un collegamento con l’Italia. Riusciremo, allora, chiediamo al Governo, a costruire una rete, che sarebbe davvero straordinaria, di collegamento e di appoggio per il sistema Italia nel mondo? Nel vuoto di idee e progetto in cui si dimena la maggioranza in questo momento, ho paura di no! Non si tratta esclusivamente di risorse, è vero. Non sarebbe male però, disegnare insieme un percorso che consenta, ad esempio, da un lato di garantire la continuità nell’insegnamento della lingua italiana e nella promozione culturale nel mondo e dall’altro progettare strumenti nuovi, dalla riforma della 153/71 fino alla riforma degli Istituti di cultura.
Non sarebbe male, insieme, disegnare una nuova 'clever Italy', un'Italia che valorizzi il contributo della prima emigrazione, che faccia proprie le potenzialità offerte dalla multiculturalità e dell'integrazione tra i popoli e che costruisca modi nuovi di essere Paese nel Mondo. Occorre un processo di formazione continua che trasformi l’Italia in un paese che attrae intelligenze, non solo per una fase di rientro dei “cervelli in fuga” ma per creare le condizioni affinché l’Italia sia posta al centro di un flusso di scambi nel settore della ricerca scientifica e tecnologica, tenendo conto che si tratta di un settore dinamico in continua evoluzione.
Il Governo ha chiesto una riflessione sulla cittadinanza. Ho capito che i giovani chiedono non solo che si riaprano le opportunità per il riacquisto della cittadinanza italiana ma vi sia una revisione che consenta di superare discriminazioni storiche nei confronti delle donne e del superamento delle anomalie su questo tema, oltre all’idea di una nuova cittadinanza che consenta un miglior processo d’integrazione per gli immigrati in Italia.
Eppure, da questo quadro di impegni condivisi e di soluzioni da costruire insieme o da condividere, da tutte queste riflessioni, l’unico fatto che appare all’orizzonte è un modestissimo recupero di risorse ed un rinvio delle elezioni degli organismi di rappresentanza.
Fare le riforme insieme presuppone alcune condizioni. Partire da una chiarezza di fondo: sulla democrazia non si fanno sconti e quindi sarebbe utile rinnovare alla loro scadenza sia Comites che CGIE.
Contemporaneamente far partire una fase di riflessione e di consultazione per collocare le riforme degli organismi di rappresentanza nel futuro assetto costituzionale, in vista delle riforme istituzionali e della modifica della rappresentanza parlamentare. Tutti sentono questa esigenza. Ma i tempi saranno necessariamente lunghi. Che tempi avrebbe, allora, un’eventuale proroga?
Occorre che tutti insieme facciamo una scelta politica di fondo nella fase di rinnovo di questi organismi: garantire la presenza delle nuove generazioni, delle donne, delle nuove mobilità che, insieme, rappresentano il grande patrimonio di italianità nel mondo.
Noi vi lasciamo con l’impegno di dare continuità a questa conferenza: abbiamo già provato a farlo in finanziaria ma la maggioranza ha bocciato un nostro emendamento teso ad avere maggiori risorse. L’impegno di costruire riforme per dare voce ed opportunità ai giovani ricercatori ed alle nuove mobilità con un’apposita proposta di legge. L’impegno di continuare a rafforzare la nostra presenza nel mondo.
Tra i vostri sogni ed impegni, da domani, ponete anche, forte, il rapporto politico con l’Italia.

Grazie nuovamente per il vostro lavoro.

