martedì 4 agosto 2015

Il mostro dalle cento teste


IL MOSTRO DALLE CENTO TESTE
Quando la politica si mette ad utilizzare immagini e simboli che ricordano una guerra tra le più sanguinose del ventesimo secolo, come è stata quella del Vietnam, non manda un bel messaggio né ai cittadini né a sé stessa. 
Tanto più che le evocazioni riguardano una guerra che per anni ha precipitato donne, uomini e famiglie nel vortice di uno scontro epocale tra capitalismo e comunismo, ma faremmo bene a dire tra potenze in lotta tra loro per controllare paesi e continenti, con tutto il corollario di costi umani e sociali che ha portato con sé.
Quando una dialettica, sia pure aspra come sempre più spesso avviene si svolge nell’agone politico, magari all’interno dello stesso partito, si trasforma in “parafrasi” della violenza, in sinonimo di “imboscata”, in lontano richiamo a quella “guerra civile”, che pure il nostro Paese ha conosciuto in forma diretta, vuol dire che la politica non è più in buona salute e vive una fase profondamente involutiva, che non è certamente un buon viatico per il futuro.
La vicenda Azzollini ne ha dato un’altra dimostrazione. L’immunità non dovrebbe esistere in alcuna forma, se non nell’insindacabilità del “detto e fatto” nell’esercizio delle proprie funzioni parlamentari. Questa protezione è assolutamente sufficiente. 
Allo stesso modo, il voto segreto, a mio modesto avviso, non dovrebbe esistere, in nessuna forma ed in nessun tipo di votazione. Eppure al Senato abbiamo visto senatori di maggioranza rovesciare un parere della Giunta, dove la maggioranza è la stessa, con un voto d’aula nel quale il voto segreto si è intrecciato con il libero voto di coscienza. 
Su questa vicenda, vorrei rilevare tre contraddizioni. 
La prima è non riconoscere il lavoro di esame e di approfondimento svolto in Giunta per le autorizzazioni a procedere da colleghi senatori di maggioranza e opposizione. Tenuto conto del fatto che l’unico elemento su cui si son dovuti pronunciare è la persecuzione, esistono elementi per far pensare che la richiesta di arresto sia motivata da atteggiamento persecutorio? Se non c’è fumus persecutionis il parere della Giunta non può che avallare l’autorizzazione dell’arresto. Quando la Camera di appartenenza vota il parere, le maggioranze e le minoranze si dovrebbero uniformare alle proprie componenti in Giunta. Perché non è avvenuto al Senato? Per quale ragione si è combinato un inutile richiamo al voto di coscienza con un voto segreto in materia di immunità? 
La seconda contraddizione: si riconosce la libertà di voto ai parlamentari ma poi la si copre con il voto segreto. 
La terza contraddizione si lega alla presa d’atto – giusta - del risultato del voto, riconoscendo in esso la volontà del Senato della Repubblica, che, come è stato autorevolmente detto, non è il passacarte delle Procure. Bene. Perché allora non prendere atto che occorre davvero eliminare qualsiasi forma di immunità, salvaguardando unicamente l’insindacabilità del parlamentare? 
La brutta politica scarica su altri, in questo caso la magistratura, le proprie responsabilità. Sarebbe, invece, più giusto riconoscere la propria incapacità di inserire in un testo di riforma costituzionale una modifica dell’immunità. La brutta politica, come si diceva, è come il mostro mitologico dalle cento teste, se gliene tagli una, presto ne ricresce un’altra. Ma, come tanti di voi, anch’io sono convinto che non è il caso di desistere: a forza di tagliarne le teste una alla volta si arriverà a rendere il mostro meno pericoloso ed aggressivo e a restituire ai cittadini gli spazi e la serenità che la democrazia gli assegna. 
Marco Fedi

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