martedì 15 luglio 2014

Fedi (PD): Modifiche costituzionali e legge elettorale

In questi giorni di tensione politica, in vista dell’esito del dibattito sulle riforme costituzionali al Senato, dobbiamo ricordare a tutti che il cammino che si è intrapreso è nato dall’impegno di tutte le forze politiche che in anni di discussioni e diatribe di modifiche hanno sempre e solo parlato, senza mai riuscire a farle. Non è una richiesta dell’Europa. L’Europa siamo noi e, prima di ogni altra cosa, siamo noi che chiediamo all’Italia, da europei italiani, di essere seria e credibile. Anche se non è una richiesta dell’Europa, dobbiamo fare dunque le riforme, per le quali ci siamo impegnati, per la nostra affidabilità in Europa. L’Italia non è destinata a diventare una democrazia autoritaria. E’ strumentale e anche un po’ comico affermarlo. Per la prima volta si sta verificando una convergenza tra impegno per le riforme e consenso elettorale. Incredibile a dirsi, proprio l’inaspettata dimensione del successo elettorale di Renzi e del PD in questo delicato passaggio di riforma rischia di creare qualche ostacolo in più per l’allarme che suscita tra i partiti minori. Oltre all’inaspettata voglia di dialogo del Movimento 5 Stelle, prima soffocata dall’imperterrito populismo di Grillo. Il Senato non elettivo risponde all’esigenza di collegarne le funzioni alle autonomie territoriali. Il vantaggio del risparmio economico, facendovi arrivare rappresentanti locali che già percepiscono un’indennità, è una soluzione convincente anche sotto il profilo della riduzione dei costi delle istituzioni. Mentre l’ipotesi di ridurre il numero dei deputati, che ogni tanto riaffiora, si colloca ancora in una logica di bicameralismo paritario, dura a morire, nella quale il Senato partecipa anche alla discussione del bilancio dello Stato. Tra il rischio di inutilità politica che scuote i partiti-cespuglio, il rischio di inutilità parlamentare su cui riflette e gioca a scacchi il M5S, il rischio inutilità elettorale delle opposizioni in generale e il rischio di inutilità del percorso fino ad oggi fatto con la legge elettorale e con le riforme costituzionali, il rischio di gran lunga peggiore è fermarsi nuovamente. E se il Senato dovesse approvare un emendamento che, riducendo il numero dei deputati, cancellasse anche la circoscrizione Estero? Non mi opporrei a questa soluzione, a patto che si indicasse anche, subito, in che modo e per chi si potrà esercitare in loco il diritto di voto degli italiani all’estero. Ecco perché il Partito Democratico non deve cadere nella tentazione di mediare, secondo una vecchia abitudine italiana, ma deve rilanciare. Deve andare avanti con il piano di riforme. Bene fa Renzi a parlare, proprio in questo delicato passaggio, di un programma di mille giorni. Arrestare il percorso per le riforme aprirebbe la strada ad una crisi di Governo i cui esiti sarebbero scontati.

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