In rete, anziché di ritorno… e senza dover fuggire

“Cervelli in rete, anziché di ritorno dopo la fuga, evitando che qualcuno sia costretto ancora a fuggire. Mi pare questa un’ipotesi di lavoro coerente con la globalizzazione e le nuove mobilità delle persone, delle idee, delle risorse, delle specializzazioni e quindi anche dei ricercatori” – ha sottolineato l’On. Marco Fedi a proposito della discussione sul ritorno dei cervelli.
“Ho avuto modo di dire che il processo di trasformazione del nostro Paese in un clever country è tanto necessario quanto lungo e richiederà una serie di interventi mirati a superare ritardi storici, sia di organizzazione della ricerca che di finanziamento, oltre alla disattenzione verso il merito e l’eccellenza. Pensare che incentivi, peraltro senza controlli di qualità, possano risolvere questa situazione è profondamente sbagliato. Occorre creare le condizioni affinché la ricerca in Italia ottenga attenzione e finanziamenti. Successivamente saranno i parametri di qualità a fare la differenza. E l’Italia dovrà competere. Fare riforme condivise su questo tema è fondamentale” – ha ribadito l’On. Marco Fedi.
“Nel frattempo noi proponiamo la realizzare di una mappatura dei docenti universitari e ricercatori italiani residenti all’estero per ragioni di lavoro o di formazione, in maniera da conoscerne collocazione geografica, impiego professionale e accademico, settore di specializzazione, pubblicazioni, brevetti e dati sul loro lavoro di ricerca. Primo significativo passo di costruzione della rete” – ha ricordato l’On. Marco Fedi.
“Nella nostra proposta punteremo in direzione di mantenere costantemente operante un sistema di comunicazione e di interscambio tra le università e i centri di ricerca italiani ed esteri poiché riteniamo che la ricerca italiana debba attrarre anche i ricercatori di altri Paesi. Pensiamo ad esempio ad incrementare il numero dei corsi universitari di dottorato in collaborazione internazionale e ad appositi accordi multilaterali e bilaterali in materia di ricerca scientifica e di collaborazione e interscambio tra università e istituti di ricerca italiani e stranieri. “Non ultima la questione del riconoscimento delle qualifiche e dei titoli posseduti o conseguiti all’estero” – ha concluso l’On. Marco Fedi.

Solidale con la protesta del CGIE, positivo il richiamo del Presidente della Repubblica Napolitano, bene il Presidente Fini su anticorpi razzismo

“Solidale con il CGIE che protesta davanti a Montecitorio contro i tagli in Finanziaria – anche se le decisioni sui tagli sono state prese a Palazzo Chigi ed alla Farnesina” – ha ricordato l’On. Marco Fedi durante i lavori di apertura della Conferenza mondiale dei giovani a Montecitorio.
“Tagli che avvengono in questo momento politico ed istituzionale e che non sono un buon auspicio per questo evento importante per l’Italia. Una Conferenza dei giovani italiani nel mondo realizzata grazie allo stanziamento previsto nella finanziaria Prodi e dimezzato dall’attuale Governo. Una Conferenza che vedrà impegnati tanti giovani a disegnare una nuova “clever Italy”, un’Italia che valorizzi il contributo della prima emigrazione, che faccia proprie le potenzialità offerte dalla multiculturalità e dell’integrazione tra i popoli e che costruisca modi nuovi di essere Paese nel mondo”. “I giovani, sono certo, sapranno rispondere a questa sfida”. “Valuteremo, anche dopo alcuni segnali molto negativi, l’azione del Governo, la capacità di ascolto, l’impegno a passare ai fatti” – ha dichiarato l’On. Marco Fedi.
“Positivo il richiamo del Capo dello Stato all’essere bravi cittadini del mondo, in ogni Paese e con qualsivoglia cittadinanza, essere portatori di valori condivisi di pace e solidarietà”. “Valori profondamente riconoscibili nella comune matrice di italianità”.
“Molto bene anche il Presidente della Camera Fini che ha voluto ricordare la nostra storia di emigrazione ed immigrazione. Una storia che deve vedere tutti impegnati a combattere ogni forma di razzismo e xenofobia. E costruire in modo condiviso un percorso per far entrare l’Italia ed il sistema Italia – a pieno titolo – tra i paesi che attraggono intelligenze, che promuovo e fanno ricerca. Una “clever country” targata Italia da costruire insieme, maggioranza ed opposizione”.
“Misureremo la capacità della maggioranza di rispondere a questi continui appelli bipartisan anche perché i segnali finora sopraggiunti, in particolare la bocciatura di un emendamento del PD finalizzato a dare un seguito alla Conferenza, non sono incoraggianti” – ha concluso l’On. Marco Fedi.

giovedì 4 dicembre 2008

La virgola

Decreto “famiglie” o elemosina di Stato?

