giovedì 21 giugno 2007

Il CGIE che ho in mente: con meno Governo e più autonomie locali. E poi, largo ai giovani

“Riforme, innovazione, capacità di collegamento e di fare sistema”. C’è il rilancio del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero al centro dell’intervento dell’On. Marco Fedi, deputato dell’Ulivo eletto nella circoscrizione estero, intervistato da Lorenzo Rossi durante l’assemblea plenaria el CGIE dell’8 maggio 2007. Fedi ha ribadito innanzitutto che il Consiglio stesso “è uno strumento indispensabile di collegamento con le comunità italiane nel mondo, di conoscenza ed approfondimento di un patrimonio di umanità e civiltà che la nostra penisola ha nel mondo”. La rappresentanza parlamentare per gli italiani all’estero (12 deputati e 6 senatori) – ha continuato - da sola non basta ad assolvere ogni compito, pur essendo un momento importante: occorrono, alle sue spalle, “l’approfondimento, l’analisi, la competenza, la voglia di scegliere e di fare” e una classe dirigente adeguata. Fondamentale è il ruolo del CGIE, che va potenziato. Altrimenti – avverte il deputato dell’Ulivo - “il rischio è quello di lasciare dietro di noi solo macerie. Per questa ragione è opportuno che questo CGIE trovi subito, al proprio interno, le ragioni di un lavoro comune, ristabilendo un giusto equilibrio politico. E trovi le ragioni, prima che la direzione, di una necessaria riforma.”
Fedi ha invitato a non scindere in compartimenti stagni l’emigrazione tradizionale dai nuovi movimenti di giovani, ricercatori, scienziati, “come se questi non fossero aspetti della stessa dimensione”. Sarebbe un errore imperdonabile – spiega – proprio perché i figli degli immigrati italiani nati all’estero e i nostri connazionali che oggi si spostano per la prima volta nel mondo trovano un atteggiamento diverso nei loro confronti “grazie ai sacrifici dell’emigrazione, alle radici culturali di tante donne e uomini che hanno costruito il loro futuro in un nuovo Paese, che hanno costruito opportunità per l’Italia”. Il monito lanciato dal deputato diessino è di evitare di “commettere in patria gli stessi errori che hanno allontanato ed ostacolato il processo d’integrazione delle nostre comunità nel mondo: chiusura al nuovo, alle altre identità, alla costruzione di una realtà multiculturale, allontanando il diritto alla partecipazione e alla cittadinanza, scommettendo sul senso di paura, sulle preoccupazioni, evocando tutto ciò che di negativo è possibile evocare”. Perciò, riguardo agli immigrati presenti oggi in Italia, Fedi ha sostenuto che “chi vive in questo grande Paese ed in questa grande Europa – ed ha un regolare permesso di soggiorno – ci raggiunge con lo stesso spirito, con gli stessi sogni e le stesse aspirazioni che avevamo noi quando, in diverse epoche, abbiamo lasciato l’Italia. Vuole quindi apprendere l’Italiano – non è saggio metterlo in dubbio – ed è anche utile che mantenga un legame culturale con la propria terra di origine; vuole partecipare alla vita politica, sociale e culturale; vuole poter diventare un cittadino italiano ed europeo in tempi ragionevoli”. Proprio per questo è imprescindibile “un’ampia e serena discussione” sul tema della cittadinanza, tendendo tuttavia conto “dell’urgenza di intervenire a fronte dei cambiamenti che stanno avvenendo nella società italiana: affiancando al principio dello jus sanguinis quello dello jus soli – ha sottolineato - diamo una risposta normativa ad una direttiva comunitaria ma anche ad un principio di civiltà. Riapriamo i termini per il riacquisto della cittadinanza, saniamo tante situazioni di vera e propria disparità e di ingiustizia, consolidiamo anche il principio rendendolo applicabile non oltre una specifica fascia cronologica”.
Tornando sulla riforma del CGIE, che deve essere “profonda”, Fedi ha lanciato una serie di proposte concrete. In primo luogo essa va legata al rapporto con le autonomie locali, “senza rinunciare alla Conferenza permanente Stato-Regioni-PA-CGIE, ma trasformando questa nel Consiglio”. Occorre inoltre creare “uno spazio alla rappresentanza diretta delle nuove generazioni. Aumentare il numero di componenti eletti, eliminare una rappresentanza Governativa che non ha ragione di essere, ridurre il numero di plenarie dando spazio alle Continentali che devono avere forme di collegamento con i Comites e con le rappresentanze regionali”. Quanto alla Conferenza dei giovani italiani all’estero, essa può essere “un momento per costruire una presenza organizzata e collegata alla riforma del Cgie”.
Non è mancato quindi un accenno alla riforma elettorale, tema al centro del dibattito politico attuale. “Credo – ha spiegato Fedi – che debba attivarsi un tavolo di concertazione tra maggioranza ed opposizione per arrivare, se possibile, ad una proposta seria, condivisa. È mia opinione che la 459/2001 possa essere modifica mantenendo saldi alcuni principi: il voto per corrispondenza (alcune importanti soluzioni tecniche potrebbero renderlo maggiormente rispondente ai criteri di segretezza e personalità), l’anagrafe volontaria oppure una seria operazione di sistemazione, le operazioni di scrutinio”.
Fedi ha concluso il suo intervento rivolgendosi poi sia ai membri del CGIE vicini alla maggioranza dell’Unione, che a quelli legati all’opposizione. Ha invitato questi ultimi ad avanzare le loro valutazioni “a bocce ferme e non mentre la partita è in gioco”. Quindi ha spronato la maggioranza di governo. “Non possiamo rischiare di disperdere questa ricchezza – ha detto - e non è vero che abbiamo superato la fase storica dell’emigrazione: possiamo trasformarla, far nascere nuove forme di collegamento e rapporto con l’Italia. Ma alcune riforme fondamentali vanno fatte, ora, in questa legislatura, insieme, con il contributo costruttivo dell’opposizione”. “La classe dirigente di questo Paese – ha concluso – non può sottrarsi a questo compito e non può deludere le comunità italiane nel mondo”.
9 maggio 2007

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