venerdì 7 novembre 2008

La virgola


Riparte il sogno americano


Saranno i miei venticinquenni di Australia oppure l’insofferenza per Porta a Porta ma anch’io non ho apprezzato – come Matilda Cuomo – il termine “nero”. Trovo assolutamente odioso riferirsi a persone utilizzando caratteristiche fisiche. Non è solo un “politically correct” di maniera. Ho imparato che le persone sono libere di esprimere la propria identità – quindi Obama può anche definirsi “black man” – ma è sempre grave e sbagliato definire gli altri secondo stereotipi, peggio quando questi si riferiscono al colore della pelle.
Spesso si dice che un’elezione presidenziale negli Stati Uniti è epocale. Non è generalmente vero.
Questa volta sì, però. Perché la vittoria di Obama non è stato un semplice arrivare primo. È stata una di quelle vittorie che cambia le regole del gioco. Obama è il primo presidente afroamericano a entrare alla Casa Bianca, anzi è il primo presidente multietnico e multiculturale, date le sue origini miste e le sue migrazioni esistenziali. Storica è anche l’ampiezza del suo successo che travolge la soglia dei 270 grandi elettori necessari all’elezione alla presidenza, arrivando addirittura a quota 349 contro i 147 di McCain e vincendo in stati impensati come Florida e Ohio.
Obama ha vinto perché ha incarnato il cambiamento (“change”, il suo slogan) e la determinazione a voler cambiare corso (yes, we can). Cambiare un’America che ha visto arrivare al capolinea non solo l’era Bush, fatta di guerre e impoverimento del Paese, ma l’intero trentennio apertosi con Reagan: l’epoca del cosiddetto neoliberismo, cioè la deregulation dell’economia e la supremazia della finanza sulla politica.
Molte speranza ha acceso il nuovo presidente. Più diritti civili in un Paese che negli ultimi anni li ha limitati, l’estensione dei servizi sociali come sanità e istruzione per i più deboli negli stessi Stati Uniti che hanno li hanno trascurati a vantaggio dei miliardari, il ritiro dell’Iraq, rapporti internazionali più diplomatici e meno muscolari, e tanto altro. I numeri ce li ha: anche in Senato la maggioranza democratica è solida, con 54 senatori su 100. Le riforme sono possibili.
Ma non illudiamoci troppo. L’era Clinton con tutte le sue speranze aveva in parte deluso e aveva aperto la strada all’era Bush, la peggiore della storia recente degli Usa. Questo perché le resistenze alla riforme dei poteri forti americani sono tante e molto forti.
Ma, al tempo stesso, non smettiamo di sperare nel cambiamento. Sostenere Obama è contribuire, fin dal nostro lavoro nell’opinione pubblica, anche fuori dagli Usa, anche in Italia, perché la politica possa tornare a dare voce a chi sta lontano dai riflettori.

Dall’Unione Europea proposte condivisibili

La Commissione europea, tramite il suo presidente Barroso, ha definito la scorsa settimana la strategia per affrontare la crisi economica conseguente al crollo finanziario e passare alla ripresa sostenibile. Un quadro di politiche che verranno sviluppate ulteriormente nei prossimi mesi.
L’obiettivo naturalmente è di portare i Paesi dell’Unione ad adottare linee di politica economica, fiscale e di sostegno alle famiglie che rispettino le scelte adottate dalla Commissione. Con alcune interessanti proposte concrete, sulle quali possiamo riscontrare una convergenza con le posizioni già espresse dal Partito Democratico.
Priorità assoluta va data allo sforzo di rendere minimo l’impatto negativo sull’occupazione, sul potere di acquisto e sul livello di benessere dei cittadini dell’Unione. La crisi economica deve essere affrontata con analoga energia e con un approccio coordinato come per la crisi finanziaria. Non è giusto e soprattutto non è economicamente saggio salvare il vertice (i grandi gruppi) senza occuparsi della base della nostra realtà economica (i comuni cittadini).
Concordiamo con Barroso quando afferma che, se gli strumenti principali per stimolare la domanda e l’occupazione rimangono ovviamente nelle mani dei Paesi dell’Unione (lo ricordi bene il governo italiano!), è tuttavia certo che per avere successo è necessario lavorare insieme, anche al fine di costruire una volta per tutte una vera governance globale dell’economia, che metta regole ai mercati finanziari e che tuteli i risparmiatori.
Il compito dell’Europa dovrà essere quello di adottare politiche per far crescere la domanda. Al contempo, bisogna impegnarsi per far scendere l’inflazione e nel supporto al reddito della parte più vulnerabile della popolazione. Investire in nuove tecnologie, trasporti ed autonomia energetica, fissando un’agenda sul tema dell’efficienza energetica e della tutela ambientale.

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