Il decreto presentato dal governo allo scopo di sostenere le famiglie italiane non è un esempio di buona politica, poiché sceglie di procedere ancora una volta per annunci roboanti e spot propagandistici e non realizza invece il necessario e duraturo intervento di sostegno a favore delle famiglie italiane vessate dalla crisi economica.
Si prenda il bonus di 1000 euro. Un’unica e solitaria mancia che non verrà percepita da molti prima di febbraio e che non darà prospettive continuative per il rilancio dell’economia italiana a partire dalle spese dei ceti medi.
Lo stesso vale per la social card. Una tessera prepagata per acquisti nei supermercati da 40 euro al mese (un cappuccino al giorno) riservata ad anziani e genitori con bimbi sotto i 3 anni, che però devono avere meno di 6.000 euro di Isee. In totale: solo 1milione 300mila beneficiari su oltre 8 milioni di famiglie che vedono esaurire il loro reddito alla terza settimana (dati Swg). Per non parlare poi dell’annunciato blocco delle tariffe di gas e elettricità e dei pedaggi autostradali, che il governo voleva vantare come suo merito, ma che è in verità competenza dell’Authority preposta.
Questa è miopia. Occorre invece lavorare, per esempio, a interventi strutturali come la detassazione della tredicesima e la sostituzione delle detrazioni con le deduzioni fiscali, più corpose e più eque. Tra l’altro, l’insieme delle risorse messe in campo dal governo non arriva a metà di quello che finiremo di spendere per Alitalia, come ha osservato il ministro ombra dell’Economia del Pd, Pierluigi Bersani.
Il governo continua a spostare soldi da una parte all’altra, fingendo di averne reperiti e spesi di nuovi, perché si ostina a non modificare i saldi della Finanziaria che Tremonti ha elaborato a luglio. Cioè molto prima dell’esplosione della crisi finanziaria e dell’allarme recessione, e molto prima che l’Europa consentisse come fa ora qualche margine di manovra in più. Quest’ultima possibilità è rinviata al mittente dal governo con il pretesto del nostro debito pubblico enorme. È vero il debito è un grave problema - che tra l’altro solo i governi di centrosinistra hanno affrontato mentre quelli berlusconiani hanno peggiorato – ma non si può pensare di non rivedere i conti come fa il resto dell’Ue. Sarebbe un handicap pesante per l’Italia.
È il tempo di più fondi per gli ammortizzatori sociali per proteggere i lavoratori, soprattutto quelli precari, che potrebbero essere i primi a pagare le conseguenze della crisi. E si deve intervenire in sostegno di chi vive di stipendio, perché chi non spende, non lo fa per mancanza di volontà, ma per mancanza di soldi.
A chi conviene abolire le Province?

