mercoledì 25 febbraio 2009

La virgola,

Sul futuro delle comunità italiane all’estero e sulla loro rappresentanza politica

Il Consiglio Generale degli italiani all’estero sostiene giustamente una tesi: la questione del momento – la più importante in assoluto – non è la riforma dei Comites o del Cgie. Aggiungo che ragionare sulle singole riforme – tutte urgenti ed importanti, dalla scuola alla cultura, dall’assistenza alla tutela sociale – può essere altrettanto inutile se non si ridisegna un quadro di impegni – condiviso o meno – ma che sia tale, da parte della maggioranza e anche dell’opposizione. Da parte del Paese e della classe politica che lo guida. Credo che questa sia “la questione del momento”, oltre alle conseguenze dei tagli che arrivano ora a destinazione.
Ho avuto modo di ricordare – durante l’audizione con il Cgie – che il momento di svolta sulla questione dell’esercizio in loco del diritto di voto si verificò nella sala della Lupa a Montecitorio quando insieme intraprendemmo un percorso, condiviso da maggioranza ed opposizione di ieri, verso la elezione diretta degli italiani all’estero nel Parlamento repubblicano. Continuo a ritenere giusta quella scelta e l’unica possibile – ancora oggi. Dovremo misurarla con le proposte di modifica della Costituzione e con le riforme istituzionali. Dovremo misurarne anche i risultati. L’esercizio in loco del diritto di voto degli italiani all’estero si concretizzava in un disegno di rappresentanza diretta ma era accompagnato da una visione politica complessiva che vedeva le comunità come risorsa e le politiche a loro favore un serio investimento per il futuro.
Quel quadro complessivo di riferimento che ci guidava è compromesso. Per questa ragione dobbiamo oggi essere forti. Resistere la tentazione della polemica, evitare le vuote riflessioni su presunte urgenti riforme e invece concentrarci sul disegno complessivo che oggi manca. Il ruolo e le competenze di Comites e Cgie possono essere discussi, e dobbiamo essere pronti ad avanzare anche le nostre proposte. Questi organismi di rappresentanza però – è fin troppo evidente – possono essere utili solo se il disegno di valorizzazione delle nostre comunità continua ad esistere. Il Governo e la maggioranza che lo sostiene hanno finora dimostrato di non avere una strategia, di sopravvivere in un “vuoto” e di gestire il quotidiano in una sostanziale assenza di “disegno strategico”. Forse l’assenza di progetto è invece parte di una strategia finalizzata all’indebolimento degli organismi di rappresentanza, ad una proposta di riforma che ne diminuisca ruolo e competenze, a far assorbire i tagli e soprattutto a far prevalere una fondamentale inversione di tendenza: guardare alle comunità italiane nel mondo unicamente in una miope ottica commerciale. Sarebbe un grave errore.
La nostra proposta oggi deve partire proprio da queste valutazioni chiedendo alle forze politiche di maggioranza ed opposizione un contributo a ridisegnare il futuro della nostra presenza nel mondo.

La lunga marcia del Partito Democratico

Il Partito Democratico, la sua costruzione, il suo realizzarsi – anche attraverso il sistema delle regole interne e del modo più aperto e trasparente possibile per raggiungere le decisioni che oggi portiamo in Parlamento come forza di opposizione e che domani saremo chiamati a trasformare in proposte di Governo – rappresentano il progetto politico di rinnovamento più ambizioso degli ultimi 50 anni di storia repubblicana. Tutti coloro che lavorano alla costruzione di un partito nuovo, aperto, capace di coinvolgere la gente in una nuova sfida politica, di dare risposte alle aspirazioni delle persone e delle famiglie – anche in questo momento di profonda crisi economica – oggi si rendono conto che “il progetto” è più importante dell’uomo che lo ha guidato dalla sua nascita. Il progetto politico del PD è più importante del segretario Veltroni che con noi ha voluto sfidare le tante forze che hanno contrastato la nascita del PD e la sua piena e completa trasformazione. E non sono poche. Interne al PD, per la complessità della sfida che ha comportato una rivoluzione degli apparti di DS e Margherita. Una rivoluzione non ancora completata ma pur sempre una apertura verso un modo nuovo di fare politica e di trasformare un progetto in azione di Governo. Le primarie e la campagna elettorale per le politiche ci hanno insegnato proprio questo.
E le insidie esterne. Centrodestra fermo al palo, ma in grado di governare e vincere quando il PD non costruisce alleanze più ampie. Il Pd fino ad oggi concentrato a completare la trasformazione in sistema bipolare e bipartitico mentre il PdL è ancora solo l’insieme di Forza Italia e AN: una strategia di sostanziale attesa, di costanti rinvii, di attese e promesse non mantenute. Il PdL non ha pagato il prezzo elettorale della trasformazione ed ora non vuole pagare neanche il prezzo politico. Eppure sulla semplificazione del quadro politico avevano puntato tanti a destra come a sinistra. Dal punto di vista strategico il PD ha commesso un errore con la sinistra radicale. Forse avremmo dovuto pensare più al risultato elettorale che alla semplificazione del quadro politico. Veltroni ha ben guidato il PD in una difficile transizione e in momento particolarmente delicato, dall’opposizione, quindi con le difficoltà di chi deve farsi capire ogni giorno per le posizioni che assume in Parlamento, per fare una opposizione “ragionata” alla coalizione che ha vinto le elezioni ed è stata – ci piaccia o no – chiamata a Governare. Le sconfitte elettorali sono anche il risultato di una forte preoccupazione da parte dei cittadini rispetto alla crisi economica, alla crescente insicurezza, alla crescente violenza che permea la società italiana. Anche nei dibattiti politici. Elementi sui quali Governo e maggioranza fomentano paure e fanno emergere chiusure sociali e culturali. Le sconfitte elettorali pesano su tutti, su tutta la sinistra che non riesce più ad ottenere il consenso popolare.
Le sconfitte elettorali sono anche il risultato di opposizioni, non solo il PD, che non sanno reagire a questa situazione e che appaiono incapaci di decidere. Ecco, al PD, indipendentemente da chi lo guiderà dopo il congresso, dobbiamo chiedere l’adozione di meccanismi trasparenti ed aperti per decidere, e non solo con i gruppi parlamentari. E portare avanti le decisioni con coerenza e determinazione, consapevoli che maggioranza e minoranza, internamente ad un grande partito riformista e sui singoli temi dell’agenda politica, ne costituiscono l’anima e ne rappresentano il futuro.

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