È di questi ultimi tempi la ripresa di una polemica che inserisce a pieno titolo nel filone delle discussioni sui cosiddetti “costi della politica”. Si tratta della campagna per l’abolizione delle Province, rilanciata dal quotidiano di destra “Libero” e da tempo supportata da Confindustria. L’assunto è molto semplice: le Province costerebbero troppo e, data la loro scarsa utilità, andrebbero abolite.
Il problema è che le cose non sono così semplici. Se immaginassimo di abolire questo ente, si dovrà riconoscere che le competenze da esso oggi ricoperte dovrebbero essere svolte da qualcuno altro a livello locale. La prima domanda è: chi? Le Regioni? Al di là del fatto che il personale provinciale andrebbe devoluto alle Regioni, magari tramite uffici distaccati, è davvero così corretto operare un’ulteriore centralizzazione dei poteri, in controtendenza rispetto a ogni democrazia evoluta? La verità è che in una nazione come la nostra, nella quale ci sono poco più di 8.100 Comuni di cui oltre 5.800 sono sotto i 5.000 abitanti, occorrono ancora enti di coordinamento dell’area vasta come sono le Province.
Infatti, chi ha il coraggio di dire che le funzioni della Provincia sono inutili? Oltre alle note e riconosciute competenze in materia di edilizia scolastica e di realizzazione e gestione di strade e di sistemi di viabilità sul territorio – impegni capillari difficilmente gestibili da una Regione – dalla riforma del titolo V della Costituzione in poi, sono molte le Regioni che hanno delegato alle Province le competenze in materia di lavoro e formazione professionale. Un partita non da poco, che forse qualcuno preferirebbe risolvere ai piani alti, lontano dai territori interessati e dai loro attori sul campo.
Ma non finisce qui. Quando si parla di coordinamento dell’area vasta, si intende che ci debbono essere istituzioni in grado di tessere i rapporti tra municipi più o meno grandi, costruendo strutture e servizi in rete che altrimenti molte realtà, da sole, non avrebbero. Pensiamo al lavoro che le Province possono svolgere su temi come la tutela dell’ambiente e del territorio paesaggistico, sulla promozione turistica, sull’edilizia pubblica, sull’enogastronomia, sull’offerta culturale integrata o sulla protezione civile, tutti settori che hanno peculiarità territoriali più ampie di un singolo Comune e più strette di una Regione.
Infine, torniamo ai costi. Abolire le Province - posto che non se ne possono abolire le competenze e quindi le spese per servizi, appalti, personale e uffici – vorrebbe dire solo tagliare il costo dei gettoni di presenza dei consiglieri (circa 60 euro a seduta del Consiglio) e le indennità di Presidente e Assessori (comunque inferiori a quelle dei dirigenti del loro stesso ente). Per carità si può fare tutto, ma – lasciatemelo dire – puzza tanto di demagogia, senza preoccuparsi realmente se le cose possono funzionare meglio. Non vorrei che questo tormentone fosse il solito modo interessato per delegittimare l’istituzione di turno, in modo da approfittarne per avere meno regole da rispettare, maggiore vuoto politico, più centralismo.

martedì 2 dicembre 2008

Avanti il prossimo!

“Lento ma inesorabile continua lo smantellamento del rapporto tra Italia ed italiani all’estero. I segnali sono preoccupanti, anche oltre i tagli apportati in Finanziaria ai capitoli di bilancio degli italiani all’estero” – è quanto dichiara l’On. Marco Fedi.
“Abbiamo un Governo che opera tagli che non sono parte di una nuova visione del sistema Italia all’estero. Abbiamo un Governo che opera in un vuoto assoluto di idee. Un Governo ed una maggioranza che sostituiscono ad un vuoto progettuale una demagogica azione di screditamento di tutto ciò che esiste all’estero o opera per l’estero. Un tentativo di giustificare i tagli di oggi e di predisporre quelli di domani” – dichiara l’On. Fedi.
“Viviamo una situazione di assenza di riforme, assenza di una proposta politica seria, assenza di un’azione coordinata. Eppure non mancano le dichiarazioni di esponenti politici della maggioranza che tentano di giustificare i tagli e mettono in campo anche un’azione tesa ad incrinare il livello della rappresentanza politica. Comites e Cgie oggi, parlamentare domani”.
“Tocca ora a Rai Italia, per la quale si scopre che trasmette brutta Rai e quando trasmette il meglio è di parte! Basterebbe ripercorrere la storia di Rai International per verificare che abbiamo avuto direttori e redazioni di grande livello e di grandi capacità ma alcuni problemi sono rimasti gli stessi – guarda caso quelli su cui si concentrano le critiche. Anche in questo settore – in riferimento alla convenzione con la Presidenza del Consiglio – sono forse previsti dei tagli?”.
“Credo che sia necessario, in questo momento, dare un contributo a disegnare un nuovo quadro di riferimento, cosa che dall’opposizione stiamo facendo con le innumerevoli proposte di riforma depositate in Parlamento. Attendiamo segnali concreti dalla maggioranza. I tagli – non smetterò di ricordarlo – allontanano le riforme” – ha concluso l’On. Marco Fedi.